Caro Renzi, aveva ragione Cottarelli

Maurizio Belpietro – Libero

Ci sono voluti pochi giorni per capire chi avesse ragione tra Carlo Cottarelli e Matteo Renzi. Il dubbio che il commissario alla spending review avesse esagerato nel descrivere lo stato di salute dei conti pubblici è stato dissipato ieri da due notizie. La prima è la marcia indietro del governo sul prepensionamento di 4 mila insegnanti e sul tetto dell’età pensionabile per i primari, ossia sull’emendamento che proprio Cottarelli aveva dichiarato senza alcuna copertura, sostenendo che fosse stato finanziato con un generico quanto inesistente taglio di prossime spese.

La precedente settimana, quando il Parlamento aveva votato il provvedimento, il ministro della Pubblica amministrazione era stato zitto, lasciando intendere di essere favorevole alla misura. Ma poi, vista la denuncia del super commissario il quale ha di fatto dato le dimissioni beccandosi pure un poco gratificante saluto dal premier, ecco la retromarcia di Palazzo Chigi e di Marianna Madia. Segno evidente che le critiche erano fondate, altrimenti il presidente del Consiglio avrebbe tirato dritto. E allo stesso tempo prova concreta che la spending review è diventata la madre di tutte le spese, in quanto annunciando futuri tagli si dà via libera a costi immediati che prossimamente graveranno sullo stato di salute della contabilità nazionale e dunque sulle spalle dei contribuenti.

Tuttavia non c’è solo l’episodio di ieri a confermare che Cottarelli ha ragione e Renzi torto. E dunque che i tanto sospirati risparmi sulle uscite dello Stato sono solo sospirati ma non destinati a tradursi in realtà. L’altra notizia della giornata è che la sanità pugliese si prepara ad assumere 2.500 persone. Ad annunciarlo è stato il governatore della Regione che poi è pure il numero uno di Sinistra ecologia e libertà. Evidentemente, non contento di essere a capo di un sistema sanitario tra i più costosi d’Italia, tanto da dover approfittare della solidarietà del fondo sanitario da cui incassa 487 euro pro capite, Nichi Vendola vuole pure assumere. E poco importa che – come segnalava ieri il Sole 24 Ore – dal 2007 al 2013 il disavanzo della regione sia stato di 1 miliardo e 312 milioni, cioè uno dei più pesanti tra quelli registrati in Italia: il governatore prima di ritirarsi dalla politica preferisce fare un’altra infornata di medici e infermieri. Pazienza se questo si tradurrà in un aumento del ticket, che, sempre come segnalava il quotidiano confindustriale, sarà presto preso in esame con una revisione del contributo richiesto agli ammalati in base al reddito. Di questo passo altro che servizio sanitario nazionale, presto avremo il servizio sanitario fiscale, nel senso che per essere curati bisognerà presentare la dichiarazione dei redditi insieme con la carta di credito, mentre gli indigenti – e dunque la maggior parte degli immigrati – avranno cure gratis: tanto il ticket lo paga chi guadagna e versa le tasse.

È questo il fantastico mondo della spending review, che dopo le parole di Cottarelli è stata ribattezzata Spending di più. Del resto, l’operazione di rimettere in equilibrio i conti del welfare, facendo sparire il fondo sanitario che grava sulle regioni virtuose (Lombardia tra le prime) a favore di quelle che invece sono spendaccione, ha poche speranze di successo. La chiusura del rubinetto che ogni anno toglie alle Regioni meritevoli per dare a quelle che non meritano avrebbe dovuto avvenire nel 2013 e invece con i ritmi adottati da diversi governatori l’addio al sistema di finanziamenti a fondo perduto alle sanità colabrodo arriverà nel 2066. Sì, avete capito bene: fra cinquant’anni, parola della bibbia salmonata diretta da Roberto Napoletano. C’è da stupirsi dunque se in Italia continuano ad aumentare le tasse? Ovvio che no. La logica conclusione dei tagli alla spesa non fatti è il Fisco che diventa sempre più vorace.

E a proposito di imposte si segnala che è in dirittura d’arrivo un nuovo siluro: la riforma del catasto, ovvero la revisione degli estimi che venerdì scorso ha ricevuto il via libera dalla commissione Finanze del Senato. Sempre secondo il solito Sole 24 Ore in molte città si registreranno rincari d’imposta, in quanto tra i valori catastali attuali e quelli di mercato che si vorrebbero adottare c’è una differenza che in qualche caso sfiora il 300 per cento. Ma a rischiare di più a quanto pare non sono i proprietari di attici, ma chi possiede un’abitazione di categoria A3, cioè quelle considerate economico popolari. Essendosi queste case rivalutate di molto nel corso degli anni, l’Agenzia delle entrate si prepara a battere cassa. E ovviamente con i soliti metodi molto gentili, dato che nonostante il cambio al vertice nulla è cambiato. Insomma, Cottarelli ha ragione. Governo, Parlamento e Regioni spendono senza tagliare e ai soliti noti tocca pagare. Ma almeno ora è chiaro chi devono ringraziare.