Ordini, avvocati delle cause perse
Alessandro De Nicola – Affari & Finanza
A fine ottobre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Codice Deontologico Forense, elaborato dal Consiglio Nazionale Forense già a febbraio del 2014 e che entrerà in vigore il 15 dicembre di quest’anno. Il Codice stabilisce le norme di comportamento che i legali devono osservare in via generale e, in particolare, nei rapporti con clienti, controparti, colleghi e altri professionisti. I contenuti in parte sono il frutto della controriforma dell’ordinamento forense del 2012, quando gli avvocati riuscirono a far approvare dal Parlamento una legge a loro dedicata. Legge che abrogava o restringeva alcune liberalizzazioni previste per tutte le altre professioni liberali.
Esaminando le norme che hanno più impatto economico del Codice, sicuramente ha una certa importanza quella sulla pubblicità. La regola è che non è possibile né fornire informazioni denigratorie, suggestive, equivoche o ingannevoli (e fin qui ci siamo), né comparative o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti all’attività professionale. Non è chiaro perché non si possano dare anche tali dati: paradossalmente, se un avvocato vincesse il premio Nobel per l’economia nonlo potrebbe svelare.
Ancora più restrittiva la disposizione che vieta di indicare il nominativo dei propri clienti anche se questi ultimi sono d’accordo. In questo caso si va contro i principi di trasparenza, in quanto il potenziale cliente potrà scoprire i conflitti di interesse solo chiedendo direttamente al professionista. E soprattutto non è chiaro perché, per capire il valore di un giurista, è più importante qualche roboante titolo tipo “specialista di diritto canonico” e non la tipologia di operazioni e cause che ha seguito e per conto di chi: non c’è dubbio che i clienti preferiscono sapere questi aspetti del curriculum per decidere chi li assiste.
Anche la pubblicità su Internet è regolata in modo cavilloso: sono utilizzabili solo siti web con domini propri senza reindirizzamento. Perché mai? Il divieto di accaparramento di clientela, poi, contiene solo restrizioni anti-concorrenziali. È proibito l’uso di agenti o procacciatori e non si capisce il motivo, visto che si tratta di figure che agevolano l’attività economica. Non si possono corrispondere provvigioni se viene presentato un cliente ad un altro avvocato, atto legittimo e che invece facilita l’indirizzamento di clienti a colleghi più competenti piuttosto che pretendere di essere tuttologi e cercare di tenerseli a tutti i costi.
Paradossale il comma 4 dell’articolo 37: “È vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo di svago e, in generale, in luoghi pubblici”. Insomma “l’utente” dovrebbe bussare alla porta dello studio legale, essere ricevuto da un avvocato in toga che gli sentenzia “Narra mihi factum, dabo tíbi ius”, ringraziare, andarsene e aspettare il responso. Ma in che mondo vive chi ha scritto questa norma? Si è appena affacciato fuori dai confini? Si rende conto di che risate si può fare il cliente che convoca la riunione presso la propria sede e si sente dire che, a causa della deontologia professionale, non si può fare o che non è possibile mandare un avvocato per qualche giorno o settimana a dare una mano ai legali interni presso gli uffici societari?
Addirittura si proibisce quella che qualunque operatore economico giudicherebbe come un servizio intelligente, innovativo e attento al cliente: è vietato offrire, infatti, senza esserne richiesto, “una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare”. Se sai fare qualcosa e hai individuato un’opportunità per una impresa, è meglio tacere. Naturalmente si ribadisce ciò che è presente anche nella controriforma del 2012, ossia il divieto di patto di quota lite (compenso determinato in percentuale a quanto si recupera nel contenzioso; uno dei modi più efficienti per dare accesso alla giustizia ai poveri ed evitare che gli avvocati inizino cause inutili).
Il governo si appresta a varare la legge sulla concorrenza che dovrebbe contenere norme per eliminare la competenza esclusiva degli avvocati per l’assistenza stragiudiziale, consentire aggregazioni multidisciplinari e la partecipazione di soci di capitale alle società di avvocati, prevedere la pubblicità dei compensi eliminando la disparità con le altre professioni, liberalizzare il patto di quota lite. Se approvate, si tratterebbe di ottime disposizioni che però fanno sorgere il dubbio se il Codice rimarrà compatibile con una riforma modernizzatrice. La risposta è semplice e non può che essere negativa.