Del titolo V non parla nessuno
Pierluigi Mascagni – Italia Oggi
Il governo Monti aveva introdotto delle sanzioni a carico delle amministrazioni regionali che, per dolo o per colpa grave, portavano al default i loro enti. Fra queste sanzioni c’era lo scioglimento dei consigli regionali e l’incandidabilità per dieci anni dei presidenti delle Regioni. Senza sanzioni sono infatti molto improbabili i comportamenti corretti. Se dando posti di lavoro illeciti agli amici non se ne pagano poi le conseguenze, è evidente che questi amministratori continueranno nel loro andazzo dissipatorio. È vero che, operando in questo modo, essi mandano in fallimento i loro enti. Ma siccome un ente pubblico di fatto non può fallire, questi amministratori disinvolti sanno che arriverà sempre e comunque l’aiuto dello Stato per ripianare i bilanci (ci si può permettere, forse, di chiudere gli ospedali perché non ci sono più soldi nelle casse regionali?). E ciò consentirà loro di andare avanti nell’andazzo preferito che è lo spreco ai fini clientelari.
Purtroppo la Corte costituzionale, con sentenza 219 del 2013, rilevando un eccesso di potere da parte della Corte dei conti, ha cassato quelle misure e ha persino annullato l’obbligo della relazione di fine mandato che avrebbe il merito di mettere, nero su bianco, le responsabilità finanziarie del governo regionale uscente. Riscrivendo il titolo V della Costituzione si dovrebbe porre fine a questa limitazione, a beneficio della correttezza amministrativa. Tutti i politici preferiscono però usare milioni di parole sull’Italicum o sul Porcellum mentre non riservano alcuna attenzione alla dissipazione pubblica che sta alla base dell’insostenibilità dei nostri conti pubblici.
Pertanto il minuzioso rapporto di 247 pagine redatto dall’ispettore della Ragioneria dello Stato Antonio Ricchio, che inchioda alle stesse responsabilità le amministrazioni regionali calabresi Lojero e Scopelliti (quando c’è da sprecare soldi non c’è differenza tra il centrosinistra e il centrodestra) resta solo un’esortazione senza conseguenze. I mille dipendenti assunti illecitamente dalla Regione Calabria fanno marameo. Così capita con gli aumenti a raffica dei dipendenti della Regione Calabria, in deroga al blocco delle retribuzioni che hanno consentito a un funzionario di arrivare, nel 2013, a una retribuzione di 735mila euro l’anno.