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Attrarre multinazionali con un fisco più competitivo

Attrarre multinazionali con un fisco più competitivo

Andrea Tavecchio – Corriere della Sera

Il 22 settembre scorso l’Internal Revenue Service (l’agenzia delle entrate statunitense) e il dipartimento del Tesoro hanno decretato una radicale, sofisticata e immediata modifica delle regole sulla tassazione per le imprese che, fondendosi, riuscivano a spostare la sede fiscale fuori dagli Usa, godendo così di vantaggi fiscali. Un esempio più recente, anche se non andato a buon fine, è quello dell’offerta da 100 miliardi di euro della società farmaceutica americana Pfizer agli azionisti della concorrente inglese AstraZeneca. La mossa del governo Obama ha reso esplicito che è considerato interesse nazionale primario mantenere i quartieri generali delle multinazionali negli Usa. La competizione fiscale internazionale diventa ogni giorno più serrata e Washingon ha battuto un colpo fortissimo: bene il mercato, la finanza e la concorrenza, ma in campo fiscale l’America viene prima di tutto.

In questa competizione, l’Italia è, non da oggi, un vaso di coccio. Non sembra avere, infatti, né una esatta strategia per attrarre capitali e lavoro qualificato né la forza anche culturale, come gli Stati Uniti, di fare guerra nei fatti al tax planning che le multinazionali, legittimamente, mettono in atto per abbassare il loro carico fiscale complessivo. Il governo Renzi, che ha un capitale politico importante, potrebbe dare una svolta se agisse in modo ordinato, non ideologico e rapido. Un primo segnale potrebbe venire già dal Jobs act se, nel merito, fosse effettivamente innovatore. Subito a seguire bisognerebbe approvare una pacchetto di norme per modernizzare la tassazione dei redditi da attività tipiche di holding (come dividendi e royalties) e rendere più veloce il sistema dei visti facilitando, anche fiscalmente, chi da straniero viene a vivere o lavorare in Italia. Sarebbero solo primi passi, ma darebbero un segnale importante. Mantenere ed attrarre quartieri generali di multinazionali in Italia è diventata – finalmente – una priorità politica. Come nel resto del mondo.

Due idee fiscali per il governo (a costo zero) per mobilitare risorse private

Due idee fiscali per il governo (a costo zero) per mobilitare risorse private

Andrea Tavecchio – Il Foglio

Negli ultimi tempi il tono della discussione sulla crisi italiana, che dura da sette lunghissimi anni, ha preso una direzione quasi unanime. Non è più sufficiente l’ordinaria amministrazione ci vuole una terapia d’urto. Le soluzioni proposte sono tante. Accanto a ricette più classiche – ma troppe volte rimandate – come una riduzione significativa delle imposte su chi produce reddito accompagnata da una seria spending review e da una modernizzazione dei contratti di lavoro sulla scia delle proposte del senatore Ichino, si comincia a leggere, finalmente, sia delle necessità di intervenire – con modalità simili a quanto già avvenuto in altri paesi Europei – sulle sofferenze bancarie sia di mobilitare centinaia di miliardi di euro facendo leva sul patrimonio pubblico. Tutte ipotesi da realizzare al più presto, senza ulteriori indugi anche perché queste manovre, come ricordato anche dal ministro Padoan, ci mettono almeno diciotto mesi per dare dei frutti visibili. Non c’è tempo da perdere. Quello di cui si discute ancora poco è di come mobilitare le risorse private. In Italia bisogna cambiare marcia nel rapporto tra fisco e contribuente, l’obiettivo deve essere far pagare le tasse, ma senza bloccare i consumi e gli investimenti.

Qui di seguito due proposte. Il governo si impegni perché l’ordinamento tributario italiano si doti di una norma, di rango costituzionale, che riconosca il principio della certezza dei rapporti giuridici in materia fiscale, rafforzando i principi di irretroattività e di affidamento previsti dallo Statuto del contribuente. La seconda proposta è modificare il modello Unico delle persone fisiche – inserendo nella dichiarazione dei redditi anche la situazione patrimoniale – come accade in molti altri Paesi occidentali. Dalla dichiarazione dei redditi si deve poter confrontare, anno per anno, il reddito netto dichiarato con le dotazioni patrimoniali esistenti. In questo contesto, di maggiore certezza nel rapporto fisco-contribuente e con una dichiarazione dei redditi finalmente moderna il Governo potrebbe impegnarsi, per chi pagasse un contributo straordinario, ad accorciare i termini di accertamento sulle persone fisiche. Sarebbe una riforma fiscale non depressiva, anzi, farebbe gettito e modernizzerebbe – in modo duraturo – il rapporto tra Fisco e Contribuente.

Poca chiarezza su fisco e lavoro, consumatori e imprese disorientati

Poca chiarezza su fisco e lavoro, consumatori e imprese disorientati

Andrea Tavecchio – Corriere della Sera

Per chi vive il mondo delle imprese il dato negativo del Prodotto interno lordo (Pil) nel secondo trimestre del 2014 non è una sorpresa: lo si vedeva già negli andamenti di questi mesi delle aziende legate al mercato interno. In Italia, purtroppo, la domanda rimane molto debole. Il brutto dato comunicato ieri dall’Istat rende più complicato il percorso che dobbiamo fare e più lontano l’obiettivo – necessario e prioritario – di tornare al più presto alla crescita economica. L’Italia non è in grado di reggere ancora a lungo una crisi che dura da sette anni, di cui gli ultimi tre drammatici, soprattutto per l’occupazione.

Nessuno ha la bacchetta magica, specie in un Paese con il debito pari al 130 per cento del Pil – ed è prevedibile che verso il governo si alzino critiche strumentali. È indubbio, però, che l’esecutivo abbia bisogno di chiarire quale visione ha in campo economico e poi agire in modo concreto e conseguente. La mancanza di chiarezza di questi mesi, specie in campo fiscale e del mercato del lavoro, ha sicuramente disorientato consumatori e imprese. Non è coerente, ad esempio, voler far ripartire la domanda interna e alzare – in modo non selettivo – la tassazione sulle rendite finanziarie. Quest’ultima, per il piccolo imprenditore, in Italia è già altissima: bisogna abbassarla, non aumentarla. Così come non è accettabile per famiglie e imprese il balletto su Imu e Tasi. Anche il cosiddetto “bonus Renzi” da 80 euro, pur apprezzabile nello spirito, è tecnicamente infelice perché non copre i non protetti, mentre viene garantito anche a chi ha redditi familiari ingenti.

Il governo Renzi sta giocando la sua partita, specie in questi ultimi mesi, sulla necessità di modificare i meccanismi decisionali per poter cambiare poi – finalmente – la politica e le policy che questa elabora. Speriamo. Ma per tornare alla crescita economica non esistono scorciatoie: bisogna dare fiducia alle famiglie e alle imprese. Senza una visione e una agenda – in campo fiscale ed economico – chiara, concreta e coerente, questo però è impossibile. Attenzione, si rischia l’avvitamento.