Doppio gioco fiscale

Il Foglio

Oggi scatta l’aumento dal 20 al 26 per cento dell’aliquota sui proventi di natura finanziaria (dividendi, cedole e interessi per i conti correnti, depositi bancari e postali) con eccezione di quelli soggetti a regimi agevolati; ossia i titoli di Stato, gli interessi corrisposti a intermediari finanziari non residenti per obbligazioni internazionali e i proventi dei fondi di previdenza complementare italiani e di quelli di previdenza europei. Queste limitazioni generano distorsioni che tendono ad accrescere il costo delle emissioni obbligazionarie e dell’erogazione del credito bancario. Ma soprattutto il loro effetto distributivo è opinabile. Sono misure che spaventano e confondono il piccolo risparmiatore, cioè il contribuente medio: lo sgravio di 80 euro per i percettori di redditi bassi (sotto i 26mila euro) viene finanziato con l’aumento della tassazione sulle rendite; e così il sollievo per uno sgravio viene “compensato” da un aumento della tassazione che riguarda il medesimo ipotetico soggetto. Cosa si vuole ottenere con un messaggio così ambiguo per il risparmiatore/consumatore? Non c’è dunque da meravigliarsi se non si vedono gli effetti benefici sulla domanda interna di uno sgravio di per sé opportuno: la politica di finanziare la riduzione d’imposte ad ampia diffusione con altre imposte – anch’esse operanti su un’ampia massa di contribuenti – genera una contrazione dei consumi che può sterilizzare gli effetti positivi del corrispondente sgravio fiscale. Può anzi dare luogo non a un risultato nullo, ma a uno negativo. Il solo modo di effettuare riduzioni fiscali benefiche perla crescita consiste nel coprirne il costo con il contenimento della spesa.