carlo stagnaro

Lo spettro della stagnazione secolare

Lo spettro della stagnazione secolare

Paolo Onofri – Affari & Finanza

I paesi emergenti, che avevano consentito di evitare il baratro all’economia mondiale nel 2008-2009, sono sotto stress finanziario e reale da circa un anno, a causa del deflusso di capitali in attesa della svolta nella politica monetaria della Fed. Delle difficoltà di questi paesi soffrono certamente gli Stati Uniti che hanno subito qualche vulnus alla solidità della loro ripresa, in atto senza interruzioni dalla fine del 2009, ma ben di più l’Europa, per la quale si sovrappongono anche gli aspetti economici del conflitto in Ucraina. Questi fenomeni stanno determinando la riduzione dei prezzi delle materie prime, soprattutto del petrolio, e quindi il cerchio si chiude con la riduzione dei prezzi alla produzione e al consumo nel mondo industrializzato: la deflazione. In queste fragili condizioni, qualsiasi disturbo possa intervenire anche alla periferia dei paesi maturi, oppure in un grande paese emergente (il riferimento alla Cina non è casuale), può determinare reazioni a catena di natura destabilizzante. È quanto stiamo osservando in questi giorni. Fare previsioni in un tale situazione, è una attività a rischio reputazione. Come ben sanno, mutatis mutandis, i meteorologi di questi tempi.

Sullo sfondo dell’evoluzione dei prossimi anni c’è sempre più l’ipotesi della cosiddetta “stagnazione secolare”. Combinazione di diversi fattori: insufficiente domanda rispetto all’offerta di beni che le innovazioni della tecnologia consentono di produrre; eredità d’indebitamenti dalla crisi ancora in corso; l’incipiente invecchiamento delle popolazioni dei paesi avanzati. La politica economica sta affrontando da tempo il problema dei debiti privati e pubblici. È, invece, molto più complicato prendere di petto gli altri due problemi sopra indicati. Comunque, sottostante la soluzione di tutti vi è il contributo che può venire dalla ripresa della crescita. Ripresa che alcuni vorrebbero conseguire con il rigore di bilancio coniugato con politiche dell’offerta, altri con un innesco dato da consistenti iniezioni di domanda, possibilmente combinate con politiche dell’offerta i cui effetti non possono che manifestarsi nel medio periodo. Così le previsioni di breve periodo diventano più complesse per il sovrapporsi di scelte di politica economica futura e possibili eventi imprevedibili che possano destabilizzare i mercati finanziari.

Venendo alla previsione di cosa è probabile accada all’economia italiana, le valutazioni che Prometeia ha formulato nel rapporto presentato alla fine della settimana scorsa muovono dalle tendenze di fondo a una crescita comunque bassa, dalla osservazione che i più colpiti da questa svolta nell’economia internazionale, in ordine di gravità, sono la nostra economia, quella europea e in misura decisamente minore gli Stati Uniti e dalla considerazione di natura politica che i paesi europei non potranno rimanere immobili di fronte al possibile suicidio politico della classe dirigente che rischia di immolarsi sull’altare del rigore comunque. È sufficiente presumere un qualche briciolo di razionalità per attendersi che saranno cercati tutti gli escamotage possibili per dare il via libera all’Italia sulla Legge di Stabilità appena presentata e, in secondo luogo, per consentire alla Francia nuovi margini temporali per rientrare sotto il 3% di disavanzo.

L’Europa rischia altri anni, oltre al 2015, di mancata ripresa e l’Italia un altro anno di recessione, dopo la sorpresa del 2014, e una successiva lunga stagnazione. Alla Francia dovranno essere concessi alcuni anni per rientrare senza aggravare la sua situazione e all’Italia, ugualmente, dovrà essere consentito, anno per anno, di mantenersi fuori dal fiscal compact almeno fino al 2017, pur rispettando il limite del 3% di disavanzo effettivo. Sotto queste condizioni, le più realistiche che si possano immaginare senza stravolgimenti degli assetti istituzionali attuali dell’Europa, l’euro area e in particolare la nostra economia possono tornare a crescere nell’intorno dell’1% nel 2016 e 2017, dopo una striminzita ripresa nel prossimo anno. La legge di stabilità appena presentata si muove certamente nella direzione giusta cercando di compensare le fasce di popolazione più colpite dalla crisi e creando le condizioni migliori possibili per l’assunzione di nuovo personale da parte delle aziende. Dal punto di vista strettamente macroeconomico non va trascurato che i consumi sono l’unica voce di domanda interna che da tre trimestri sta contribuendo positivamente, anche se in misura molto piccola, alla crescita del Pil, a fronte di contributi negativi d’investimenti e variazione delle scorte.

I provvedimenti della Legge di Stabilità lasciano alle decisioni di spesa delle famiglie l’impulso esogeno che possa risollevare la domanda interna dalla sua caduta complessiva sollecitando, così, la ripresa degli investimenti privati. Sappiamo, però, che le decisioni di spesa delle famiglie sono molto influenzate dal grado d’incertezza e il quadro internazionale che abbiamo davanti non è confortante. Per evitare il rischio che colpi di coda ulteriori della crisi internazionale provochino un aumento della propensione al risparmio precauzionale è necessario predisporre già da subito maggiori impulsi alla spesa per investimenti pubblici. È per questo insieme di ragioni che le previsioni di Prometeia, valutando che gli interventi per il 2015 possano spingere il Pil a crescere dello 0,5%, affidano la previsione di aumenti di poco superiori all’1%, nei due anni successivi, alla spinta proveniente da una ripresa degli investimenti pubblici. Ciò sarebbe ancora più urgente se dovesse confermarsi il nuovo indebolimento del dollaro che in questi giorni sta manifestandosi.

Rottamare non è un pranzo di gala

Rottamare non è un pranzo di gala

Carlo Stagnaro – Il Foglio

L’Italia ha molti problemi economici, ma uno dei principali è anche tra i meno discussi: gli alti prezzi dell’energia elettrica. Gli italiani, e soprattutto le piccole e medie imprese, pagano le terze tariffe elettriche più salate d’Europa, dopo Danimarca e Cipro, e la loro bolletta è del 35 per cento sopra la media dell’Unione europea. Questo impone una significativa zavorra alla crescita: ecco perché il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha infine messo mano alla questione con una legge a lungo attesa e recentemente votata dal Parlamento.

La principale ragione del caro-energia è che Roma ha sempre trattato i consumatori elettrici alla stregua di un bancomat, una fonte facilmente accessibile per le risorse necessarie a finanziare gli obiettivi redistributivi dei politici e conquistare voti. Tutto iniziò all’epoca del monopolio, quando i dipendenti delle imprese pubbliche avevano diritto a prezzi scontati. Quel “diritto” è rimasto in vigore per gli ex dipendenti anche dopo la privatizzazione dell’operatore dominante e la liberalizzazione del mercato elettrico. Tale concessione a un gruppo di lavoratori è stata sussidiata dai consumatori fino a ora. Nel tempo, i sussidi si sono aggiunti ad altri sussidi che si sono aggiunti ad altri sussidi ancora.

Da quando il monopolio è stato superato, il governo ha mantenuto un ruolo centrale nella definizione dei prezzi, e lo ha utilizzato con generosità. Dal 1963 le Ferrovie pagano l’elettricità a prezzo ridotto. Più recentemente diversi settori industriali, e in particolare le imprese energivore, hanno ottenuto un trattamento preferenziale. I costi di rete sono superiori a quello che può essere considerato un ragionevole “livello efficiente”, dato il profilo di rischio degli investimenti sottostanti. Tutto questo è sussidiato dal normale consumatore che deve pagare sempre di più.

A peggiorare le cose, i produttori rinnovabili italiani godono di quelli che sono forse i sussidi più generosi d’Europa. I sussidi alle energie rinnovabili valgono circa un quinto del costo dell`energia per il consumatore finale. La famiglia italiana tipo oggi paga circa 94 euro all’anno, in aggiunta alla propria bolletta, per sostenere le energie “verdi”, contro i 31 euro all’anno del 2010. La crescita è stata particolarmente rapida in ragione degli incentivi al fotovoltaico, il cui impatto è salito a 21 euro/MWh nel 2013 da 5 euro/MWh nel 2010. Per ogni MWh solare, il produttore riceve sussidi che sono dalle cinque alle sette volte superiori al valore dell’energia stessa. Roma fa gravare altre tasse e oneri sui consumatori elettrici, come le accise, una componente tariffaria per coprire i costi dell’uscita dal nucleare e una per sostenere la ricerca di sistema nel settore elettrico. Tutti questi oneri, che finanziano vari altri schemi redistributivi, spiegano circa la metà del gap tra i prezzi energetici italiani e la media europea. Le tariffe sarebbero “soltanto” del 17 per cento superiori, anziché l’attuale 35 per cento, se tali oneri fossero allineati alla media Ue. Il problema è diventato particolarmente serio con la recessione. La crisi economica ha abbattuto i consumi energetici. Di conseguenza i consumatori pagano sempre più sia perché la base dei gruppi sussidiati si è dilatata, sia perché il numero di quanti pagano prezzi pieni si va restringendo. Occorre trovare un nuovo equilibrio tra gli interessi delle piccole imprese in affanno e quelli degli investitori finanziari sussidiati che ricavano il loro reddito da risorse sottratte forzosamente ai consumatori.

Fortunatamente, sembra che la tendenza stia cambiando. Il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ha promosso un pacchetto di riforme, di cui fanno parte un decreto convertito in legge dal Parlamento il mese scorso e altre misure. A partire dalla fine del 2014, grazie a tali provvedimenti, l’ammontare dei sussidi ai vari gruppi di interesse si ridurrà di circa 1,5 miliardi di euro l’anno. Si tratta grossomodo del 10 per cento del monte complessivo dei sussidi. L’obiettivo è ridurre i prezzi per i normali consumatori.

I precedenti tentativi di riforma hanno cercato di contenere il tasso di crescita dei sussidi, oppure di proteggere alcuni influenti gruppi di pressione dal peso di tasse e oneri, ma non hanno mai affrontato il relativo groviglio di sussidi che ha spinto le tariffe inesorabilmente verso l’alto. Il nuovo pacchetto è diverso perché aggredisce il problema a testa bassa e senza guardare in faccia a nessuno. Nessuno è stato risparmiato. Tutti i sussidi citati sono stati ridotti o rimodulati allo scopo di renderli meno onerosi per i consumatori.

La riforma naturalmente ha generato grande scontento. I vari interessi particolari hanno fatto una rumorosa opposizione. Né, a dispetto di tutto il clamore, questa è una riforma perfetta. Secondo alcuni, i tagli avrebbero dovuto essere ancora più profondi. Ma il meglio non dovrebbe essere nemico del bene. Quello che realmente conta e che per la prima volta le piccole e medie imprese, anziché mettere mano al portafoglio, vedranno un beneficio concreto. Anche in Italia, insomma, se ci sono volontà politica, visione e coraggio, i risultati possono essere raggiunti, e i “diritti acquisiti” dei cacciatori di rendite possono essere controbilanciati dalle istanze dei portatori del “dovere acquisito” di pagare il conto, Per parafrasare lo slogan elettorale di Renzi, almeno sulla politica energetica si sta cambiando verso.