Come fare danni semplificando
Nicola Porro – Il Giornale
Tutti dicono che vogliono semplificare. È la parola d’ordine. Il problema è che la politica e gran parte della burocrazia sono talmente lontani dalla realtà che spesso le semplificazioni fanno più danni che altro. Non ci credete? Tra poco vi porteremo un caso tipico, concreto, reale. Il punto fondamentale resta di principio: lo Stato ci tratta come sudditi, predisposti alla truffa, e dunque da regolare con decreti minuziosi. È la dittatura della norma. La bestia statuale non molla mai la presa anche quando finge di farlo. Ma andiamo al dunque.
Alla fine degli anni ’80 viene approvata una leggina (la Tognoli) che, tra le altre cose, prevede di realizzare parcheggi interrati su terreni pubblici o privati non edificabili, purché siano vincolati a una casa privata (a distanza non maggiore di un chilometro). In pratica, come fosse una cantina o una soffitta Questo per evitare fini speculativi di investitori che comprassero a tappeto box auto per poi riaffittarli lucrandoci sopra. Beh, insomma, non si può pretendere troppo: la speculazione in un Paese socialista è fumo negli occhi. La seconda condizione è che sul terreno soprastante venga realizzato un parco (con alberi, panchine, verde attrezzato da sottoporre a preventiva autorizzazione del Servizio Giardini) a destinazione pubblica, indipendentemente dal fatto che il terreno sia pubblico o privato. Una legge che sembra avere un senso: il costruttore guadagna, si crea lavoro, si tolgono macchine dalla strada, l’acquirente ha la possibilità di smettere di pagare affitti o impazzire a cercare parcheggio, lo Stato incassa le tasse di tutti quelli che ci lavorano e guadagnano. Il tutto a costo zero da parte del Comune o del contribuente. Non sono previste agevolazioni, finanziamenti: nulla.
Purtroppo abbiamo cercato, un paio di anni fa di semplificare la legge. Sbandierando tale obiettivo il governo ha eliminato il limite di un chilometro, estendendolo a tutto il Comune. Un’idea geniale: chi diavolo si metterà a comprare un box auto a più di un chilometro in linea d’aria dalla propria abitazione per parcheggiare un’auto? Poco male, si dirà: norma inutile, ma non dannosa. Sennonché, la medesima legge di semplificazione ha stabilito che il costruttore prima di ottenere la concessione debba obbligarsi davanti a un notaio a vendere non più a generiche persone, ma a soggetti precisi che vanno indicati in atto. Insomma,occorre per ogni box indicare nome, cognome del futuro acquirente e i dati catastali dell’immobile cui vincolarlo.
Una roba da pazzi. Significa andare sul mercato senza avere neppure il Permesso di Costruire e trovare acquirenti disposti a impegnarsi all’acquisto di un bene futuro che non solo è da costruire, ma per il quale mancano le autorizzazioni. Ovviamente nessuno si impegnerà a una pazzia del genere. I costruttori sono costretti a chiedere a mamma, a nonna, amici e parenti di prestarsi alla farsa di promettere l’acquisto, con l’accordo non scritto che non compreranno mai e che, quando verrà trovato l’acquirente vero, loro rinunceranno all’opzione in favore del cliente finale. Il quale si insospettirà di questo strano passaggio e magari deciderà di non comprare un bel niente. Un bel modo per aiutare un settore in crisi. All’interno del raccordo anulare di Roma (la città che ha maggiori problemi di parcheggio) il prezzo medio di un box sotterraneo è intorno ai 20mila euro. In genere i recuperi dalla Tognoli riguardano aree che (compreso il bagno per i disabili) possono ospitare un massimo di una ventina di parcheggi. Insomma, si tratta di un business che vale meno di mezzo milione di euro. Non esattamente roba da «Sacco di Roma». Eppure trattiamo questa materia come se si stesse urbanizzando la laguna di Venezia.
Ps. Nel centro di Milano a duecento metri dal Duomo, esattamente in piazza Cordusio, ci sono tre enormi palazzi praticamente deserti. Un ex quartier generale di Unicredit e le Poste lo sono già. Anche la sede delle Generali in un futuro prossimo potrebbe andare a occupare il suo grattacielo a Citylife. Si tratta di più di 100mila metri quadrati di immobili a disposizione, vuoti. Nel caso di Unicredit ancora affittati. In un Paese normale si progetterebbe un futuro per quest’area gigantesca e centrale. Si coinvolgerebbero grandi investitori internazionali. Si permetterebbe loro di esporre progetti anche diversi dal semplice utilizzo degli spazi come uffici (la morte civile oggi). Ecco, si farebbe tutto ciò. Invece Milano (e l’Italia) preferisce andare appresso alle palle antimoderniste dell’Expo a chilometri zero e no-ogm.