Per le start up meglio meno tasse che la pioggia di fondi pubblici

di Massimo Blasoni

Lo scorso anno gli under 35 hanno aperto quasi 120mila nuove imprese e al tempo stesso il saldo tra aperture e chiusure è risultato ampiamente positivo: +63.646. Questi dati, forniti da UnionCamere, appaiono significativi e fanno da contrappeso all’elevatissimo tasso di disoccupazione giovanile. Sostenere questo processo è importante, occorre però individuare la maniera più efficace per farlo.

Finora Stato e singole regioni hanno dato vita a una miriade di iniziative. Si va dalle erogazioni di Invitalia ai progetti di Garanzia Giovani, da Intraprendo in Lombardia a Lazio Innova, da Start&Growth in Liguria a Startup in progress in Molise e giù giù a seguire un elenco infinito. Si tratta spesso di misure tortuose (rese impervie da innumerevoli domande, bolli e regolamenti) che rimangono in parte inutilizzate o che paradossalmente impiegano la maggior parte delle risorse nelle strutture burocratiche preposte alle istruttorie dei singoli progetti. Soprattutto passano anni prima che i richiedenti ricevano finanziamenti o garanzie al credito. In un’economia veloce come quella globale tutto questo ha poco senso: nel frattempo l’azienda è autonomamente decollata oppure è già morta.

Dispensare contributi pubblici non sembra poi la soluzione migliore: alimenta l’idea dell’impresa assistita e risente della gestione politica delle provvidenze. Una proposta? Ridare vita al Decreto Tremonti n. 357 del 1994, che stabiliva la completa detassazione delle nuove imprese costituite da under 32. Toglieva Ires e Irap, eliminava le imposte comunali per l’esercizio di imprese e sugli immobili; toglieva anche la tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche e soprattutto (e per ogni tributo) i connessi adempimenti. Un elemento, quest’ultimo, da non sottovalutare in un Paese in cui un imprenditore lavora in media due mesi all’anno per assolvere alle procedure burocratiche.

Quel beneficio valeva per un triennio e sino alla rilevante soglia di un miliardo annuo di lire, cioè un milione di euro attuale o giù di lì.Se riproposta, questa misura potrebbe mettere in moto un rilevante numero di imprese e connessi posti di lavoro. Si dirà che esiste già il regime forfettario per le Partite Iva previsto dalla Legge di Stabilità. Vero, ma porre a 30/50mila euro il limite di fatturato per godere dell’esenzione fiscale vanifica nel concreto la norma. Un’altra obiezione è che questa disposizione aprirebbe la strada a qualche furbetto e ridurrebbe il gettito tributario. È fin troppo facile rispondere che i benefici legati al probabile avvio di tante start up sane prevalgono di gran lunga su queste contestazioni.

Funzionerebbe? A guardare le statistiche allora funzionò. Con certezza posso dire una cosa: incentivato da quella misura, nel 1996 diedi avvio a una società insieme a un ex compagno di classe. Oggi è una Spa che occupa quasi 2500 persone e opera in tutta Italia.