Non c’è scampo, le riforme vanno imposte dall’alto

Ester Faia – Panorama

Gli Stati Uniti d’America hanno attraversato molte crisi dell’unione prima di raggiungere il punto attuale. Lo stesso succede e succederà per l’Europa fino al momento in cui l’unione sarà completa. Il referendum scozzese dimostra che nessuno Stato o regione appartenente a un’unione vuole tornare indietro: i costi sono troppo alti e le persone imparano a capirsi meglio stando insieme. Si può solo andare avanti. La situazione attuale con alcuni paesi, come l’Italia e la Francia, che non riescono a mantenere gli impegni di bilancio e altri come la Germania, che hanno un surplus eccessivo di partite correnti, è solo un’altra crisi di questo processo di integrazione.

Quando la crisi finanziaria ha mostrato la debolezze del sistema europeo, in cui il controllo dei rischi così come i meccanismi di risoluzione degli istituti di credito in crisi non erano omogenei tra i paesi dell’area, la soluzione adottata è stata la creazione dell’unione bancaria. Un passo avanti che ha indotto molte banche a ricapitalizzare e rendersi più sicure. Ma per capire quale dovrebbe essere il prossimo passo (che non è necessariamente l’unione fiscale, non attuabile in questo momento secondo il principio per il quale non ci può essere tassazione senza rappresentanza) bisogna analizzare le ragioni degli attuali squilibri di bilancio.

La ragione per cui alcuni paesi soffrono squilibri nei bilanci pubblici e altri nei bilanci delle partite correnti è paradossalmente la stessa. La mancanza di efficienza nella produzione di beni e servizi. Nel caso dell’Italia questo genera scarsa crescita facendo quindi scendere le entrate fiscali e salire il rapporto debito-pil. Nel caso della Germania l’inefficienza del settore dei servizi tiene bassa la domanda interna e spinge i tedeschi a investire all’estero: è il flusso di capitali verso l’estero che tiene alto il surplus delle partite correnti. Problemi diversi ma con la stessa diagnosi: la mancanza di efficienza. Per migliorare quest’ultima c’è bisogno di riattivare il processo avviato dal Trattato di Lisbona (noto anche come trattato di riforma) rimasto dormiente fino a oggi in quanto nessuna crisi aveva reso palese la necessità di questo ulteriore passo verso l’integrazione.

Le riforme necessarie per liberalizzare il mercato di beni e servizi o per migliorare e uniformare l’investimento in educazione sono difficili da attuare tramite il normale processo politico. I governi tendono a evitare parti delle riforme che possono scontentare le loro piattaforme elettorali. Ma se le riforme sono indicate dall’alto, così come e avvenuto per la moneta unica, che ha fermato i processi inflattivi di alcuni paesi, o l’unione bancaria, che ha già indotto molte banche a ricapitalizzare, allora la loro attuazione diventa più facile. Non solo, ma il coordinamento tra paesi nell’attuare le riforme aiuterebbe a ridurre la sensazione di disparità tra cittadini europei. Riforme imposte a un solo paese per volta provocano reazioni negative nei residenti. Allo stesso modo riforme attuate senza sincronia temporale possono garantire ad alcuni paesi posizioni dominanti in alcuni settori. Il coraggio richiesto ai politici per andare verso il processo di integrazione (riducendo quindi il loro potere) è più forte e più duraturo del coraggio necessario per attuare le riforme stesse. Queste ultime sono state spesso fatte ma anche modificate a breve distanza per esigenze di elettorato; al contrario dal processo di integrazione non si torna indietro.