Disavanzo Inps

Per stare in piedi l’Inps dovrà vendere gli immobili

Per stare in piedi l’Inps dovrà vendere gli immobili

di Massimo Blasoni – La Verità

Ogni anno le casse pubbliche devono ripianare in deficit e ricorrendo alle tasse la differenza di circa 88 miliardi tra i contributi versati dai lavoratori e gli assegni previdenziali effettivamente erogati, inclusa la spesa assistenziale. A sostenerlo non sono dei profeti di sventura mossi da animosità politica ma il “Rapporto sull’invecchiamento” pubblicato recentemente dalla Commissione europea e debitamente sottoscritto dal nostro Ministero dell’Economia. Non si riesce quindi a comprendere sulla base di quale ragionamento lo stesso ministro Padoan e diversi altri esponenti di governo abbiano voluto a più riprese rassicurarci sostenendo che «il sistema è in equilibrio». Non lo è affatto, e rischia semmai di divenire in breve tempo letteralmente insostenibile per le tasche degli italiani.

A salvarci dal baratro non servirà nemmeno la rigorosa applicazione del severo lascito dal governo Monti: quel meccanismo di innalzamento progressivo dell’età pensionabile, legato all’aspettativa di vita media della popolazione, che alla lunga rischia di produrre effetti perversi. Per essere sostenibile finanziariamente, la riforma Fornero si fondava infatti su due presupposti che purtroppo non si sono finora verificati: una crescita costante del nostro Pil di almeno l’1,5% all’anno e un significativo aumento del tasso di occupazione (cioè del numero degli italiani concretamente al lavoro) che da molti anni ristagna attorno a un misero 58%, dieci punti sotto la media europea.

A tutto questo si aggiunga una gestione certo non brillante dell’INPS, con i suoi bilanci in profondo rosso anche perché appesantiti da oltre 100 miliardi di contributi non riscossi (una situazione paragonabile ai non performing loans che hanno messo in crisi le nostre banche). Forse sarebbe possibile la dismissione di almeno una parte degli immobili di proprietà dell’ente, valutati più di 3 miliardi e acquistati in anni in cui le scelte erano fondamentalmente politiche. Le alienazioni non si fanno però sia a causa dell’asfittico mercato immobiliare sia perché molti di quei 25mila immobili sono stati locati a fitti sin troppo vantaggiosi.

A pagare il conto salatissimo di questa situazione saranno i soggetti meno tutelati dalla politica e dai sindacati: quei giovani che già adesso devono accollarsi il prezzo del sistema retributivo applicato in passato in maniera troppo generosa. Tra lavori discontinui (e quindi versamenti contributivi intermittenti) e ritardato ingresso nel mondo del lavoro i neoassunti finiranno per dover lavorare ben oltre i 70 anni.

Una considerazione conclusiva: non è frutto di un ordine necessario che debba essere lo Stato a gestire i nostri contributi obbligatori. Sarebbe forse preferibile che ci fosse data la possibilità di decidere liberamente dove investirli, optando tra soggetti pubblici e privati in concorrenza tra loro. Passare da un sistema a ripartizione a uno a capitalizzazione rappresenta un passaggio complesso ma a ben vedere non impossibile.

Lasciateci liberi di scegliere un Inps “privato”

Lasciateci liberi di scegliere un Inps “privato”

di Massimo Blasoni – Panorama

Il deficit di gestione ormai strutturale dell’Inps è l’emblema dell’insostenibilità del nostro impianto previdenziale. Nel 2016 il patrimonio netto dell’Istituto è andato per la prima volta in negativo: sei anni fa misurava oltre 40 miliardi. Lo scorso esercizio ci sono state perdite per 7,65 miliardi, in linea con quelle che si registrano ormai da anni. Il disavanzo, regolarmente ripianato dallo Stato, è frutto del disallineamento tra contributi versati – con il criterio della ripartizione, dai lavoratori di oggi – e pensioni pagate. A questo si aggiunge la notevole massa dei crediti che l’Inps non riesce ad incassare e che è costretto ciclicamente a svalutare: un po’ come avviene per i crediti deteriorati delle banche. Si tratta di cifre ingentissime che rappresentano un’ulteriore pesante ipoteca sul bilancio della previdenza nazionale.

È noto che il sistema retributivo applicato in passato fu troppo generoso ma la situazione attuale è anche frutto di una gestione non certo assennata del patrimonio immobiliare. Per dare un’idea, l’Inps possiede 25mila immobili valutati più di tre miliardi da cui però non trae alcun provento, anzi un rilevante deficit annuale. E purtroppo non è finita qui. La sostenibilità del sistema previdenziale richiede sia una crescita del Pil di almeno un punto e mezzo percentuale annuo, sia un indice di occupazione – cioè di partecipazione al mercato del lavoro – nettamente più alto di quello attuale. Risultati per il momento non conseguiti né sul piano della crescita, che in Italia resta modesta, né relativamente all’incremento dell’occupazione: solo il 57% degli italiani lavora, contro una media europea dieci punti più alta. Tra l’altro nel nostro Paese non ha grande spazio la previdenza complementare: fra coloro che versano contributi il tasso di adesione non supera il 25% del totale degli occupati. D’altro canto con netti in busta paga fortemente gravati dall’altissimo cuneo fiscale e previdenziale non è semplice per le famiglie ritagliare risorse per assegni aggiuntivi.

Le incertezze per il futuro gravano fondamentalmente sui giovani. Lavori discontinui, vuoti contributivi e una previdenza in genere penalizzante rispetto al passato rischiano di condurre ad assegni pensionistici miseri e a un lavoro che si dovrà protrarre sino ad un’età assai avanzata. Il fatto è che ancora oggi alcuni vanno in pensione a poco più di 50 anni mentre l’aspettativa per chi inizia a lavorare va ben oltre i 70 anni. Una soglia che potrebbe spostarsi ancora più in là, posto che ogni tre anni i coefficienti di trasformazione adeguano l’età di pensionamento alla costante crescita della vita media. Una considerazione conclusiva: non è frutto di un ordine necessario che debba essere lo Stato a gestire i nostri contributi obbligatori. Sarebbe forse preferibile che ci fosse data la possibilità di decidere liberamente dove investirli, optando tra soggetti pubblici e privati in concorrenza. Un passaggio complesso ma a ben vedere non impossibile.