Non date più soldi all’Opera di Roma
Paolo Conti – Corriere della Sera
Il Teatro dell’Opera di Roma, cioè l’antico Costanzi. Ovvero il luogo in cui il sindacalismo capovolge con arroganza, e spesso con violenza, qualsiasi elementare regola: una minoranza che impone il proprio diritto di sciopero e nega alla maggioranza il proprio, di diritto: voler lavorare. II Teatro Costanzi, l’unica realtà musicale al mondo capace di disgustare un protagonista della scena internazionale come Riccardo Muti, prima nominato direttore artistico a vita e poi costretto a subire rabbiose rivendicazioni, autentici assalti personali tanto umilianti quanto impensabili in qualsiasi altro teatro d’opera al mondo.
Scena iniziale, siamo a febbraio nelle convulse ore della prima di Manon Lescaut, poi fortunosamente rappresentata. Muti è nel camerino, una dozzina di musicisti aderenti alla Fials e alla Cgil entrano urlando e senza chiedere alcun permesso: «Deve dire se lei sta con noi o contro di noi!». Non è il film di Fellini sulla Prova d’Orchestra ma pura realtà. Ancora, sempre nei giorni della Manon Lescaut . Alla prova anti generale l’orchestra proclama un’assemblea selvaggia e improvvisa. Muti attende il ritorno dei musicisti. Un’attesa di quasi mezz’ora. Poi gli orchestrali tornano. I macchinisti, dal palcoscenico, protestano gridando: «Vergognatevi, tornate a lavorare» . Altro che la necessaria concentrazione per una prova delicata e importante. E infine l’oltraggio dei venti musicisti, incluso il primo violino, che si rifiutano di seguire Muti nella tournée in Giappone tre mesi fa.
In qualsiasi altro teatro al mondo, i Maestri dell’orchestra avrebbero fatto a gara per il privilegio di partire con lui e rappresentare una capitale in un importante Paese così importante, per di più pieno di melomani appassionati. Muti lascia Roma e col suo gesto svela ciò che è già chiarissimo. Un teatro lirico capitolino, certo non tra i più stimati nel mondo, che riesce a perdere un vero Maestro per di più ribaltando qualsiasi regola democratica: la minoranza che ha la meglio sulla maggioranza. Trenta-quaranta orchestrali che bloccano il lavoro di cinquecento persone, proclamando scioperi che poi impediscono il compenso alla maggioranza che li ha subiti.
Carlo Fuortes, che dal 2003 amministra con successo l’Auditorium Parco della Musica progettato da Renzo Piano, vive una condizione schizofrenica da quando, nel dicembre 2013, è stato chiamato con urgenza dal sindaco Ignazio Marino a governare l’Opera. All’Auditorium convive con l’Orchestra di Santa Cecilia che rispetta impegni e programmi, mai si sognerebbe di organizzare incursioni nel camerino di un grande direttore e soprattutto non proclama assemblee che mostrano una concezione dittatoriale del sindacalismo. Dall’altra si ritrova nel caos dell’Opera, sovvenzionato con ben 18 milioni dalle disastrate casse del Campidoglio, dove qualsiasi accordo viene negato il giorno dopo mostrando una concezione distruttiva della rappresentanza sindacale.
C’è infatti da chiedersi se Fuortes non avesse davvero ragione già a luglio quando parlò di una possibile chiusura e liquidazione dell’Opera: Fials e parte della Cgil avevano rimesso in discussione l’intesa, appena raggiunta, sul piano industriale. La stessa idea di sindacalismo distruttivo è tornata pochi giorni fa, quando la solita minoranza ha boicottato il referendum sul piano industriale, dichiarandolo illegale. Perché l’assurdo è che Muti viene costretto ad andarsene mentre l’Opera sta riuscendo faticosamente a risanare il proprio devastato bilancio grazie alla legge voluta, alla fine del 2013, dall’allora ministro Massimo Bray.
Ora l’Opera resta senza Muti ma è costretta a tenersi la minoranza antidemocratica che paralizza il teatro. Le domande si accumulano: il Teatro dell’Opera di Roma è irriformabile? Chi e come potrà mai, in simili condizioni, proporre un nuovo progetto di rilancio dopo il caso Muti? È giusto che la collettività continui a sostenere economicamente una struttura incapace non di imitare modelli europei ma semplicemente di comportarsi come l’orchestra di Santa Cecilia? Il ministro Dario Franceschini e il sindaco Ignazio Marino hanno materia sulla quale riflettere, dopo la vicenda Muti. Anzi, dopo il vero e proprio scandalo di questo addio.