Autovelox e Italialentox

Davide Giacalone – Libero

L’Autovelox misura l’Italialentox, anzi: l’Italiamattox. Che per una multa si arrivi fino alla Corte costituzionale fa arricciare la bocca, in un sorriso. Che tocchi a quella Corte stabilire che gli apparecchi di misurazione della velocità debbano essere periodicamente controllati e calibrati fa arricciare il naso, nel sospetto che la notizia sia una bufala. Invece è vera. Che per fare cancellare una multa si debba passare per il prefetto, poi dal giudice di pace, quindi in Corte d’appello, ergo in Cassazione, per poi di qui approdare alla Consulta, fa corrugare la fronte, con ansiosa preoccupazione. In questa storia c’è il ritratto del perché questo è una Paese refrattario alle semplificazioni e perso nelle complicazioni.

Una signora, in quel di Mondovì, viene fermata da una pattuglia, che le contesta eccesso di velocità, provvedendo alla multa e al ritiro della patente. L’automobilista protesta, sostenendo di avere rispettato i limiti. Ricorre. Per faccende di questo tipo, bagatellari quanto altre mai, si sono creati giudici appositi, onde evitare che vadano a intasare il già infartuato sistema giudiziario. Che deve fare il prefetto, o, dopo di lui, il giudice di pace? Accertare che il verbale sia stato redatto in modo regolare, essendo a sua volta in regola l’apparecchio che rileva la velocità. Escluso (altrimenti la faccenda è più grave) che gli agenti della stradale abbiano motivi di personale ostilità avverso la donna al volante. Facile.

Facile un corno, perché nel Paese che non sa neanche di quante leggi dispone, tutto deve essere stabilito dalla legge. Razionalità vorrebbe che la legge autorizzasse l’uso dell’Autovelox, mentre un regolamento stabilisse come le pattuglie debbano collocarli e la loro centrale mantenerli e controllarli. A quel punto, come sopra, basta che il giudice accerti il rispetto del regolamento, o eccepisca circa le sue manchevolezze. In quel caso si cancella la multa e si corregge il regolamento. Ma qui mica siamo nel mondo razionale, viviamo in quello normomaniaco e ci vorrà il Parlamento. Siccome la legge, in questo caso il Codice della strada (articolo 45), stabilisce che alcuni apparecchi debbano essere periodicamente verificati (quelli nelle postazioni fisse, senza una pattuglia che faccia loro compagnia), mentre nulla dice sugli altri, il giudice ne deduce che gli Autovelox accompagnati non hanno mai bisogno di assistenza. Così ragionando se ne può dedurre che anche la vettura con cui si sposta la pattuglia non ha bisogno di alcuna manutenzione, se non quella periodica prevista dalla legge. Criterio applicando il quale tutte le nostre Forze dell’ordine sono destinate a spostarsi con l’autostop.

Ecco, per far valere questa banale ovvietà ci sono voluti cinque gradi di giudizio. Costo dell’operazione: alcune centinaia di volte il valore della multa. Paradossale? Questo è niente, perché ora tutti quelli che hanno ricevuto una multa per eccesso di velocità, e che non l’abbiano già pagata, non la vedranno annullare dall’ufficio competente, a sua volta consapevole che le macchinette non rispondono a quanto la Corte stabilì, ma dovranno fare a loro volta ricorso, suggerendo all’avvocato di allegarvi la sentenza costituzionale. Una straordinaria macchina capace solo di dilapidare ricchezza, pubblica e privata (facendo ricorso innanzi al pretore si rischia il raddoppio delle multa, mentre per accedere al giudice di pace, e successivi gradi, si paga il contributo unificato).

E dove lo mettiamo il gettito mancante, che ora produrrà ulteriore crisi nelle casse dei Comuni? Non avrei suggerimenti pubblicabili, ma faccio osservare che è da tempo invalsa l’abitudine di appostare le pattuglie mobili in coincidenza con cartelli indicanti limiti surreali di velocità. Su molte strade e su tutte le rampe rischi la vita, se provi a rispettarli, essendo probabile che un Tir ti pialli da tergo, procedendo al doppio dell’inchiodata impostati dal tondo impositore, sicché risulta più salutare rischiare la multa. I comuni lo sanno, quindi piazzano le macchinette esattrici poco oltre il segnale impalato e impalante. Tema succulento, nel regno del ricorso. Questa volta puntando alla Corte di Strasburgo.