Se la giustizia frena l’economia
Francesco Manacorda – La Stampa
Peso della corruzione a parte, chissà se il 2015 sarà finalmente l’anno buono per schiodare l’Italia da quella umiliante posizione – 147 a su 198 Paesi – che l’indagine «Doing Business» della Banca Mondiale ci assegna quando si parla di esecuzione forzosa di un contratto per via giudiziaria. Centoquarantasettesimi nell’ultima rilevazione e centoquarantasettesimi anche nella precedente, con un progresso certificato dello 0,00 per cento e 1185 giorni per chiudere un procedimento contro una media di 540 giorni per i Paesi più ricchi dell’Ocse. È vero, l’indagine fatta sotto le insegne della Banca Mondiale non è il Vangelo; talvolta anzi viene contestata. Ma è innegabile che il mix di tempi della giustizia lunghi e scarsa certezza del diritto è una miscela esplosiva per qualsiasi operatore economico. E innegabile è anche che chi dall’estero guarda all’Italia come terra di possibili investimenti ha più ragioni per essere preoccupato che rassicurato dalla nostra giungla normativa e regolamentare.
Ora il governo si sta muovendo proprio perché la giustizia non sia più uno dei tanti fardelli che ostacolano la crescita. E sebbene i ritardi rispetto ai pirotecnici annunci fatti da Matteo Renzi all’inizio del suo mandato siano evidenti, qualcosa è stato fatto. Lo ha spiegato anche ieri, intervenendo alla Camera, il ministro della Giustizia Andrea Orlando parlando ad esempio dell’introduzione del processo civile telematico da metà 2014 e delle formule di risoluzione delle controversie alternative al giudizio. Altri aspetti della riforma del diritto rimangono però da concretizzare, come ha ricordato anche di recente Donatella Stasio sul «Sole 24 Ore», spiegando che salvo il decreto legge sugli arretrati della giustizia civile, passato con la fiducia, gli altri sei provvedimenti annunciati dal governo il 29 agosto scorso non sono ancora arrivati in Parlamento.
Accelerare è opportuno, così come correggere altre storture che riguardano la certezza del diritto. A questo riguardo la norma che arriverà con l’«investment compact» che il governo vara oggi e che prevede invarianza delle regole fiscali e amministrative per quei soggetti che investiranno almeno 500 milioni in Italia, si presta a una duplice lettura. Dal punto di vista sostanziale è benvenuta: via libera a tutte le misure che possano attirare capitali e via libera ai grandi investimenti che creano occupazione e ricchezza. Ma da un punto di vista formale non si capisce perché la certezza del diritto, con l’impossibilità di vedersi applicare norme con effetto retroattivo diventi una sorta di privilegio graziosamente accordato dal governo a una categoria di grandi investitori e non sia invece un dato di fatto acquisito per qualsiasi operatore economico, piccolo o grande che sia. E sulle difficoltà di dare ai cittadini un diritto certo va segnalato il balletto sull’evasione fiscale e relative soglie di non punibilità in cui il governo è rovinosamente inciampato.
Nel percorso delle riforme, quella della giustizia potrà essere il passo più importante anche per quel che riguarda l’economia. C’è da ragionare anche su come finanziare un cambiamento che costa. Se andranno nella direzione di snellire e semplificare davvero il sistema, quelli per cambiare il sistema giudiziario saranno soldi ben spesi.