Si vince o si perde tutti insieme
Alfonso Ruffo – Il Sole 24 Ore
Se tutto va bene siamo rovinati. Cinquant’anni di politiche straordinarie, speciali, di vero o presunto favore, sono stati gettati al vento da una crisi che nel Mezzogiorno dura da sei anni senza interruzioni, promette di resistere anche per i prossimi due e viene paragonata alla Grande Crisi che negli anni Trenta del secolo scorso atterrì l’America. Il risultato è che il divario tra il Nord e il Sud riprende ad allargarsi facendo dell’Italia il Paese con l’economia duale più marcata al mondo, con differenze così forti da un luogo all’altro da rendere la media nazionale un puro dato statistico. Insomma siamo in presenza di due realtà economiche diverse e distanti. Il Rapporto Svimez presentato ieri è in proposito molto eloquente: «Sei anni di recessione ci lasciano un’Italia ancora più divisa e diseguale». Insomma, il Mezzogiorno affonda porta in basso con sé un Centro-Nord che avrebbe ripreso a galleggiare nonostante il perdurare dei marosi. Si spiega così come sia possibile che l’economia italiana nel 2013 sia stata battuta in peggio in Europa solo dalla disgraziata Grecia e dalla piccola Cipro. Le regioni meridionali si avvitano in un circolo vizioso che rischia compromettere qualsiasi capacità di ripresa per una vera e propria dissoluzione della base materiale della crescita come il crollo degli investimenti, in particolare di quelli industriali che risultano dimezzati, fa ragionevolmente temere. La Svimez parla senza mezzi termini di eutanasia.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: i due terzi dei nuovi disoccupati si concentrano al Sud dove i posti di lavoro precipitano al livello di quaranta anni fa e solo un giovane su quattro trova impiego. Il prodotto pro capite torna alla consistenza del 2003 nonostante il progressivo calo degli abitanti. I consumi vanno a tappeto. E non solo quelli voluttuari, come sarebbe naturale, ma anche quelli di prima necessità come gli alimentari. Non è un caso che sia raddoppiato il numero delle famiglie cadute in povertà. Cala la spesa per l’istruzione e per la cura della persona con particolare evidenza su scarpe e vestiti. Chi può abbandona il campo. Sono sempre di più i giovani capaci che lasciano i luoghi di origine e cercano fortuna altrove. Naturalmente non mancano le dovute eccezioni, imprenditori coraggiosi piantati al Sud ma abituati a confrontarsi col mondo; pronti a innovare, sperimentare, conquistare spazio e fatturato. Non hanno nulla da invidiare ai colleghi di qualsiasi parte del globo ma per esistere sanno di diversi sacrificare più degli altri. La preoccupazione è seria. Tanto più che l’interdipendenza tra le due parti del Paese, tra il Sud che sembra afferrato dalle sabbie mobili e il Nord che vorrebbe rimettersi a correre, è più forte di quanto si possa immaginare dal momento che il 75% della produzione settentrionale è ancora rivolto al mercato interno. Il destino dell’Italia è uno. Si vince o si perde tutti insieme. Sullo sfondo ci sono sempre e ancora i fondi europei della vecchia e nuova programmazione che le Regioni dovrebbero imparare a usare bene per migliorare la dotazione d’infrastrutture, materiali e immateriali, e innalzare la capacità di competere.