Armageddon sindacale, i beati distaccati della PA forzati a tornare a bottega

Nunzia Penelope – Il Foglio

Il giorno del giudizio ha una data e per il sindacato è il 31 luglio 2014, quando saranno resi noti i nomi degli oltre mille sindacalisti che dovranno lasciare l’incarico per tornare, come si dice, in produzione. È l’effetto Renzi, o meglio l’effetto Madia, che con la riforma della Pubblica amministrazione si è conquistata il titolo di rottamatrice “ad honorem” del sindacato del pubblico impiego. La riforma prevede infatti un taglio del 50 per cento ai distacchi sindacali con effetto immediato: entro il 1° settembre. Tradotto in cifre, significa che sugli attuali 2.136 distaccati, 1.158 cesseranno di essere tali; tradotto in fatti, invece, significa che Cgil, Cisl e Uil del settore pubblico perderanno di colpo il 50 per cento del gruppo dirigente. I distaccati, infatti, negli anni – o nei decenni – hanno fatto carriera, sono diventati segretari nazionali, generali: difficile rimpiazzarli in un mese. E poi, pagarli come, con che soldi? Oggi sono a carico dello Stato: i pubblici dipendenti passati a incarichi sindacali continuano a ricevere lo stipendio da ministeri, scuola, sanità, per un costo totale di circa 100 milioni annui.

Da settembre, invece, o si torna al lavoro o sarà il sindacato ad accollarsi il peso delle retribuzioni. Improponibile, per le casse delle confederazioni: se la Cgil, per dire, ha spalle economicamente abbastanza solide, per la piccola Uil si profila una mazzata. Ma improponibile sarebbe anche rinunciare a battaglioni di dirigenti, rischiando la paralisi dell’attività. Infatti, dal giorno in cui il governo ha approvato la riforma, nelle confederazioni è scoppiato il panico: uno su due dovrà lasciare l’incarico e tornare al lavoro. A chi toccherà? Per evitare le già incombenti guerre fratricide, ogni confederazione si è attrezzata a modo duo. La Cgil ha deciso, salomonicamente, di tenerseli tutti, ma a metà: vale a dire, tutti gli interessati (circa 600) torneranno al lavoro ma part-time, mentre l’altra metà del tempo proseguiranno l’attività nel sindacato. Le spese, in questo modo, saranno ripartite: una parte ancora a carico dello Stato, un’altra sulle casse di Corso Italia. Alla Cisl, invece, l’elenco dei “rientrandi” (circa 500) è già pronto, a partire da quelli del settore scuola. Urgente il loro rientro in vista dell’anno scolastico che, dopo decenni, li vedrà nuovamente operativi. Ma i più “graduati” resteranno nel sindacato, e per loro varrà la legge 300 sui distacchi non retribuiti: in altre parole la loro busta paga, da settembre, la firmerà Raffaele Bonanni.

Anche nelle varie amministrazioni, però, serpeggia il panico: questi mille e rotti che tornano, dove diavolo li metteranno? I loro posti di lavoro sono previsti dalle piante organiche, ma sono virtuali: in quindici, vent’anni sono stati ridistribuiti ad altri. Trovare un impiego per i figliol prodighi non sarà facile. Senza contare che stiamo parlando di ultracinquantenni: e già si immaginano le facce sperdute di chi, in età avanzata, dovrà ricominciare da zero in un ambiente ormai sconosciuto. Quanto ai risparmi, non ce ne saranno: i 100 milioni attuali lo Stato continuerà a pagarli (e a questi si dovranno sommare il salario accessorio, gli straordinari e i buoni pasto, non previsti per i distaccati) ma il succo è che non ne godranno più i sindacati. Cgil, Cisl e Uil, tuttavia, hanno incassato il colpo senza fiatare. In privato maledicono la riforma, ma in pubblico non una sola dichiarazione contro. Qualcuno mugugna: «L’unico provvedimento con effetti immediati è quello contro di noi. Tutti gli altri, i controlli sugli appalti, i tagli ai costi della politica, rinviati a babbo morto. Strano, no?». Ma nessuno osa protestare davvero. E del resto, come si fa?

Nel paese dei privilegi per pochi e della crisi per molti, è più facile che i cittadini facciano la ola a un governo che rimanda al lavoro i sindacalisti piuttosto che schierarsi al loro fianco. Il caso Montecitorio, ad esempio, insegna: i dipendenti che protestano per il taglio ai loro (sontuosi) salari si sono ritrovati isolatissimi. Adesso fischiettano, non potendo fare molto altro. E insegna qualcosa anche il referendum sugli accordi integrativi dell’Alitalia che va verso l’intesa con Etihad; dei 13mila aventi diritto, solo 3.500 sono andati a votare. E sicuramente non perché gli altri erano già tutti in ferie.