L’alto risparmio italiano è ormai solo un’illusione
Pietro Reichlin – Il Sole 24 Ore
Si dice spesso che l’Italia può contare su un’alta propensione al risparmio delle famiglie. Si tratterebbe di una garanzia di stabilità finanziaria a fronte di un debito pubblico elevato e di un persistente disavanzo dello Stato. Almeno dal 2000 tale affermazione non è più corrispondente alla realtà. Se nel 1997-98 il tasso di risparmio delle famiglie era ancora intorno al 20% (un primato tra i paesi Ocse), oggi il valore è sceso all’8-9%. Il fenomeno è certamente una conseguenza della recessione: quando il reddito personale cala, si risparmia meno per evitare un calo eccessivo dei consumi. Ma non possiamo escludere un cambiamento strutturale. Già dal 2000, infatti, il saggio di risparmio degli italiani si è allineato ai valori degli altri paesi europei, attestandosi tra il 15 e il 16 per cento del reddito disponibile.
La caduta del risparmio delle famiglie non è solo un problema per quanto riguarda la dinamica della ricchezza finanziaria (sia pure ancora elevata in rapporto al Pil), ma è principalmente un freno alla dinamica degli investimenti. È noto che il nostro paese ha una scarsa capacità di attrarre capitali dall’estero e, quindi, la crescita dello stock di capitale, da cui dipende la produttività e il reddito futuro, è fortemente correlata con il risparmio nazionale. La riduzione del saggio di risparmio delle famiglie ha infatti contribuito notevolmente alla discesa degli investimenti e del risparmio nazionale dal 1997 al 2012, diminuiti di 4,8 punti in rapporto al Pil. Si tratta di uno dei risultati peggiori tra i paesi dell’Ocse.
Eppure, questo calo è circa la metà di quello subito dal saggio di risparmio delle famiglie nello stesso periodo, che è stato di oltre 9 punti percentuali. Dai dati del 2013, si evince che il risparmio complessivo delle famiglie costituisce circa il 6% del Pil e, poiché il risparmio del settore pubblico è quasi nullo (-0,3% del Pil), ciò significa che il risparmio societario è arrivato al 12-13 per cento. La conseguenza è che oggi il risparmio delle famiglie italiane rappresenta non più di un terzo del risparmio nazionale. Questo quadro getta qualche ombra sulla possibilità di uscire dalla crisi con un aumento dei consumi (cioè un’ulteriore caduta del saggio di risparmio familiare) e sull’efficacia di altri stimoli al credito bancario in un’economia in cui la dinamica degli investimenti deriva in misura sempre maggiore dagli utili non distribuiti.
La crescita del risparmio societario, a decorrere dalla crisi del 2008, è un dato comune ai principali paesi industrializzati. Si tratta di una reazione di carattere precauzionale, determinata dalla caduta dei profitti avvenuta nel 2008-2009 e dalla maggiore incertezza, ma anche la conseguenza di un processo di risanamento dei bilanci, cioè dell’uso dei risparmi per ripagare debiti pregressi. Il credito netto delle imprese, cioè la differenza tra risparmio societario e investimenti, è diventato positivo dopo il 2008 in Canada, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti. In questo modo le imprese sono riuscite a risanare velocemente i propri bilanci recuperando la caduta degli investimenti che si è verificata immediatamente dopo la crisi. In Italia questo processo avviene con maggiore ritardo. Fino al 2012 il credito netto delle imprese è rimasto negativo, con un ulteriore aumento dell’indebitamento ed una caduta più accentuata degli investimenti fino al periodo corrente.
La conclusione è che le famiglie italiane risparmiano sempre meno, a causa della caduta dei redditi, e le imprese ricorrono con sempre maggiore frequenza alle risorse interne per ristrutturare i bilanci. Poiché i profitti sono deboli, ciò ha conseguenze negative sugli investimenti e ritarda la ripresa economica del paese. Adottare misure per aiutare le imprese a consolidare la propria posizione finanziaria e affrontare le ristrutturazioni produttive potrebbe essere più efficace che puntare ad una ripresa dei consumi.