Per sopravvivere all’embargo russo nasce il pacifismo degli imprenditori

Dario Di Vico – Corriere della Sera

Se nella gravissima congiuntura internazionale che attraversiamo il pacifismo tradizionale appare completamente fuorigioco, o comunque non in grado di dotarsi di una lettura efficace dei conflitti in corso, sta nascendo, invece, una sorta di pacifismo imprenditoriale all’insegna di un inedito «Non siamo disposti a morire per Kiev». All’origine di questo slittamento di opinione c’è l’embargo proclamato da Mosca nei confronti di una larga serie di prodotti occidentali e i riflessi pesantissimi che questa decisione ha sull’export italiano.

È chiaro che per l’abbigliamento, l’arredo, le calzature, l’alimentare, le macchine agrìcole e i beni strumentali made in Italy quello russo è un mercato pregiato e che Prometeia stimava in crescita al ritmo di 200 mí1ioni l’anno da qui al 2019. Il rischio, secondo gli imprenditori, è che le forniture italiane siano sostituite dai produttori turchi e cinesi, che avrebbero brindato alla crisi ucraina come un’occasione irripetibile per conquistare spazi a nostro danno. Chi va in missione di business in Russia in questi giorni si sente ripetere da parte degli interlocutori locali che gli interessi di Stati Uniti e Ue non coincidono e che l’industria italiana oltre a pagare i riflessi dell’austerità tedesca ora soffre anche a causa della politica americana anti-Putin.

È inutile negare che, in una situazione economica come l’attuale, le argomentazioni russe incontrino il favore delle imprese più impegnate nell’interscambio. E a farsi interprete di questo disagio è stata la Confindustria Russia che ha emesso una netta presa di posizione e attraverso il suo presidente, il manager Eni Ernesto Ferlenghi, ha scritto a Giorgio Squinzi. Il tono del comunicato stampa è perentorio e chiede al premier Matteo Renzi «di mostrare più equilibrio» e di non alimentare «contrapposizioni da cui nessuno tlarrà beneficio». Ce n’è anche per i media italiani accusati di avallare «posizioni nostalgiche» della Guerra Fredda. Squinzi ha rassicurato Ferlenghi, ha ribadito la fiducia nella via diplomatica ma ha anche sostenuto che il tema non può essere affrontato solo in chiave nazionale. Il messaggio da Mosca, comunque, a Roma è arrivato.