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Legge magnaccia

Legge magnaccia

Davide Giacalone – Libero

Nello stato di diritto tutti siamo subordinati alla legge e nessun potere può essere esercitato con arbitrio. La legge può essere modificata, naturalmente, ma finché vige va rispettata. Nello stato storto, il nostro, la legge è irrilevante e solo i fessi vi sottostanno. Cambiare le leggi può essere divertente, ma inutile, perché si fa prima a interpretarle a proprio piacimento. Questa grottesca e inquietante storia romana, che riempie le cronache e svuota gli animi, ha due facce della medaglia, entrambe intitolate all’irrilevanza della legge: a. per concorrere agli appalti pubblici le aziende per bene producono montagne di carte, come la legge prevede, ma poi lavori e soldi possono essere affidati a cooperative di malfattori; b. una legge proibisce di ritrarre cittadini in manette, così che si è inventato il pallino bianco da mettere su fotografie e filmati, in compenso si può vedere in rete il cinema di persone arrestate con i mitra spianati sul muso. Questa è la medaglia di un Paese che non ha orrore di sé.

Quando provi a divenire fornitore della pubblica amministrazione devi presentare un numero impressionante di documenti, attestanti l’onestà tua e dei tuoi familiari, nonché progetti e/o programmi che spieghino come intendi utilizzare il denaro che riceverai. Che poi nemmeno lo ricevi, perché il verbo continua a essere coniugato al futuro. È capitato che gare per importi rilevantissimi, assegnate regolarmente, siano poi state invalidate perché si scopre che l’affidatario ha una cartella esattoriale non pagata, magari per importo ridicolo, magari avendo anche ragione e, comunque, neanche sapendolo al momento in cui presentò la documentazione. Tanta maniacalità burocratica ha tratti di follia, ma, almeno, speri che serva ad evitare che i soldi pubblici finiscano in mani sbagliate. Poi scopri che una cooperativa può ricevere soldi pubblici pur essendo comporta da assassini, terroristi e criminali di varia caratura. Che i soldi che prendono li spendono solo in parte minimale per il servizio, mentre il resto s’imbuca altrove. Che la grana arriva in anticipo ed aumenta a saldo. Che a Castel Romano ha 986 dipendenti per servire 1400 nomadi (che non sono nomadi, dato stanno lì), un addetto e mezzo a testa. Concorrendo con Buckingham Palace, salvo il fatto che domina il degrado (è un discorso diverso, ma quei 1400 potrebbero anche lavorare …). Insomma, scopri che le regole ferree cui devono attenersi gli onesti diventano lattee con i disonesti.

Già, si potrà obiettare, ma quella era proprio una cooperativa di ex detenuti, quindi è ovvio che sia composta da chi fu ospitato, con una qualche ragione, nelle patrie galere. Un momento: conosco il lavoro della solidarietà e lo sforzo per favorire il reinserimento di chi ha vissuto esperienze negative, ma non consiste mica nel ciucciare denari pubblici, bensì nell’imparare a fare qualche cosa e metterci serietà e impegno di cui non si è stati capaci nel passato. Altrimenti, anziché reinserire gli ex galeotti, varrebbe la pena andare tutti in galera, così ti danno appalti a botte di tre milioni. Inoltre: non ha senso che il riassorbimento della devianza sia praticato nell’assistenza alla devianza, perché non ci vuol molto a immaginare quali possono essere le conseguenze.

Né sembra avere un gran valore neanche il dettato costituzionale, ove si legge che si è innocenti fino a sentenza definitiva. Non faccio che ascoltare intercettazioni, oramai corredate da immagini, tratte da indagini neanche ancora completate. Poi arriva la ciliegina dell’arresto in armi. Tutti documenti utili per riunire il tribunale del popolo ed emettere sentenza al bar. Con il che, però, il diritto è morto. Leggo che uno degli intercettati avrebbe detto: “meno male che è finita bene, sennò chissà come andava a finire”. Ci vedo il reato di lesa lingua italiana, ma mi preoccupo per il giornalismo che sugge questo nettare e per il procuratore che glielo segnala. E il cielo non voglia che le risultanze processuali, fra qualche lustro (è in partenza il processo per il sangue infetto, risalente a ventuno anni fa), dimostrino che l’accusa d’associazione mafiosa era un tantino esagerata (intanto ci vedo il reato d’offesa alla cultura sicula), perché non vorrei dover pagare, con i soldi presi dalle mie tasse, un qualche risarcimento alla compagnia dei magnaccioni.

Cooperative e società municipalizzate, così funziona la macchina dei voti

Cooperative e società municipalizzate, così funziona la macchina dei voti

Davide Giacalone – Libero

Per sapere che è in corso una campagna elettorale, in Emilia Romagna, devi comprare i giornali. Leggendoli scopri che si parla di tutto, a partire dai riflessi nazionali del voto, ma non di Emilia Romagna. Se giri per le strade non trovi traccia di politica. E sì che questa è la sanguigna terra di Brescello, di Peppone e Don Camillo. Che fine hanno fatto? Non credete a quelli che vi dicono esserci disinteresse e qualunquismo, è che sia la politica che i cittadini sono stati espulsi dalla competizione, ridotta ad affarismo e parolismo.

Se stessimo parlando di cose serie, proponendo agli elettori qualche cosa che abbia a che vedere con il futuro, i vibratori troverebbero posto solo nelle battute marginali. Invece sono lì (giacché fra le spese rimborsate ai consiglieri regionali, in questo caso Pd, a dimostrazione che oltre a fessi sono anche miserabili), ad eccitare solitari i dibattiti. Che manco si fanno. Già, perché non solo sono vuote le piazze, non solo mancano i manifesti, risultando in gran parte vuoti anche i tradizionali tabelloni, ma neanche le televisioni locali si mostrano interessate. Robetta. Normale amministrazione.

Occhio: non succede a caso. Questo effetto-sonno è voluto. Se stessimo parlando di cose serie, infatti, parleremmo delle 500 società partecipate dalla Regione, assieme a un nugolo di enti locali. Matteo Renzi disse che le 8000 municipalizzate sarebbero dovute diventare 1000. Sarebbero ancora troppe, ma, comunque, perché il Pd, in Emilia Romagna, non propone di ridurle a 62 (500 diviso 8)? Perché quelle sono rimaste l’unica ragione per votare Pd. Il tessuto del consenso s’è stracciato, come dimostra il deserto elettorale, rimane solo quello della cointeressenza. Finché regge, vincono. Un esempio? Davanti alla stazione di Fidenza si sarebbero dovute realizzare due torri, per appartamenti. Una l’hanno abbandonata, l’altra è finita, ma semi deserta. Operazione a cura del sistema cooperative, in questo caso Unieco. Operazione fallimentare e fallita. Qual è l’unico appiglio di salvataggio? Il fatto che nella torre prendano uffici il Comune, le altre cooperative, il sindacato. Soldi buttati per salvare compagni falliti. Ci hanno fatto anche un parcheggio per le biciclette, costato un milione di euro (cosa denunciata da Francesca Gamharini). Una rivisitazione neorealista, affinché i ladri non si concentrino sulle biciclette. Questo mostro da socialismo insaccato produce appalti, posti, prebende, cointeressenze. Fa da collante a ciò che s’è sfasciato. Ma impoverisce tutti. Prendete le Terme di Salsomaggiore: già solo il palazzo merita il viaggio ed è attrazione turistica, ma, gestite dagli enti locali, falliscono anche quelle. Hanno fatto vasche per ospitare meno di dieci persone. Lo hanno scambiato per il bagno di casa loro.

Dice Matteo Richetti, esponente del Pd e sfidante affondato prima delle primarie: la gente non sa perché andare a votare. Correggo: lo sanno solo quelli che ci andranno, i meno, i cointeressati. A destra ci si interessa del possibile sorpasso di Forza Italia, a opera della Lega. Ma, scusate, è già avvenuto. Guarderemo dentro le urne, ma se in una Regione così combinata chi dovrebbe rappresentare l’alternativa non ha da proporre un modello diverso, se non martella notte e dì per lo smantellamento di quelle 500 pepite di clientelismo e inciucismo, ha già perso. Anzi: s’è perso. La Lega agita problemi veri usando parole non sempre risolutive. Farà la strada che merita. Sono gli altri ad essere andati fuori strada. Il che, però, lascia orfano l’elettorato ragionevolmente convinto che il presente si debba cambiarlo senza perdere il senso del tempo e dei tempi. Restano orfani i risparmiatori che hanno messo da parte quel che serve a vivere con sicurezza e non intendono esporlo alle avventure monetarie dei propagandisti. Di vecchio e nuovo conio.

Andranno a votare in pochi perché gli altri non sono desiderati, prima ancora che interessati. Perché se andassero avotare in tanti si dovrebbero per forza fare i conti con la realtà. Mentre i militi del voto assicurano a forze spompate e idee approssimate di potere vivere ancora un poco nella realtà surreale di una politica che discuterà di percentuali, quando l’unico numero che conterà sarà quello assoluto. Dei votanti e dei voti. E perderanno tutti.