Lo sforzo di restituire (un po’) il maltolto

Nicola Porro – Il Giornale

Sulla prima finanziaria di Matteo Renzi si deve dire ciò che vale per ogni legge di Bilancio. Non esiste una formula miracolosa: il giorno dopo sono tutti dei fenomeni a consigliare il meglio per il paese. Spesso sono gli stessi, che con o senza responsabilità, fino al giorno prima hanno attuato o proposto il peggio. Governare i conti dell’Italia spa è un casino. Per i vincoli interni ed esterni che ci sono. Non parliamo solo dell’Europa, ma provate voi a trattare con i tecnici della Ragioneria o con le leggi che trascinano i loro effetti pluriennali senza che si possa modificare una virgola. Vabbé questa è filosofia. Andiamo al dunque. La manovra è tosta, da 36 miliardi. E, aspetto fondamentale, non è ideologica. Non è figlia di un pregiudizio politico. Una rarità per la sinistra: almeno sulla carta questo resta un governo di sinistra, o no? Per farla semplice semplice si compone di tre capitoli.

Il primo è la riduzione della spesa pubblica. Per una cifra monstre di 15 miliardi. Una buona parte a carico degli enti locali e specialmente le regioni. Non giriamoci troppo attorno, si tratta di tagli lineari belli e buoni. Ovviamente, soprattutto a livello locale, si stracceranno le vesti. Abbiamo già dato, sosterranno. È vero. Ma non siamo più nelle condizioni di andare per il sottile: occorre affamare la Bestia. E se questa prova a comprarsi un po’ di biada alzando ancora le imposte locali, saranno guai. Il rischio che si sindaci e presidenti di regione si rifacciano alzando le loro aliquote ovviamente c’è. È forse questo un buon motivo per astenersi dall’imporre loro nuovi tagli? Secondo noi, no. Lo stato deve dimagrire, regioni ed enti locali pure. Il principio è semplice così come i privati si sono arrangiati a spendere di meno e pagare di più, il pubblico si arrangi almeno a spendere di meno.

Il secondo capitolo riguarda i tagli fiscali. La cifra totale è di 18 miliardi, di cui la gran parte (10) per il bonus degli 80 euro rivolto alle sole fasce più deboli della popolazione con contratto di lavoro dipendente. Si tratta di un déjà vu , che abbiamo già criticato. Aiutare la classe medio bassa, e per di più solo una parte di essa, non aiuta i consumi. Come si è visto. Ovviamente, a questo punto togliere l’incentivo avrebbe però creato un effetto boomerang. La vera novità è aver inserito circa 7 miliardi di euro a beneficio delle imprese. In questo momento si devono aiutare loro. Il problema è dare una mano a chi assume. Il taglio dell’Irap e la defiscalizzazione delle nuove assunzioni (sommato alla riforma del lavoro che si prevede di chiudere nel giro di un anno) è cosa buona e giusta. Chiunque può trovare il pelo nell’uovo, ma ci troviamo finalmente nella condizione di criticare gli aspetti di dettaglio di un taglio fiscale invece che a commentare l’ennesima imposta creativa.

Piccola parentesi su questo aspetto. Come ha magistralmente scritto ieri Guido Tabellini: questo non è proprio il momento di incentivare le famiglie al risparmio. Le banche sono gonfie di liquidità, anche privata. Il problema oggi è spendere. L’idea di mettere a disposizione la liquidazione (anche se il vizietto di farci cassa tassandola con aliquota ordinaria il governo se lo poteva risparmiare) è sacrosanta. Solo uno Stato socialista e paternalista si preoccupa dell’insipienza dei propri sudditi nell’utilizzare i propri quattrini. Chi opterà per avere subito in busta paga il proprio tfr avrà le sue buone o cattive ragioni, e non sta ai burocrati deciderle. Ritornando dunque alla tesi di Tabellini, il combinato disposto degli 80 euro, del tfr in busta paga e delle defiscalizzazioni per le imprese agisce tutto nel verso giusto: stimolo ai consumi più che al risparmio. Se vogliamo fare i sofisti (ma evidentemente mancavano i soldi) la vera mossa per far ripartire la macchina sarebbe stata quella di dare un po’ più di ossigeno all’edilizia. Negli ultimi due anni le sciagurate tasse introdotte da Monti e Letta hanno trasferito 40 miliardi dai privati allo Stato e soprattutto hanno convinto gli italiani che la casa più che un rifugio è un debito. Una pazzia. È la mancanza più grossa di questa finanziaria. Nel nostro personale libro dei sogni sarebbe stato meglio togliere il bonus degli 80 euro e utilizzare quei 10 miliardi per la proprietà edilizia.

Infine il terzo capitolo. Parte di questa manovra (circa 11,5 miliardi) non è finanziata da maggiori tagli di spesa o da maggiori entrate, ma è finanziata a debito, aumentando il deficit. Tutto rimanendo nella soglia famigerata del tre per cento, ma rallentando il processo di risanamento che vorrebbero in Europa. Bene. Non perché sia positivo fare deficit: esso rappresenta un’ipoteca sul futuro. Oggi paghiamo le scelleratezze dei nostri padri e nonni che si sono ubriacati a botte di Krug facendo pagare il conto alle generazioni che seguivano. In un periodo di profonda recessione come questa e con prezzi in calo, fare i Mandrake del rigore è da drogati. Inoltre l’aumento del deficit non sembra dovuto a nuove leggi di spesa, ma a riduzioni fiscali. Se prendiamo un veleno, lo si faccia in modiche quantità e a fin di bene.

Il giudizio complessivo su questa manovra (anche se molti dettagli non di poco conto sono ancora da studiare) è che nei suoi saldi ha cercato di affamare la Bestia e restituire un po’ di maltolto ai sudditi.