Enel, è vera privatizzazione?
Giuseppe Pennisi – Formiche
Se le cose vanno come desiderato al Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) ed a Palazzo Chigi, la vendita del 3-6% di quote Enel potrebbe essere presentato come ‘il fiore all’occhiello’ delle privatizzazioni. Verrebbe effettuata in tempi brevi: il collocamento inizierebbe la settimana del 9 febbraio e verrebbe completato entro la fine del mese, anche in quanto ci sarebbero investitori internazionali interessati all’acquisto. Il provvedimento porterebbe “cassa” (si stima sino a due miliardi di euro) senza fare perdere allo Stato il controllo di quello che è, in sostanza, il protagonista della produzione dell’energia elettrica. Al termine della cessione il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), oggi azionista con il 31,2%, si troverebbe a scendere al 25% circa. Il secondo azionista di peso, dopo l’azionista pubblico, resterebbe People’s Bank of China con una quota del 2 per cento.
Più importati dei due miliardi (eventuali), che appena scalfirebbero l’irta montagna del debito pubblico, la misura sarebbe una prova concreta che il governo intende andare avanti seriamente con il piano di privatizzazioni (di fatto fermo da circa tre anni) almeno per quanto nelle competenze dello Stato centrale. La cessione di quote Enel arriva, inoltre, in un momento particolarmente propizio: in una fase in cui il calo domanda pesa sui ricavi (per ben 75,8 miliardi), l’Ebitda è in linea con gli obiettivi, e soprattutto l’indebitamento scende a 38 miliardi da 44,57 in settembre, nonostante i maggiori investimenti. Ciò indica che il management è stato in grado di cogliere le opportunità del ribasso internazionale ed europeo dei tassi d’interesse e d’effettuare buone operazioni di rifinanziamento, oltre che di portare a termine cessioni di controllate all’estero (Egp France e le attività in El Salvador). Un terzo elemento è il desiderio di numerosi investitori, piccoli e grandi, di porre i propri risparmi in collocamenti a lungo termini con poco rischio, rendimenti non elevati ma con caratteristiche di permettere di dormire tra due cuscini: i risparmi delle famiglie italiane sono arrivati a 3800 miliardi nonostante la tassazione sia cresciuta, secondo il Centro Studi “ImpresaLavoro” da 6,9 miliardi nel 2011 a 15,9 miliardi stimati nei documenti di finanza pubblica per il 2015, e l’investimento nell’attore principale di un mercato oligopolista pare avere le caratteristiche appropriate.
Il 26 gennaio al ministero dell’Economia e delle Finanze si è tenuta una riunione con il comitato per le privatizzazioni e gli advisor (Equita e Clifford Chance) per mettere a punto la strategia. In allerta sarebbero anche le banche già individuate per il consorzio di collocamento, una decina in tutto, tra i maggiori player internazionali e italiani, incluse Banca Imi e Unicredit. L’operazione dovrebbe prendere forma in tempi brevi. La tipologia di operazione su cui si sta lavorando è quella di un book building accelerato, che consentirebbe la realizzazione di un collocamento lampo da chiudere nel giro di alcune ore. Nell’ottica di chi ritiene che le privatizzazioni non debbano essere solamente o principalmente uno strumento di breve periodo per “fare cassa”, ed innescare energie nuove nell’azionariato oggi e domani anche nel gruppo dirigente, è doveroso chiedersi perché il Mef non abbia colto questa occasione per cominciare a mettere ordine in un mercato caratterizzato da liberalizzazioni incompiute, molteplicità di attori pubblici e privati, nonché nazionali ed europei, ed una regolamentazione incompleta ed in cui vari aspetto si accavallano.
In Italia, abbiamo l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, Terna (proprietario della rete e responsabile della trasmissione e del dispacciamento di energia elettrica, il Gestore dei servizi energetici, principalmente per gli incentivi alle fonti rinnovabili), l’Acquirente unico, garante di ultima istanza della fornitura alle famiglie ed alle piccole imprese. A livello europeo per l’Agenzia per la cooperazione tra i regolatori nazionali, in cui concorrono autorità statali incorporate nel processo regolatorio europeo. In breve, un vero e proprio labirinto. Una guida efficace sono i 22 saggi raccolti nel volume a cura di Alberto Clò, Stefano Clò e Federico Botta “Riforme elettriche tra efficienza ed equità”, Bologna Il Mulino, 2014. Ha pienamente ragione Sabino Cassese nel sottolineare che siamo in una fase di transizione, con un mercato che continua ad essere oligopolistico, con molte e complesse nuove regole. Ciò non vuol dire che il riassetto del settore (eliminando ad esempio duplicazioni ed accavallamenti), debba essere simultaneo alla cessione di quote, ma dovrebbe, per mostrare un nesso, avvenire nei prossimi mesi. Allora sarebbe una ‘vera’ privatizzazione con una ricaduta istituzionale sul funzionamento del mercato.