Riforma del Senato, Draghi, Alitalia: tre fotografie della crisi

Stefano Folli – Il Sole 24 Ore

La riforma del Senato – la riforma Renzi – che supera, sia pure con affanno, il primo passaggio parlamentare. Mario Draghi che indica i ritardi nelle riforme strutturali dell’economia e accenna a “cessioni di sovranità”. I dipendenti Alitalia che si astengono in massa dal lavoro recapitando certificati medici di comodo. L’Italia di oggi è racchiusa drammaticamente in queste tre foto.

Nonostante le apparenze, c’è un filo che lega questi tre momenti diversi fra loro. La riforma del Senato, a cui Renzi ha legato fin troppo la sua immagine, simboleggia lo sforzo generoso di puntare sul riassetto istituzionale (insieme al Titolo V e alla giustizia) come biglietto da visita della nuova Italia giovane e dinamica. Ottimo proposito, magari anche vincente nel lungo periodo, ma dagli esiti pratici per adesso poco significativi. Anche perché il cammino di queste riforme non sarà breve.

Il premier ritiene giustamente che nel progetto innovatore ci sia un dividendo psicologico da incassare subito, trasmettendo agli italiani l’idea di una marcia inarrestabile. È vero, quasi sempre il messaggio efficace è quello che incrocia la psicologia di massa e Renzi nei suoi primi mesi si è rivelato un maestro nel suscitare speranza. Adesso però il quadro si è ribaltato e la stessa riforma del Senato arriva con qualche giorno di ritardo. Si è detto che i dati sulla recessione segnano la rivincita dei realisti sui sognatori. Se è così, Renzi non ha altra strada se non diventare ancora più sognatore e mostrarsi altrettanto determinato a procedere sulla via delle riforme. Ogni altra scelta apparirebbe una resa.

Il problema è che l’immagine del riformatore adesso è scalfita da un senso di impotenza, anche per la debolezza del disegno complessivo. Prendersela con il giovane premier sta diventando uno sport nazionale, secondo un costume molto italiano. Peraltro i fatti dicono che forse era sbagliata la scala delle priorità. E qui si inserisce l’intervento di Draghi, giudicato come uno spietato richiamo alla realtà, cioè alle vere riforme che dovrebbero essere al centro dell’azione di governo. Ieri sera alla “Sette” il premier è stato lesto a dichiararsi d’accordo con il presidente della Bce: è la mia linea, ha detto, anch’io voglio più riforme e più incisive. Reazione politica ovvia, ma dietro la quale s’intravede il secondo livello della crisi. Se l’Italia non riesce a sollevarsi da sola, l’Europa non permetterà che vada alla deriva e gli interventi potrebbero essere molto decisi. Certo, come osserva Renzi, Draghi non ha citato l’Italia quando ha evocato la «cessione di sovranità». Ma tutti quelli che dovevano capire hanno capito.

Infine c’è la terza istantanea: la più inquietante, se non la più tragica. Quei certificati di malattia presentati in massa dai dipendenti dell’Alitalia, grazie alla complicità di medici meritevoli di una rapida inchiesta, sono anch’essi un simbolo, al pari delle valigie abbandonate di chi non riesce a partire o arrivare. È il simbolo di un’Italia ottusa che si è già estraniata dal mondo.

Contro questa Italia chiusa nel suo micro-corporativismo non c’è argomento che tenga. Né il riformismo solitario e magari un po’ velleitario di Renzi, né il richiamo severo di Draghi alla dimensione europea. Non vale la politica-spettacolo che si attira tante critiche, ma almeno prova a comunicare con i cittadini, sia pure attraverso un codice populista. Tanto meno vale l’analisi delle cifre o l’appello alla verità austera dei numeri. Ai sanfedisti dell’Alitalia è inutile proporre la distinzione fra sognatori e realisti. Il loro disprezzo per le regole della vita civile è palese e coincide con il disprezzo verso i viaggiatori. È un segmento d’Italia che crede di essere più forte, come pensavano di esserlo i controllori di volo messi alla porta da Reagan.