Manovra nel solco del New Deal, l’asso è il Tfr
Stefano Patriarca – Europa
Una politica economica anticiclica e affronti il nodo del lavoro deve aumentare la domanda aggregata (consumi e investimenti) e contestualmente agire sulle condizioni dell’offerta che sia il mercato del credito, del lavoro, della concorrenza, delle condizioni di contesto. Agire solo sull’offerta sarebbe inutile, se per le imprese non cambiano le aspettative e la domanda, se non ha sete “il cavallo non beve” per quanta acqua gli metti davanti. Ma se le aspettative si invertono le condizioni dell’offerta diventano decisive. Per questo non esiste l’alternativa “prima la crescita e poi la regolazione” o viceversa, è una discussione come quella sull’uovo e la gallina. La più grande operazione anticiclica fatta, il New Deal di Roosevelt fu un grande mix di interventi sull’offerta e sulla domanda (e per questo anche Keynes ebbe da ridire).
La legge di stabilità e gli altri provvedimenti del governo muovono passi in quella direzione. Per la prima volta da molti anni si utilizza lo strumento del finanziamento in deficit. La legge di stabilità sceglie di operare tagli sulla spesa pubblica (certo inferiori al previsto ma senza toccare sanità e pensioni, e senza aggravare la situazione occupazionale), tagli ai quali corrisponde un’equivalente operazione di riduzione di tassazione per imprese e famiglie, più ulteriori interventi di detassazione finanziati in deficit, tra i quali il rilevante finanziamento degli ammortizzatori sociali. Un’operazione che a vincoli europei immutati è una sorta di cubo di Rubik, ma sicuramente positivamente innovativa. Ci si deve interrogare piuttosto sul livello di efficacia dell’intervento in termini di input anticiclico. È noto infatti che gli effetti moltiplicativi sull’economia dei una riduzione di tassazione, sono molto più lievi e lenti rispetto ad interventi diretti di domanda aggiuntiva fatti tramite investimenti o consumi.
È proprio per rendere efficace l’intervento che la manovra ha calato una sorta di asso: il Tfr in busta paga. Si tratta di una sorta di quattordicesima che tutti i lavoratori possono liberamente decidere di avere ora, riducendo il risparmio futuro. Da tempo ho sostenuto che tale operazione fosse importante e necessaria. L’impatto sul reddito di una famiglia può essere del 7%, su tutti i consumi tra l’1 e il 2%, sul Pil tra lo 0,8 e 1,5% (in relazione a quale sarà l’adesione dei lavoratori).
Se le condizioni concrete di attuazione saranno coerenti con le enunciazioni (condizioni che ho sottolineato più volte come essenziali), l’operazione ipotizzata dal governo non graverà sulle imprese (perché l’anticipazione sarà a carico delle banche), non costituirà un aumento fiscale per i lavoratori perché la tassazione sarà separata (come quella che il lavoratore avrebbe alla fine del rapporto di lavoro) per le banche (remunerate con il conveniente tasso di capitalizzazione del Tfr indicizzato all’inflazione) è una forma di impiego risk free, più redditizia dell’impiego in titoli pubblici e utile anche alla stabilizzazione finanziaria degli impieghi.
Finalmente si intacca un vero tabù della nostra società: il fatto che la crescita dipenda sostanzialmente da quanto si risparmia e che il benessere futuro possa essere solo a scapito del benessere di oggi. Siamo un paese che risparmia più di ogni altro in case, che ha una ricchezza pensionistica futura (anche con il sistema contributivo) comparabile e spesso superiore a quella degli altri paesi europei, che ha quote di ricchezza finanziaria superiori alla media europea, che può permettersi di investire all’estero 35 miliardi del Tfr che le imprese italiane hanno versato, che destina a risparmio quasi il 45% del monte retribuzioni. E questo spesso in nome di una falsa valutazione sulle future pensioni pubbliche che avranno una tasso di sostituzione più basso dell’attuale (eccessivamente alto), ma adeguato. Nessun sistema al mondo può garantire pensioni floride con un disastroso mercato del lavoro e senza crescita. La garanzia del reddito futuro non è solo in quanto si risparmia, ma in quanto si cresce, in quanto sarà qualitativamente alto e non barbarico il mercato del lavoro, in quanta occupazione aggiuntiva vi sarà per i giovani.
Quando la crisi provoca una disoccupazione rilevante specie per i giovani, anticipare un po’ di ricchezza futura dei meno giovani per finanziare consumi, redditi e posti di lavoro è un segnale importante, perché mentre si predica loro di non vivere da cicale, si eviterà di ritrovarsi con un mondo di giovani formiche morte, alle quali anche se affamate sarebbe vietato di mangiare un po’ di quel cibo che stanno portando all’ammasso per le generazioni precedenti.