Mancano ancora le politiche attive e i soldi per finanziarle

Gianni Bocchieri – Libero

Con l’individuazione di criteri di delega tanto ampi, per il giudizio sulla portata riformatrice del Jobs act si è attesa l’emanazione dei primi decreti delegati. La definizione del contratto a tutele crescenti è avvenuta con un provvedimento che non consente di superare tutte le possibili obiezioni. Innanzitutto, non è stata superata la segmentazione del mercato del lavoro, determinandone un’altra: da una parte ci saranno i lavoratori per cui vale il precedente articolo 18 e dall’altra i nuovi assunti con il contratto a tutele crescenti. Inoltre, non è ancora chiaro come la flessibilità in uscita sarà opportunamente bilanciata da un sistema di politiche attive.

Le maggiori perplessità permangono sulla riforma delle forme di sostegno al reddito che dovrà portare al superamento dei vecchi ammortizzatori sociali. Infatti, non è ancora chiaro su quali funzioni e su quali strutture poggeranno le politiche passive nel loro incrocio con quelle attive. I provvedimenti delegati fanno indistintamente riferimento ai Centri per l’impiego e alle agenzie pubbliche o private accreditate, in un contesto organizzativo dopo l’abolizione delle Province.

Ma non era nemmeno necessario aspettare i decreti delegati per confermare il sospetto che manchino le risorse per la riforma del mercato del lavoro. Lo stanziamento previsto dalla legge di stabilità, pari a 2,2 miliardi per il 2015, non è sufficiente a coprire il fabbisogno, né per le politiche passive né per quelle attive. Ora, alla certezza della insufficienza delle risorse attuali, si aggiunge anche l’incertezza per quelle future: per tutte le misure si afferma che la copertura per gli anni successivi al 2015 deve avvenire tramite le risorse stanziate per gli altri provvedimenti attuativi del Jobs act, al momento sconosciute anche allo stesso governo.

Quando tutto l’assetto del Jobs act sarà definito, inclusa la riforma del Titolo V, con l’istituzione dell’Agenzia nazionale, il giudizio potrà essere più compiuto. La speranza è che non sia troppo tardi soprattutto se la nuova organizzazione del mercato del lavoro dovesse farci rimpiangere le vituperate Regioni e le soppresse Province. Ma non ci pare che qualcuno sia riuscito a dare una riposta positiva e convincente alla domanda che sorge spontanea: perché mai lo Stato dovrebbe riuscire a fare ora ciò che non è riuscito a fare fino al 1997, quando si è deciso di delegare i servizi all’impiego a Province e Regioni?