Scossa utile ma attenti ai rischi
Adriana Cerretelli – Il Sole 24 Ore
Matteo Renzi cerca di sparigliare le carte in tavola a Bruxelles provando a strapazzare protagonisti, palazzi e salotti buoni del potere europeo alla stessa maniera spudorata e guascona con cui a Roma ha attaccato, con determinazione e successo, quelli italiani. «Per un Paese come il nostro che ogni anno versa al bilancio europeo 20 miliardi e ha fatto una manovra da 36, uno o due miliardi in più non saranno un grande sforzo», spiega il presidente del Consiglio al suo arrivo al vertice Ue, minimizzando le contestazioni della Commissione Ue alla legge di bilancio per il 2015, ricordando che il Trattato prevede attenuanti per circostanze eccezionali, difendendo, in nome della trasparenza verso i cittadini, la decisione, criticata invece da José Barroso, di pubblicare la lettera confidenziale ricevuta da Bruxelles. Chiarendo, infine, che non tratterà con il presidente uscente della Commissione ma con il nuovo, Jean-Claude Juncker, in carica dal 1° novembre.
L’Europa non è abituata ad avere a che fare con un’Italia polemica e combattiva, che ribatte punto su punto e senza complessi alle reprimende Ue che fin troppo spesso le piovono addosso. Ma un’Italia più presente e partecipe nella squadra europea è un bene per il Paese e per l’Europa. Però non sempre brillanti show mediatici e negoziati ad alta voce sono gli strumenti migliori per centrare gli obiettivi. Sono cinque i Paesi che hanno ricevuto lettere con richieste di informazioni e chiarimenti sulle leggi di stabilità. A parte l’Italia, nessuno ha levato gli scudi né ha pubblicato i contenuti.
Invece tutti, Francia per prima, si limitano a trattare cercando di tirare acqua al proprio mulino, di smussare gli angoli dei patti europei a proprio vantaggio. «Le regole vanno interpretate con il massimo di flessibilità per incoraggiare il rilancio degli investimenti», ha ripetuto anche ieri il francese François Hollande. Che, dopo aver flirtato con Renzi inseguendo ambiziosi patti europei per la crescita, per ora solo immaginari, sembra aver ripiegato con discrezione sulla realpolitik di sempre: intesa con la Germania nel tentativo di massimizzarne lo scudo sui mercati con il minimo sforzo in termini di riduzione del deficit e di riforme da fare. Berlino non si fida di Parigi ma non può permettersi di tirare troppo la corda rischiando di scatenare una nuova tempesta sull’euro.
Proprio perché vuole riasserire la credibilità delle regole europee, pur sapendo che nell’attuale scenario di recessione e deflazione un eccesso di severità avrebbe effetti controproducenti per tutti, Angela Merkel si muove decisa ma senza clamori. Le stentoree prese di posizione di Renzi disturbano le sue manovre con Hollande ma, soprattutto, rischiano di fare dell’Italia il materasso delle concessioni ai francesi: non per cattiveria o arbitrario accanimento ma per dare ai mercati l’esempio di una coerenza nel rispetto dei patti europei che pure alla fine non ci sarà.
Quando Renzi evoca a gran voce le circostanze eccezionali per attenuare i morsi del rigore di bilancio fa il suo mestiere. Ma quando liquida in 1 o 2 miliardi l’entità dello sforzo aggiuntivo che gli verrà richiesto corre il pericolo di venire smentito. Perché è vero che l’economia italiana boccheggia e ha un disperato bisogno di crescita e investimenti ma è altrettanto vero che nel 2014 non ha rispettato l’impegno a una correzione strutturale dello 0,7%, la stessa prevista per il 2015, ma ha registrato un aumento del deficit dello 0,3. Visto che nella prossima Legge di stabilità lo sforzo si riduce allo 0,1%, lo scostamento di cui si discute ammonta all’1,6% del Pil, una cifra superiore ai 20 miliardi. Le circostanze eccezionali, che ci sono tutte, abbatteranno l’impegno richiesto: fino a 2 miliardi è forse è sperare troppo.
Che il cambio della guardia a Bruxelles porti più comprensione per le ragioni italiane appare un grosso azzardo: ricorda quello della sinistra europea quando contava sull’avvento della Spd al governo in Germania per scardinarne i dogmi rigoristi e dare una forte sterzata alla crescita. Juncker crede con convinzione nei benefici insiti nelle politiche di austerità e riforme ma ritiene altrettanto fondamentale rimettere in moto lo sviluppo con un piano da 300 miliardi in 3 anni. Però non è chiaro quali saranno i suoi reali margini di manovra. A sentire ieri la Merkel si direbbe sempre gli stessi: «I deficit più alti non aiutano la crescita, lo dimostra l’esperienza del passato. Dobbiamo coniugare sviluppo e consolidamento di bilancio». Decisamente la partita di Renzi in Europa rischia le sabbie immobili.