Le figuracce sulle grandi opere ci allontanano dalla ripresa

Davide Giacalone – Libero

Il rito è sempre lo stesso: condannare alcuni senza processo per non doversi interrogare sulle responsabilità diffuse. Parlare dei funzionari come portentosi ministri ombra, per non doversi domandare come mai i titolari non sono l’ombra di ministri. E mentre si celebra il rito inutile dell’irresponsabilità collettiva si perde di vista il cuore del problema, che non è criminale, ma economico: la ripresa non può essere innescata solo da politiche monetarie e l’Unione europea s’industria a liberare investimenti, pubblici e privati, in quelle che noi chiamiamo «grandi opere».

Da noi ci sono due possibilità: che ad averne la gestione siano costantemente dei lestofanti, o che chiunque le gestisca è passibile di finire in galera, perché è discrezionale e deresponsabilizzante la gestione degli appalti quanto quella delle inchieste. Il che ci mette nelle peggiori condizioni per agguantare la parte strutturale e permanente degli investimenti e della ripresa. Questo è il problema.

Alcuni funzionari, fra i più capaci, diventano potenti e inamovibili perché i ministri sono incapaci  e di passaggio. I secondi creano o accettano meccanismi che non possono funzionare, sicché tocca ai primi trovare il modo di raggiungere comunque il risultato. All’inizio è genialità e arcana furbizia, sì che qualche binario s’imbullona e qualche trave si poggia. Con il tempo diventa abitudine alla deroga e alla scorciatoia, imboccata con una discrezionalità patologica quanto l’irrealistica regolarità.

Vedo che molti di quelli che ne scrivono non hanno idea di come funzioni una gara o un appalto pubblici: un’orgia per amministrativisti, una palestra del ricorso, una fucina ch’emana vapori e clangori, ma non batte un chiodo. E quando s’accorcia pericolosamente la distanza temporale fra il lavoro da farsi realizzare e la procedura che non ha mai cominciato a camminare, ecco che si deve derogare o prorogare. Ma non è finita, perché anche derogando l’ipocrisia vuole che si racconti al volgo l’acuta capacità dell’ottusità ministeriale, capace di risparmiare operando. Così le gare diventano bische e i prezzi fantasie ribassiste. In quelle condizioni si chiude la procedura, ma certo non si realizza il lavoro, E allora ecco che partono le revisioni dei prezzi. Tante lievitazioni dei costi sono, in realtà, conseguenza di progetti irrealistici e preventivi farlocchi. Ma, anche qui, una volta che ci prendi la mano ci metti anche il resto, regali e consulenze compresi.

Anziché rimediare cambiando radicalmente la procedura, che diventerà razionale solo il giorno in cui si accetterà il principio che dal mondo non si bandiscono il vizio e l’interesse, ma se ne attribuisce il merito e la responsabilità a chi ha il potere (da noi alleviamo impotenti  irresponsabili, sicché prodighi nel vizio e proni all’interesse), preferiamo lo spettacolo dell’inchiesta. Sempre uguale e sempre nuovo, conferma ripetitiva di un costume che Manzoni vide con impareggiabile lucidità: «Servo encomio e codardo oltraggio». Ecco, dunque, il pubblico ministero che fa la conferenza stampa ed espone l’accusa sotto l’egida della giustizia, sicché il tribunale, che arriverà dopo anni, si troverà non a curare un malato, ma a farne l’autopsia. Ecco i vignettisti che raffigurano in galera gli arrestati, dimentichi che si tratta d’innocenti e i comici specializzati nel bastonare il cane che affoga. Ecco gli indignati in servizio permanente effettivo. Ed ecco quelli che leggendo queste righe diranno «garantismo peloso», ove spero che comprendano l’aggettivo meglio del sostantivo.

A tutti sfugge un dettaglio: che siano ladri agguantati o vittime in ceppi (senza che una cosa escluda necessariamente l’altra), a noi restano i cocci di una macchina pubblica intrisa di cieca ipocrisia, incapace di gestire quello che in questo momento sarebbe vitale: la ripartenza delle grandi opere. L’esito del derby fra colpevolisti e innocentisti, tifoserie comunemente avverse al diritto, lo conosceremo quando non gliene fregherà più niente a nessuno. Già da oggi conosciamo il risultato nazionale: meno di zero.