acqua

Acqua cara

Acqua cara

Davide Giacalone – Libero

Nessuno ha voglia di dire agli italiani che se a Torino devono pagare l’acqua che non hanno consumato, se si devono preparare a due anni di aumenti del 10% delle tariffe, ciò ha anche a che vedere con il referendum sull’acqua del 2011. Allora stravinse l’idea che dovesse restarne pubblica la gestione. Questo è il risultato. Allora si fece una grande campagna contro la vendita dell’acqua ai privati, cosa che, naturalmente, era fuori dal mondo. Nessuno ha mai supposto di privatizzarla, ma di privatizzarne la gestione. A sostenere la gestione privata rimanemmo in pochini, mentre l’onda del luogocomunismo spaventò gli stessi, Partito democratico in testa, che pure avevano positivamente operato in quel senso. Il centrodestra si squagliò, com’è suo costume quando si tratta di reclamare il voto su delle cose e delle idee, anziché su sigle e nomi. Così prese corpo l’insanabile contraddizione: da una parte sembra che tutti detestino le gestioni e le nomine politiche, dall’altra si volle che l’acqua restasse nelle mani della politica e dei nominati.

Le società variamente pubbliche che gestiscono l’acqua sono 1.600. Uno sproposito. Si dovrebbe chiuderle quasi tutte. Di queste 350 hanno ottenuto l’aumento delle tariffe: +3,9% nel 2014 e + 4,8 nel 2015. Così l’inflazione non la crea la crescita della ricchezza, ma la sua decrescita a favore delle tariffe amministrate. Le 350 che faranno crescere la bolletta, con un maggiore esborso medio di 130 euro annui a famiglia, sono le più grosse, quindi quelle che servono il maggior numero di clienti. La domanda è: le altre 1.250 società hanno rinunciato all’aumento? No, è che non hanno neanche presentato i dati minimi di bilancio. Non si sa quanto investono, quindi non si può disporre l’aumento delle tariffe. 1.250 società, variamente pubbliche, non hanno compiuto adempimenti elementari che, se si trattasse di privati, in ogni altro settore, provocherebbero l’arrivo della Finanza.

Torniamo alle 350: perché chiedono un aumento? Perché dicono di dovere fare investimenti nella rete. Dicono, cioè, esattamente quel che scrissi all’epoca del referendum: mentre l’impresa privata, che giustamente mira al profitto, fa investimenti per aumentare la redditività della rete, quella pubblica i soldi degli investimenti li chiederà ai cittadini. Mentre nel concedere a privati la gestione della rete di distribuzione si deve stabilire, in partenza, quali saranno gli investimenti che sono tenuti a fare e quale sarà il quadro tariffario in cui dovranno muoversi, quando si passa alle società pubbliche la musica cambia, perché sono amministrate dai compagnucci degli amministratori politici, quindi se hanno bisogno di soldi chiedono che siano presi dalle tasche dei clienti. Se, come è successo a Torino, i clienti si mettono a risparmiare, consumando meno acqua, scatta l’applicazione del minimo, sicché pagheranno anche quella che non scialacquarono.

All’Autorità per l’energia, il gas e l’acqua dicono: era necessario aumentare le tariffe, perché sono decenni che non s’investe nelle reti. Ma perché questo non lo si disse agli elettori, nel 2011? Era chiaro che così sarebbe andata a finire. Tanto chiaro che lo scrivemmo. Tutta questa gnagnera dei “beni comuni” e delle cose che devono restare in mano al pubblico, quindi alla politica e ai partiti, perché così si evita 1’avidità dei privati, serve solo a far da alibi all’insaziabile bisogno della macchina pubblica di ciucciar via quattrini dalle tasche dei cittadini. Che, in questo caso, sebbene raggirati, se la sono anche cercata. Non potendo tornare indietro (non prima del 2016) almeno si proceda al disboscamento delle società e alla stipula di convenzioni che obblighino agli investimenti, pena la perseguibilità degli amministratori. Sarebbe già qualche cosa.

Una stangata sulle bollette dell’acqua

Una stangata sulle bollette dell’acqua

Luigi Grassia – La Stampa

L’Autorità per l’energia elettrica e il gas è responsabile anche (dal 2012) del settore acqua, e ieri in questa sua funzione ha approvato lo schema delle nuove tariffe idriche. Per la prima volta il Garante di settore ha stabilito un criterio omogeneo in tutta Italia, che interesserà le bollette circa 40 milioni di utenti. Con quali conseguenze sui bilanci delle famiglie? In massima parte ne risulteranno dei rincari, condizionati però a investimenti delle aziende idriche per migliorare la qualità del servizio e ridurre 1’impatto ambientale. Se si guarda ai numeri medi (che nascondono una realtà locale frastagliatissima) l’Authority di Guido Bortoni ha deciso rincari di quasi il 10% in un biennio, sommando il +3,9% del 2014 e il +4,8% nel 2015. Però, come detto, questo non varrà per tutti: quasi 6 milioni di consumatori avranno non un aumento ma una riduzione di tariffa, addirittura del 10%.

Scomponendo i numeri in maniera più precisa, dai numeri dell’Autorità si scopre che in Italia le aziende che forniscono l’acqua sono più di 1.600. Una minoranza di queste, circa 350 con 34 milioni di clienti, si vedrà riconosciuto un aumento della remunerazione di quasi il 10% cumulativo attraverso le bollette. Invece le rimanenti 1.250 aziende idriche, che sono quasi tutte municipalizzate piccole o piccolissime, con 6 milioni di utenti, avranno tariffe ridotte in misura quasi speculare del 10%. Come mai quei 6 milioni di clienti sono cosi fortunati? La loro fortuna corrisponde alla sfortuna delle compagnie. Infatti le 1.250 compagnie i cui utenti pagheranno meno sono quelle che non hanno comunicato all’Autorità i dati necessari a determinare le tariffe (per esempio le cifre degli investimenti); quindi queste compagnie vengono punite della loro inadempienza.

Ma perché agli altri 34 milioni di utenti bisogna infliggere un rincaro in bolletta? Il fatto è, spiega l’Authority, che gli investimenti nel settore idrico erano fermi da decenni, e questo ha portato a molti disguidi: forti perdite d’acqua dalle tubature, in certi casi interruzioni del servizio, soprattutto d’estate quando dell’acqua c’è più bisogno, e anche problemi di impatto ambientale (ne creano tutte le attività industriali e di servizio, comprese quelle che sembrano più neutre, come appunto l’acqua). Nei prossimi quattro anni, in cambio dei rincari in bolletta saranno attivati 4,5 miliardi di investimenti, divisi in vari capitoli: le nuove infrastrutture, il miglioramento dei servizi esistenti e la tutela dell’ambiente. Grosso modo l’importo di questi investimenti sarà pari al valore totale degli impianti finora realizzati.

Se si tiene conto dello schema deciso dall’Autorità, si ridimensiona anche una storia particolare come quella di Torino dove l’acqua (è stato detto) rincarerà perché i consumi sono calati e l’azienda idrica locale vuole garantire comunque i suoi introiti. In realtà le compagnie non possono fare quello che vogliono: l’Autorità offre loro una specie di menù, nel quale le aziende possono scegliere il modello tariffario più congruente con gli investimenti fatti e quelli da fare. Fra le associazioni dei consumatori, l’Adusbef calcola che sul complesso delle famiglie italiane si abbatterà «una stangata tariffaria di oltre 130 euro a famiglia nel 2014-2015». L’Autorità non conferma. Quanto al canone Rai da inserire nella bolletta elettrica (come ipotizzato), il garante Bortoni ha ripetuto che sarebbe una scelta «impropria e molto difficile». Adesso spunta l’ipotesi di inserire il canone nella dichiarazione dei redditi.