Il sadismo fiscale di Mario Monti
Cesare Maffi – Italia Oggi
La storia della Tasi si misura in mesi, ma ammaestra come se fosse una vicenda secolare, tra assurdità, frenesie tassatorie e velleità burocratiche. Partiamo dall’Isi, che non è l’acronimo di uno Stato islamico, bensì cela l’imposta straordinaria sugli immobili, nata sotto il governo Amato I, nel ’92. Secondo l’italico costume di rendere permanente tutto quello che dovrebbe essere transitorio, l’Isi divenne presto Ici. Una patrimoniale, certo; però l’intendimento originario era diverso. Si voleva istituire un tributo sui servizi comunali: chi gode sicurezza e strade, giardini e illuminazione pubblica, deve pagare per i vantaggi che riceve. Avrebbe dovuto essere soggetto passivo chiunque ne traesse giovamento, indipendentemente dal titolo di proprietà o di possesso o di essere conduttore di un’unità immobiliare. Ovviamente non fu così, perché è molto più semplice, per far cassa, mazzolare un bene immobile piuttosto che mettersi a cercare un’altra base imponibile. Anche l’ipotesi di creare un’Imposta sui servizi comunali, che avrebbe dimezzato l’Ici, finì in cavalleria.
L’esigenza di lucrare somme sempre crescenti portò ad aumenti delle aliquote (il tetto del sette per mille da eccezionale divenne ordinario), addirittura sfondando in qualche caso il massimo per salire al nove, perfino sopprimendo il tetto, e rivalutando le rendite catastali del 5% ai fini dell’Ici. Non paghi, i legislatori crearono l’Imu, falsamente definita imposta municipale unica. Da sperimentale l’Imu è divenuta definitiva mentre le rivalutazioni delle rendite catastali hanno assunto, sotto Mario Monti, livelli di sadismo fiscale (+60% per gli immobili residenziali).
A un certo momento, nelle discussioni sul federalismo fiscale, venne fuori l’ipotesi d’introdurre una tassa sui servizi comunali. Avrebbe dovuto sostituire l’imposta patrimoniale. Si tornava alle origini, in certo modo. Ecco motivata la Tasi. La nuova imposta, però, non si misura sui servizi goduti, bensì sulla rendita catastale. È una patrimoniale. Non sostituisce l’Isi-Ici-Imu, ma si assomma. Le complicazioni dell’Ici (il ministro Vincenzo Visco, un signore che se ne intende, denunciò «l’inestricabile giungla dell’Ici») si sono moltiplicate con Imu e Tasi. I contribuenti continuano a pagare somme crescenti e incontrano difficoltà sempre maggiori. Non hanno nemmeno contezza di quanto sia la pretesa del proprio comune nei loro confronti. Non hanno alcuna certezza su modi e tempi e rate di pagamento.
Anche la Tasi deriva la propria esistenza alla volontà erariale di far cassa: sempre, dovunque, comunque. Ogni sistema è buono. Quindi, è più facile ricorrere a un’imposta patrimoniale che non a una reddituale. È più semplice colpire un bene immobile che non un bene mobile. È più facile far salire un’aliquota o una rendita catastale che non prevedere meccanismi più razionali e meno brutali. È più facile aggiungere una nuova forma impositiva a quelle esistenti, invece di sopprimerne qualcuna. È più semplice rendere stabile quel che era provvisorio, piuttosto che studiare un diverso provvedimento. A tutti questi ammaestramenti si aggiunge la beffa di qualche politico. Il bocconiano col loden, assurto a palazzo Chigi a furor di urla («fate presto!» gridava il Sole-24 ore), si è vantato: «In pochi giorni ho messo in campo la riforma della tassazione, introducendo di fatto una patrimoniale». Disse Maffeo Pantaleoni: «Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse».