Crisi italiana: quelle divergenze tra Bce e Bankitalia
Giuseppe Pennisi – Avvenire
Su cosa verte la differenza di punti di vista tra Italia ed Unione Europa sulle circostanze eccezionali del Fiscal Compact che consentirebbero una deviazione dalle regole sull’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni (ossia il deficit), oltre al rinvio del pareggio di bilancio? Il nodo del problema è quello che in lessico economico viene chiamato l’output gap (letteralmente ‘divario produttivo’), ossia il differenziale tra Pil potenziale e Pil effettivo. Prima della crisi, nel 2008, la Commissione Europea, il Fondo monetario, e l’Ocse stimavano attorno all’1,3% la crescita potenziale del Prodotto interno lordo dell’Italia. Per avere un paragone, i ‘piani triennali’ dell’inizio degli Anni Ottanta la ponevano sul 22,5%, spiegando che è quello che già allora ci si poteva aspettare da un Paese con una popolazione anziana, un apparato produttivo non modernizzato eccetto che in certe nicchie specifiche, ed un’amministrazione pubblica tutt’altro che efficiente. Le stime econometriche che giungevano ad un potenziale di crescita dell’1,3% tenevano conto dell’evoluzione avvenuta negli ultimi trent’anni (non positiva né sotto l’aspetto demografico né sotto quello dell’apparato produttivo), nonché dal peso del debito che incide comunque sulla crescita.
Nel 2010 il servizio studi della Banca d’Italia ha pubblicato uno studio che esaminava il periodo 1999-2005 (ossia gli anni che hanno preceduto la crisi) e poneva l’output gap del nostro paese tra lo 0,5% e lo 0,7% del Pil. Se la crescita potenziale è lo 1,3%, quella effettiva si poneva quindi attorno tra lo 0,8% e lo 0,6%. Mentre di recente, l’Ocse ha stimato l’output gap dell’Italia a -5 punti percentuali del Pil. Una chiara giustificazione di ‘circostanze eccezionali’.
La Banca centrale europea ha reso pubblico sul suo sito da meno di una settimana uno studio firmato da un gruppo di economisti. Non sono stati pubblicati lavori della Commissione Europea, ma si intende che le stime di Bruxelles coincidono con quelle di Francoforte. Il lavoro analizza gli effetti della crisi economica sui tassi di crescita potenziali, utilizzando una vasta gamma di modelli econometrici, e confronta l’eurozona con gli Stati Uniti ed il Giappone. Per l’Italia il Prodotto interno lordo potenziale sarebbe attorno al livello zero per l’anno 2013, proprio in quanto non sono state fatte le riforme sulle strutture dell’economia (essenzialmente miglioramento delle infrastrutture e delle reti, liberalizzazioni in tutti i settori, dalle professioni, alle banche ed assicurazioni, ai servizi pubblici locali, ai taxi, e via discorrendo) e in campo di privatizzazioni siamo riusciti a portare a casa solo quella dell’ente degli ufficiali in congedo. Quindi, non si possono invocare circostanze eccezionali. Non siamo, però, condannati alla ‘crescita zero’. A pagina 118 di quello studio, infatti, si dice chiaramente che tutto dipende dalle riforme strutturali, e cioè quelle sulla struttura economica del sistema nazionale, che non coincidono – lo ricordiamo – con quelle istituzionali. A questo punto Palazzo Chigi e Via Venti Settembre farebbero bene a mostrare le loro carte.