daniele capezzone

Aggredire la spesa pubblica si può. Il saggio di Pennisi e Maiolo

Aggredire la spesa pubblica si può. Il saggio di Pennisi e Maiolo

di Daniele Capezzone – Giuditta’s Files

Tutto come previsto. Dopo il sostanziale via libera da parte della Commissione Ue sui conti dell’Italia (sia pure con doppia riserva: sul deficit e sul debito), il Governo si è lasciato andare a un trionfalismo francamente fuori luogo. Primo: perché i 14 miliardi di margine concessi andranno pari pari a disinnescare le clausole di salvaguardia (aumenti Iva) che altrimenti scatterebbero alla fine di quest’anno (quindi, per tagliare un euro di tasse, non si potrà contare su quel margine, ma occorrerà tagliare davvero un po’ di spesa). Secondo: perché, come ripeto da tempo, l’Italia si sta contendendo un’umiliante “maglia nera” della crescita europea con Grecia e Finlandia. E non mi sembra un motivo per caroselli e festeggiamenti: non dispiaccia al nocciolo etrusco che guida l’Esecutivo.

Comunque, a questo punto,almeno per 48-72 ore il reality-tv show della politica italiana fingerà di occuparsi del taglio della spesa pubblica: il Governo, per dire che sta già facendo una serissima spending review (il che, purtroppo, non è vero, avendo Renzi-Padoan respinto nelle ultime due leggi di stabilità emendamenti per un simultaneo taglio di spesa e tasse di 48 miliardi); le forze di opposizione, per dire in modo stentoreo ciò che andrebbe realizzato, ma dimenticando di non averlo fatto negli anni in cui erano in maggioranza.

Logomachie (e batracomiomachie…) a parte, per chi invece fosse davvero interessato al tema e alle soluzioni (non alle slides e agli alibi), una lettura obbligata è il recente bel saggio (per la Biblioteca del Centro Studi Impresa Lavoro) curato da Giuseppe Pennisi con Stefano Maiolo, dal titolo La buona spesa – Dalle opere pubbliche alla spending review. Guida operativa . Giuseppe Pennisi non ha davvero bisogno di presentazioni: dalla Banca Mondiale alle sue docenze italiane, dalla sua attività di saggista agli interventi sulla carta stampata, da decenni offre soluzioni concrete ispirate a limpidi principi liberali e pro-mercato.

Stavolta, insieme a Maiolo, Pennisi ha scelto di realizzare una vera e propria guida operativa, che ha come interlocutori ideali i dirigenti delle amministrazioni dello Stato, delle Regioni, degli altri enti locali, indicando in dettaglio metodi e tecniche per la valutazione della spesa e delle opere pubbliche. Dall’analisi dei costi e dei benefici (imposta nel 1981 da Reagan a tutti i settori del governo e a tutte le agenzie pubbliche, prima di varare qualunque intervento di spesa) alla valutazione degli impatti, dall’analisi del rischio in fasi di incertezza in contesti dinamici al valore della comunicazione (quindi, la procedura di valutazione come un approccio sistematico di informazione e di decisione informata), il volume di Pennisi e Maiolo è davvero uno strumento di lavoro, per chi questo lavoro voglia intraprenderlo sul serio…

Badate. Non si tratta di un’opera per “ragionieri”, per aridi contabili, o per freddi tagliatori di spesa sociale. C’è, al fondo, un punto di assoluto rilievo umano, e – vorrei dire- di profonda etica della responsabilità. Pennisi sottolinea che troppe volte, nelle decisioni politiche di spesa, si privilegiano gli interessi delle generazioni correnti (legittimi, per carità) rispetto a quelli delle generazioni future. Il piccolo “dettaglio” è che le generazioni future, per evidenti ragioni, sono senza voce, perché – oggi – non votano, non scioperano, non vanno nei talk show. C’è qualcuno disponibile a una battaglia politica in nome di chi oggi non ha diritto di parola? Pennisi e Maiolo citano un’eloquente (e direi terrificante) analisi di uno dei maggiori specialisti Usa di finanza pubblica, Alan Auerbach: per conservare intatto l’attuale livello di stato sociale italiano (quindi: ammortizzatori, sanità, pensioni, ecc), la prossima generazione dovrebbe pagare, nella propria vita, tasse e imposte pari a cinque volte quelle pagate dalla generazione oggi anziana. Ogni commento è superfluo.

Capezzone (Cr): “Se il Governo si occupa di banche, i titoli crollano”

Capezzone (Cr): “Se il Governo si occupa di banche, i titoli crollano”

Daniele Capezzone*

Qualcuno dica a Renzi che i titoli bancari continuano a crollare. Più il Governo annuncia di “occuparsi” di banche, più c’è caduta libera… Questo dimostra la chiara sfiducia dei mercati verso l’interventismo politico in generale, e verso l’interventismo politico di questo Esecutivo in particolare.

*Deputato dei Conservatori e Riformisti

Derivati di Stato, Capezzone indaga

Derivati di Stato, Capezzone indaga

Luca Piana – L’Espresso

Partirà il 14 gennaio l`indagine conoscitiva della Commissione Finanze della Camera sui derivati sottoscritti, fra gli altri, dallo Stato italiano. Lo ha promesso il presidente Daniele Capezzone, annunciando che verranno sentiti esperti e istituzioni. L’iniziativa arriva dopo l’allarme suscitato dalla notizia, diffusa a dicembre, che sui derivati in essere con le banche internazionali il Tesoro contabilizza una perdita potenziale di oltre 34 miliardi, in crescita rispetto ai 29 miliardi di un anno fa. Il calo dei tassi d`interesse, che nel 2014 ha permesso al Tesoro di collocare sul mercato 450 miliardi di Bot e Btp con un costo medio molto basso (l’1,38 per cento, ha detto Maria Cannata, capo della Direzione debito pubblico del ministero), sembra dunque aver avuto ripercussioni negative sui derivati, che forse erano stati sottoscritti per tutelare i conti pubblici da un aumento dei tassi. Certo è che la perdita, pur potenziale, si sta facendo consistente. E che, di recente. il Parlamento ha dato via libera alla legge di stabilità, che permetterà al Tesoro, nella stipula di nuovi derivati, di offrire alle banche che lo richiederanno nuove garanzie cash. La Commissione non avrà i poteri d’inchiesta che servirebbero per far davvero luce sui misteri che circondano contratti su cui le banche, in gran segreto, hanno finora fatto soldi a palate. La speranza però è che la politica, almeno, inizi a vigilare con maggiore attenzione.

Capezzone: «Manca una vera proposta di destra»

Capezzone: «Manca una vera proposta di destra»

Goffredo Pistelli – Italia Oggi

Daniele Capezzone non s’arrende alla deriva del centrodestra. L’uomo che fu decisivo, con le battaglie sull’Imu e su Equitalia, nella grande ricorsa di Silvio Berlusconi alle politiche del 2013, s’è messo a lavorare di buzzo buono, con la pazienza e il metodo dei radicali. Da tempo pungola tutti. Pochi giorni dopo la débacle alle europee di maggio, s’era inventato il «software liberale», un ebook in cui mette in file un po’ di idee degne del 1994, anno della rivoluzione berlusconiana mancata. Sabato scorso s’è infilato nella Leopolda blu, raduno milanese di chi vuol riaggregare a destra.

Capezzone, com’è andata a Milano?
«Intanto mi faccia ringraziare chi ha organizzato, a partire da Lorenzo Castellani (una delle anime di Formiche.net, ndr), perché ho trovato molto azzeccate le scelte di fondo».

Vale a dire?
«Che in attesa di altre primarie, quelle politiche, si comincino almeno con le primarie delle idee. L’unica cosa di cui aver paura è l’assenza di un dibattito sulle proposte. E poi, molto giusta mi pare l’indicazione di un modello stile Partito repubblicano americano, con l’ambizione di individuare poche cose ma che possano davvero unire per un’alternativa alla sinistra. Su tutto il resto, poi, ognuno resta con la propria cultura, i libri che preferisce, il background cui è affezionato. Insomma che “i cento fiori fioriscano”».

Come disse il grande nocchiere Mao Tse Tung…
«Sì, per indicare un metodo, anche se questa prassi è molto anglosassone».

Le sue, quali sono?
«Il centro sta nella questione fiscale. E non lo dico per passione liberale, quanto per il bene del Paese. Se ha tempo le do qualche numero con cui, chiunque faccia politica, oggi si deve confrontare».

Avanti…
«Sono dati della Banca mondiale sul Total tax rate, ossia l’indice che riguarda l’imposizione fiscale delle imprese. Bene l’Italia è al 65%, Francia 64%, Spagna 58%, Germania 49, la media europea 41, Gran Bretagna 34 e la Croazia 19».

Beh, cifre impressionanti…
«Aspetti. Ora le do quelle sui fallimenti del primo semestre di quest’anno: sono stati il 10% in più dello stesso semestre 2013. E, se si considera l’ultimo trimestre di quel periodo, cioè aprile, maggio e giugno 2014, quella percentuale sale al 14%».

Dal che, se ne deduce?
«Che ci vuole uno shock fiscale e il centrodestra si deve ripensare su questo. A Matteo Renzi potrei fare mille critiche: ha aumentato le tasse sulla casa, sul risparmio, ora sui fondi pensione e, quando nei prossimi giorni avremo la legge di stabilità troveremo setto-otto tasse occulte…».

E invece, dove lo critica?
«Sulla cosa migliore che farà, se fosse vera, ossia l’intervento sull’Irap, annunciato intorno ai sei miliardi».

Infatti, è sorprendente. E perché lo critica?
«Perché quell’intervento rischia di fare la fine degli 80 euro e cioè di non essere incidente. Mi spiego: gli 80 euro magari sono finiti in affitti arretrati, multe da pagare, conti in sospeso, anziché nei consumi».

E l’Irap in meno?
«Idem, perché gli imprenditori sono già molto in difficoltà. Per questo le dico che quella misura non basta, che ci vuole ben altro. Forza Italia e il centro destra prendano questa bandiera: “Giù le tasse”. E non come parola d’ordine, cui siamo meccanicamente affezionati ma vera esigenza del Paese».

Senta, però per far manovre simili si deve tagliare la spesa clamorosamente, mentre uno dei vostri potenziali alleati, la Lega, vuol addirittura abolire la legge Fornero…
«Dobbiamo decidere se vogliamo solo una curatela fallimentare del centrodestra o il rilancio. Il rischio c’è. Per noi di Forza Italia, per esempio, la tentazione è la gestione dell’esistente. Per il Carroccio, che se la passa meglio, il successo nella marginalità cioè accontentarsi di fare quello che faceva Rifondazione ai tempi del centrosinistra, arrivando sino al 9%, ma scegliendo l’opposizione perenne e rinunciando all’alternativa. Oggi inveece, grazie a B., siamo al bipolarismo».

E cioè?
«Oggi si deve stare o di qua o di là. Anzi, siamo quasi alla referendizzazione del voto: c’è una parte importante che può votare da una parte e poi, la volta dopo, su certi temi, andare dall’altra. Io dico: mettiamo al centro di uno schieramento la proprietà privata, la casa, il risparmio, le tasse e la diminuzione della spesa pubblica e costruiamo l’alternativa a Renzi».

Su questi temi lo battete?
«Già ora. Perché non sta tagliando abbastanza sulle municipalizzate, sugli acquisti dei beni e servizi, su costi standard. E delle tasse le ho già detto».

Capezzone, però voi potete fare le leopolde blu ed elaborare progetti, però dovete fare i conti col «fattore B»., come la vicenda di Raffaele Fitto, che il Cavaliere ha quasi cacciato dal partito.
«Io dico che nelle scelte Fitto ci sia una grande novità positiva. Domandiamoci chi è Fitto?».

Risponda lei…
«È uno che è stato davvero vicino a Berlusconi nelle ore difficili, quando non era facile, non era comodo. Altri, tipo Gianfranco Fini, se ne andarono picconando un governo di centrodestra. Oppure, tipo Angelino Alfano, lo abbandonarono, per mantenere la poltrona ministeriale. Fitto è stato e starà dentro, a fornire idee e proposte. E poi vorrei dire un’altra cosa».

Prego…
«Mi viene in mente Proust, quando parla di quel rimorso che prende scendendo le scale, dopo un incontro, quando non si è detto tutto quello che si pensava. Non dobbiamo aver quel rimorso: ognuno deve offrire tutta intera la propria opinione.

Cioè, lei dice che il Cavaliere accetterebbe…
«È una persona lungimirante e rispettosa, molto di più dei consiglieri che ha intorno. Rifletterà su questi temi e vedrà che ha ancora una missione da compiere: costruire il partito gollista in Italia. D’altra parte, essendo colui che ha reso fisicamente possibile il bipolarismo, può dare un contributo anche qui».

Però c’è il nodo del Patto del Nazareno. Lei pensa che non esista, come dice Giuliano Urbani, e che B. veda davvero in Renzi un continuatore di certe sue idee, vent’anni dopo?
«Non sono interessato ai retroscena, meno che mai a letture maliziose, maligne o malpensanti. Dal punto di vista di Renzi starei attento però: rischia di essere egemone ma, per le ragioni economiche richiamate prima, rischia di esserlo fra le macerie. Come diceva Rino Formica, c’è qualche intrattenimento del pubblico e il Paese va come va».

Qualche problema, questo premier ve lo crea, non lo neghi.
«È evidente che non è facile avere a che fare con un leader diverso, che ci sfida in campo più moderno dei suoi predecessori. Prima la sinistra era solo tasse, Cgil e manette. Ora c’è un leder che si tira fuori da quella trimurti, anche se magari, a guardar bene, non sempre e non del tutto. Però, a maggio del 2014, ci sono stati nove milioni di italiani che non ci han votato più o si sono astenuti: partite Iva, imprenditori, professionisti che riconoscono in Renzi uno che ha archiviato il Pci ma che voterebbero una proposta di destra, subito».

Lei dice bene, ma intanto domenica Renzi ha fatto il pieno di audience nell’ammiraglia di Mediaset, Canale 5, in una delle trasmissioni che più berlusconiane non si può, il salotto di Barbara D’Urso, con una proposta che piace tanto a moltissimi vostri elettori: il bonus bébé.
«Che le devo dire, spero solo che prossimamente a Renzi non si affidata anche la conduzione del Tg5 delle 20».

Caustico, lei.
«Ma no, è un battuta. Il lavoro che vogliamo fare va aldilà dell’episodio di giornata. Ricordo anche io prime pagine del Giornale inneggianti a Renzi e delle reti Mediaset abbiamo sorriso anche in una recente riunione di presidenza di Forza Italia».

In che senso?
«Nel senso che ho ricordato al presidente come i tg di Mediaset avessero fatto cronaca politica quest’estate».

Ce lo ricordi…
«Un servizio di 2-3 minuti sulle attività del governo, quindi il pastone politico di tutti e poi, in coda, 15 secondi ad esponenti di Forza Italia che dicevano, in pratica, di essere lieti protagonisti dell’azione governativa e di dialogare con Renzi».

E Berlusconi?
«Ne ha riso anche lui. Con una copertura così, c’è solo da stupirsi che il premier non sia più alto nei sondaggi. Ma il tema non è la rivendicazione centimetrica di pagina di giornale o spazi tv. Bisogna fare come Andrea Pirlo».

Pirlo?
«Massì, alzare la testa, guardare il gioco. Qui si tratta dei prossimi cinque o dieci anni. Merito a Fitto, allora, di aver posto la questione, merito alla Leopolda Blu d’aver iniziato il dibattito».

In questo nuovo centrodestra, c’è posto anche per Corrado Passera che, nel frattempo, se ne è autoproclamato guida?
«Chiunque è il benvenuto. Nessuno può dire «no tu no» a nessuno. Quelli che lo dicono alla Lega, a Fratelli d’Italia, a Passera non hanno capito niente. Ma guai a fare, verso Renzi, l’errore che ha fatto la sinistra verso B. e cioè fare solo a tavoli, in stanzette chiuse, con dieci partitini che partoriscono non si sa cosa».

Macché, lo spread vola alto

Macché, lo spread vola alto

Daniele Capezzone – Il Tempo

È vero: nella legge di stabilità ci sono alcuni aspetti positivi, che vanno riconosciuti onestamente, anche per rendere più credibili le nostre critiche. Ad esempio, sono positive le scelte di confronto a testa alta con l’Ue e gli interventi su Irap e detassazione delle nuove assunzioni (questi punti oggetto da tempo di nostre proposte, in qualche modo ora raccolte dall’Esecutivo, speriamo senza trucchi e senza inganni).

Però è come se Renzi si fosse fermato a metà strada: ancora troppo poco (temo) per dare uno choc positivo alla domanda interna, ma (purtroppo) già abbastanza per aprire un conflitto con l’Ue (e la cosa non mi spaventa di certo, anzi) ma anche per destare dubbio sui mercati (e qui invece occorre una riflessione attenta). Insomma, detta senza demagogia: ho paura che non ripartano i consumi ma lo spread. A questo punto, sarebbe stata più saggia l’apparente “imprudenza” di rischiare ancora di più, andando nella direzione – da me indicata da tempo – di un vero e proprio choc fiscale, con 40 miliardi (veri) di tasse in meno, accompagnati da tagli di spesa ancora più consistenti, e da un chiaro sforamento del vincolo del 3%.

Andiamo alle criticità più serie. Resta il macigno della tassa sulla casa, di cui Renzi porta la responsabilità (l’ha aggravata lui all’inizio del 2014), e che aumenterà ancora nel 2015. Sui tagli di spesa, non c’è stato coraggio né sui costi standard né sulle municipalizzate. E con il rischio (Padoan lo ha ammesso) che in sede locale si provveda ad aumentare le tasse, facendo fare il “lavoro sporco” a Comuni e Regioni. Poi ci sono alcuni aumenti di tasse: a partire da quello sui fondi pensione, assolutamente inaccettabile. Così come va indagato il meccanismo che sarà alla fine scelto per il Tfr, che potrebbe creare serissimi problemi alle imprese medio-piccole (causando contemporaneamente – che beffa!- aggravi di tassazione per i lavoratori). E soprattutto va posta la questione delle mega-clausole di salvaguardia per i prossimi anni, tutte bombe fiscali destinate a esplodere ai danni dei cittadini. Per queste ragioni, la mia opinione è che FI debba lanciare una sfida su alcuni punti qualificanti, per aumentare i tagli di tasse, e per rendere migliori i tagli di spesa. Avanzerò precise proposte in tal senso.

Una proposta per il rilancio

Una proposta per il rilancio

Daniele Capezzone – La Discussione

Com’è perfettamente comprensibile dal suo punto di vista, Matteo Renzi, chiudendo domenica scorsa la festa del suo partito, ha giocato la carta della mozione degli affetti, dell’iniezione di orgoglio, di una specie di “training autogeno” collettivo, per incoraggiare il Pd, la sua maggioranza, e magari l’intero Paese. Parte di tutto ciò è l’ormai consueta polemica contro i “gufi“, nel tentativo di contrapporre il proprio spirito positivo all’altrui animus negativo e distruttivo. Purtroppo, però, finora è stato lo stesso Renzi ad “autogufarsi” con le tasse su casa e risparmio, che hanno contribuito (e purtroppo contribuiranno ancora) a non ricreare fiducia ma ad alimentare paura, a frenare la propensione al consumo, a deprimere la domanda intema. Sono errori devastanti, che Renzi farebbe bene ad ammettere.

Contro tutto questo, rilancio una ipotesi totalmente alternativa. Primo: approvare tutti i decreti delegati della delega fiscale, ma rispettando quello che il Parlamento (con un impegno che ha visto Forza Italia protagonista, con un mio ruolo di relatore edi estensore di molte parti davvero innovative della delega) ha stabilito in direzione liberale, pro-contribuenti, e verso un vero e correlato taglio di spesa e tasse. Secondo: fissare un tetto costituzionale alla pressione fiscale, proposta che avanzerò alla Camera in sede di riforma costituzionale. Terzo: realizzare un vero choc fiscale, sfondando il limite del 3%, per realizzare un taglio-record di tasse, accompagnato da tagli di spese e riforme strutturali.

In particolare, propongo un taglio di tasse di 40 miliardi in meno in 2 anni e poi 12 nel successivi 3), con tre destinatari: le imprese, i lavoratori e il nucleo famiglia/consumatori. Per le imprese, c’è il dimezzamento Irap e il calo dell’Ires al 23%; per i lavoratori, ci sono 10 miliardi in meno di tasse sul lavoro; per le famiglie e i consumatori, c’è la cancellazione della tassa sulla prima casa e il calo dell’Iva al 20%. Nel mio libro, per l’esattezza al capitolo 16, sono indicate tutte le coperture effettuate con tagli di spesa pubblica. È questa una vera ipotesi di “politica economica della libertà” per uscire dal tunnel e conquistare tassi di crescita significativi.

Privatizzare le nostre imprese non vuol dire svenderle ai cinesi

Privatizzare le nostre imprese non vuol dire svenderle ai cinesi

Daniele Capezzone – Il Tempo

Intendiamoci subito, a scanso di equivoci. Chi scrive è un liberale strafavorevole alle privatizzazioni. Un paio di anni fa ho contribuito anch’io (con Renato Brunetta e altri colleghi) a un gruppo di lavoro che, nel mio partito, ha rilanciato l’idea di un grande fondo a cui conferire beni di vario tipo, in una prospettiva di valorizzazione e vendita. E in Italia bisognerebbe davvero procedere a un arretramento della mano pubblica, ad esempio cominciando da due realtà che invece appaiono intoccabili: da un lato la valanga di immobili di proprietà pubblica e dall’altro le municipalizzate, vero strumento di occupazione militare del territorio e di segmenti di economia.

Altro conto sarebbe invece una sconclusionata svendita dell’argenteria di famiglia, per fare cassa in modo disperato e accettando una progressiva spoliazione e colonizzazione del Paese. Ne scrivo da mesi, e ora purtroppo i fatti si stanno incaricando di confermare le mie peggiori previsioni. Così come all’inizio degli anni Novanta si realizzò (ferma restando la buona fede di tutti, che va sempre presupposta) un’operazione che privò l’Italia di asset importanti nella chimica, nella meccanica, nell’agroalimentare e in alcune banche, allo stesso modo oggi si rischia qualcosa del genere. Una sorta di “Britannia 2”.

La cosa è cominciata in settimana con l’accordo tra Cdp reti (quindi sono in gioco le reti energetiche italiane, incluse Snam e Terna) e il gigante cinese China State Grid, che ne ha rilevato il 35%. Ammetto che almeno è stata mantenuta la quota di controllo. Ma non posso non pormi alcune domande. Perché non è stata fatta un’asta internazionale? Perché è stato scelto proprio quel partner, anche geopoliticamente così discutibile? E soprattutto, perché non se ne è adeguatamnte discusso?

Quali saranno i prossimi passi? Svendite anche di quote di Eni, Enel e Finmeccanica? Ripeto: da liberale non ho nulla contro l’alienazione di quote e ovviamente non ho tabù, ma non comprendo perché si debba dare l’idea di veri e propri saldi di fine stagione (organizzati in fretta e furia, visto che il governo è in grado di tagliare la spesa pubblica). Prepariamoci dunque, nei prossimi mesi, a distinguere due cose ben diverse tra loro: un conto sarebbero positive operazioni di valorizzazione e vendita, altro conto sarebbero invece spoliazioni a danno del Paese. E che tutto ciò avvenga nel quasi totale silenzio della politica (impegnata ogni giormo a discutere di “quisquilie e pinzillacchere”) dà la misura della gravità della situazione italiana.

Ps: Ci vuole coraggio a parlare di “privatizzazione” per la vendita a un soggetto totalmente controllato dallo Stato cinese. O no?    

L’ultimo bluff europeo del governo Renzi

L’ultimo bluff europeo del governo Renzi

Daniele Capezzone – Panorama

Purtroppo, a dispetto delle parole di autoincoraggiamento e autoconsolazione di Matteo Renzi, in Europa le cosa non cambiano affatto per l’Italia. Dopo la sequenza di incontri e vertici, conclusi dall’Ecofin dell’8 luglio, il quadro delle regole di austerità (parole e cortine fumogene a parte) è assolutamente invariato, così come permane la richiesta per l’Italia di «sforzi aggiuntivi» già per l’anno in corso: il che, tradotto in prosa, vuol dire rischio concreto di una manovra correttiva da 9-10 miliardi. Ma, perfino al di là del rischio-manovra, quel che conta in negativo è il permanere di tutto ciò che ha fatto male a noi e all’Europa: resta il Patto si stabilità, resta il 3 per cento, resta il Fiscal compact, restano tutti i vincoli esistenti che hanno prodotto la drammatica gabbia di austerità che ha contribuito ad affossare l’economia del Continente. Poi ci si può aggrappare a qualche parolina, a qualche espediente verbale nei documenti finali dei vertici, come il riferimento al cosiddetto «miglior uso della flessibilità esistente»: ma una parola buona in un documento non si nega a nessuno, da che mondo è mondo. Al massimo, alla fine della fiera, l’Italia potrà per esempio ottenere lo scorporo dai calcoli di qualche «zero virgola» di investimenti, ma stiamo parlando di aspetti marginali che non cambiano il quadro di fondo. Se infatti si resta nel quadro delle regole esistenti, il rischio di asfissia e di mancanza di ossigeno è assolutamente concreto, e non sarà una miniconcessione (ammesso che arrivi) a scongiurarlo. Quel che conta, politicamente, è che anche il governo Renzi accetta di sottomettersi politicamente alla volontà di Berlino e Bruxelles. E infatti Renzi e Pier Carlo Padoan devono ammettere che tutto sarà affidato a come la nuova commissione Ue (e in particolare il successore di Olli Rehn) interpreterà le cose.

Servirebbe, invece, una strategia del tutto alternativa. Se non saremo capaci, come nel mio piccolo suggerisco da tempo (si veda il mio saggio “Per la rivincita: software liberale per tornare in partita), di sfondare autonomamente il limite del 3 per cento per un piano di consistenti tagli fiscali, per un vero e proprio choc fiscale positivo, ovviamente accompagnato da riforme e corrispondenti tagli di spesa, allora vorrà dire che l’Italia avrà deciso di autoconsegnarsi a un destino di non-crescita e di subalternità. E questo è a maggior ragione vero se vogliamo tornare alla crescita, tema su cui il governo Renzi andrà incontro a cocenti delusioni. Al suo arrivo, il governo Renzi previde per il 2014 una crescita dello 0,8 per cento. L’Istat ha fatto scendere la previsione allo 0,6, l’Ocse allo 0,5, la Confindustria addirittura allo 0,2. Nel frattempo sono arrivati i dati reali, relativi al primo trimestre 2013, che ci hanno portato addirittura sottozero, cioè a meno 0,1 per cento. Se questa è l’aria che tira, se poi Renzi conferma le sue scelte fiscali (sulla casa, sul risparmio…), e se poi restano anche i vincoli europei, come pensiamo di poter tornare a una crescita decente?