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Massimo Blasoni: «Per tornare sani servono 28 anni, non mille giorni»

Massimo Blasoni: «Per tornare sani servono 28 anni, non mille giorni»

Chiara Daina – Il Fatto Quotidiano

La risposta per le rime a Renzi arriva da Massimo Blasoni, 49 anni, imprenditore udinese, che ha comprato un’intera pagina su Il Giornale di ieri. Due tondi, una con la foto del premier come è adesso, l’altro con un fotomontaggio che lo ritrae anziano e canuto. Sotto, la scritta “Torneremo ai livelli del 2008 quando Renzi avrà 67 anni”. Non è una stima sparata a caso. All’inizio di agosto Blasoni ha fondato il centro studi ImpresaLavoro, che ha ipotizzato il conto e di cui fa parte anche Salvatore Zecchini, presidente del gruppo di lavoro dell’Ocse su Pmi e imprenditoria.
Come è venuto in mente di comprare una pagina di giornale?
«Volevo comunicare a Renzi con un linguaggio schietto e mediatico come il suo. Il governo aveva previsto un livello di crecita del Pil dello 0,8 per cento. Balle. Per tornare ai livelli pre-crisi, considerando una crescita media tra il 2008 e il 2014 dello 0,3%, ci serviranno altri 24 anni».
Cosa le fa più paura?
«Quella di Renzi è solo una politica degli annunci. La pressione tributaria non è diminuita. Nessuna semplificazione burocratica per le imprese e nessuna facilitazione per l’accesso al credito. Imsomma, zero segnali di ripresa, nonostante le belle parole. Lo sa quanto costano i ritardi nei pagamenti della Pa alle imprese?».
Quanto?
«Cinque miliardi di euro l’anno. Lo abbiamo calcolato nella nostra prima ricerca».
Lei ha votato Renzi?
«No, anche se all’inizio gli davo fiducia. Ma di riforme vere finora neanche l’ombra. Renzi è un politico di vecchio corso con una faccia da giovane. Ma noi l’abbiamo già invecchiato».
IPad e PC, tutte le tasse di Franceschini

IPad e PC, tutte le tasse di Franceschini

Chiara Daina – Il Fatto Quotidiano

Pronto dal 20 giugno e firmato dal ministro del Beni culturali Dario Franceschini, il decreto sull’equo compenso (che garantisce il diritto d’autore anche sui contenuti digitali copiati o registrati su apparecchi elettronici) per salvaguardare il diritto d’autore – che prevede nuove tasse su pc, smartphone, tablet, televisori e pendrive Usb – non ha ancora fatto la sua apparizione in Gazzetta Ufficiale e neanche nel sito web del ministero. Ilfattoquotidiano.it però, grazie all’avvocato Guido Scroza (blogger del nostro sito) ha potuto leggerlo in anteprima e trarne qualche conseguenza. Innanzitutto la beffa di Franceschini: «Con questo intervento – si legge sul comunicato stampa che annunciava il decreto – si garantisce il diritto degli autori e degli artisti alla giusta remunerazione delle loro attività creative, senza gravare sui consumatori». Come è possibile che gli aumenti tariffari da oltre 150 milioni di euro all’anno (che finiranno nelle casse della Siae) non graveranno anche sulle tasche dei consumatori italiani? Com’è più probabile e come sempre accade, i produttori di informatica e tecnologia scaricheranno l’aggravio fiscale sul prezzo finale del prodotto, cioè sui cittadini tutti. In sostanza, siamo di fronte a un aumento di tasse mascherato.

Intono ecco le principali novità che il ministero della Cultura, d’accordo con il presidente della Siae Gino Paoli, ha stabilito in nome della tutela del diritto d’autore per copia privata: 5,20 euro di “tassa” per un computer, stessa cifra per uno smartphone o un tablet con capacità di memoria superiore a 32 giga, quattro euro per televisori dotati di capacità di registrazione, cui dovranno sommarsi altri euro per l’hard disk (fino a 20 euro) e pendrive Usb (9 euro). Ma c’è l’inghippo. La legge prevede che il ministero dei Beni culturali aggiorni le tabelle dei compensi dopo aver consultato il Comitato permanente sul diritto d’autore e le associazioni di categoria dei produttori di tecnologia. La Siae quindi è esclusa dai lavori. Solo in teoria, però. Perché nella pratica è intervenuta parecchio. Anzi ha proprio dettato il testo, poi recepito fino alla virgola dal ministro Franceschini. Basta confrontare il decreto, ancora nascosto nel Palazzo, col testo diffuso da Siae

Tra gli addetti ai lavori nei mesi scorsi per non trovare differenze. Da una parte il bastone, dall’atra la carota. Anche se ne avremmo fatto francamente a meno: la Siae nel frattempo ha ridotto l’equo compenso sui dispositivi che ormai conserviamo in soffitta, come i registratori Vhs o i vecchi cellulari. Non è un caso, forse, che il predecessore di Franceschini, Massimo Bray, durante il governo Letta avesse commissionato una ricerca di mercato per verificare se gli italiani si dilettassero a confezionare copie private. Risultato: sono sempre di meno i cittadini che copiano. Anche perché ormai si guarda e si ascolta in streaming. Quel decreto, dunque, ha sempre meno ragione di esistere.