indice 2016

Libertà fiscale, la Svizzera primeggia

Libertà fiscale, la Svizzera primeggia

Corriere del Ticino

Il fattore fiscale sta diventando una componente sempre più fondamentale della competitività di un Paese, importantissimo per attirare investimenti e per promuovere la crescita economica. Su questo tema il Centro Studi ImpresaLavoro di Udine ha pubblicato uno studio nel quale, con la collaborazione di ricercatori di dieci Paesi europei (fra cui il Liberales Institut di Zurigo), ha calcolato un Indice della libertà fiscale 2016, che tiene conto di sette diversi indicatori per valutare il «peso», non solo finanziario, della fiscalità nei 28 Paesi dell’UE e in Svizzera. Lo studio è stato ripreso dal sito Internet italiano ilgiornale.it.

Il risultato è lusinghiero per il nostro Paese: la Svizzera figura in prima posizione, con un indice di libertà fiscale pari a 75 punti, mentre in ultima posizione c’è l’Italia, con un indice di 39 punti. La classifica si basa come detto su fattori che cercano di tenere conto di tutti i costi generati dal sistema fiscale, e non solo di quelli diretti. Il Paese migliore in un determinato indicatore riceve il punteggio massimo attribuito a quel settore.

I primi due indicatori, relativi al numero di procedure e al numero di ore necessarie a pagare le tasse, si riferiscono al carico burocratico che le imprese devono sostenere per essere in regola con il fisco. Notiamo che in Svizzera il fisco occupa un’impresa per 63 ore l’anno, contro le 269 ore dell’Italia. Il terzo indicatore analizza il tasso di imposizione sugli utili cui sono sottoposte le imprese. In Svizzera è del 28,8%, mentre in Italia è più del doppio, ossia il 64,8% (tasso più alto in Europa). Il quarto indicatore stima quanto una media impresa debba spendere in procedure burocratiche per essere in regola con il fisco: si tratta di una sorta di tassa sulle tasse.

In questo ambito la Svizzera è abbastanza cara, visto il costo del lavoro, con 2.602 euro (metà classifica). In Italia occorrono 7.559 euro. Il quinto fattore, ossia la pressione fiscale sul PIL, vede la Svizzera col tasso minore in Europa, ossia il 27,1%, contro il 43,6% dell’Italia. Infine c’è l’indicatore sulla variazione della pressione fiscale dal 2000 al 2014 (Svizzera -0,4%, Italia +3,6%), e la pressione fiscale sui redditi delle famiglie (Svizzera 13,47%, Italia 28,28%). Il contributo del Liberales Institut di Zurigo mostra che grazie al meccanismo del freno all’indebitamento (approvato nel 2001) la Svizzera è stata una delle poche nazioni che ha potuto mantenere o migliorare la sua posizione finanziaria anche durante la crisi finanziaria del 2008, con un debito pubblico complessivo di 36,4% sul PIL.

Svizzera: prima in Europa perché meno tassata

Svizzera: prima in Europa perché meno tassata

Carlo Lottieri – Corriere del Ticino

Da sempre il destino delle comunità è legato a quello dell’imposizione fiscale. Come mostrò alcuni anni fa Charles Adams in un formidabile saggio dal titolo “For Good and Evil. L’influsso della tassazione nella storia dell’umanità” (la versione italiana è stata pubblicata da Liberilibri), esperienze che erano state di grandi successo per secoli e secoli sono  crollate, nel passato, proprio a seguito di imposizioni tributarie eccessive. Oltre a ciò, hanno spesso avuto una matrice fiscale anche le rivoluzioni moderne: in Inghilterra come in America, come in Francia.

Sotto tanti punti di vista è difficile capire qualcosa della stessa crisi che l’Europa sta conoscendo se non si considera che mai come oggi gli apparati pubblici del Vecchio Continente hanno colpito in maniera tanto massiccia i redditi di lavoratori, imprese e famiglie. Ed è quindi motivo di soddisfazione rilevare, secondo quanto afferma una recente ricerca del centro studi Impresa Lavoro di Udine, che entro il quadro europeo la Svizzera si trova al primo posto in quanto a “libertà fiscale”.

L’indice considera i ventotto Paesi dell’Unione più la Svizzera e prende in esame cinque aspetti: il numero delle procedure necessarie a pagare le imposte; il tempo da destinare a ciò; il tax rate sulle imprese; il miglioramento del livello tributario complessivo nel periodo 2000-2014; e soprattutto (ed è questo il dato che pesa di più, ovviamente) la percentuale complessiva dei tributi in rapporto all’economia. Soprattutto grazie a quest’ultimo dato, la Svizzera si rileva meno oppressiva di ogni altro Paese, superando – anche se non di molto – l’Irlanda.

Va aggiunto che la Svizzera primeggia in questa classifica nonostante due voci che la penalizzano: il numero delle procedure (relativamente alto, com’è inevitabile in un Paese a struttura federale) e il cambiamento rispetto al 2000. In un quindicennio la Svezia ha ridotto del 5,9% la pressione fiscale, ma in Svizzera questo exploit non è stato possibile, considerando l’alta tassazione da cui si partiva.

Tutto bene? Non proprio. Il quadro generale – come si è detto – è quello di un’Europa schiacciata da debiti e alta tassazione al tempo stesso: e in questo quadro è difficile pensare che la piccola Svizzera non paghi conseguenze negative. Quando i tuoi clienti, i tuoi fornitori, i tuoi partner, i tuoi risparmiatori ecc. conoscono difficoltà, anche tu difficilmente avrai prospettive esaltanti.

In questo contesto è importante essere ancora più virtuosi ed evitare la tendenza, che pure è fortissima, a considerarsi tanto bravi solo perché si fa meglio di altri. Essere i primi in una classe di somari non significa necessariamente essere ottimi studenti. Fuor di metafora, è cruciale che si risvegli lo spirito di resistenza che lungo i secoli ha portato le popolazioni elvetiche a resistere di fronte alle pretese di quanto inventano nuove imposte e moltiplicano i tributi. Se si vogliono finanziare spese e progetti, è sempre bene esplorare la strada di tagli di bilancio: riducendo le uscite invece che aumentando le entrate.

Si tratta di avere una visione complessiva in grado di assicurare un futuro di prosperità: evitando ogni “normalizzazione” e scongiurando il rischio di una Svizzera sempre più simile alla Francia o alla Germania. Ma oltre a ciò, quando si assume come proprio principio ispiratore una sana diffidenza di fronte a ogni imposta, si sceglie di essere fedeli all’istituto cardine di ogni società civile: la proprietà.

Rispettare quanto più è possibile la proprietà significa, in poche parole, rispettare l’altro: il suo lavoro, il suo risparmio, quello dei suoi genitori. In questo come in altri casi (si pensi ai contratti), la difesa di solidi principi di giustizia comporta rilevanti conseguenze economiche. Una società che cerca di essere giusta e quindi non consegna una quota crescente delle ricchezze nelle mani dell’apparato politico e burocratico, alla fine è anche una società di successo.

Almeno in parte, questo è quanto la Svizzera ha saputo fare nel corso dei secoli: ha contenuto tassazione e regolazione, ha protetto la proprietà, ha tutelato i contratti, ha limitato (anche grazie alla concorrenza istituzionale e quindi al federalismo) il potere dei governanti, e tutto questo l’ha premiata.

È bene allora che non venga meno questa vigilanza di fronte alle buone ragioni del diritto, che si esprime anche in una resistenza di fronte a imposte eccessive e ingiustificate. E non solo per mantenere quel primo posto in classifica che pure tanti benefici assicura (basti pensare alla limitata disoccupazione) alla popolazione svizzera.

 

Federcontribuenti: “Fisco, un sistema da ripensare”

Federcontribuenti: “Fisco, un sistema da ripensare”

Federcontribuenti*

Siamo sempre più emarginati ed isolati dal resto di Europa, un quadro fiscale che deve mettere paura non solo ai cittadini italiani ma allo stesso governo. Dialoghiamo costantemente con i Paesi presi in esame, ed è sentito da tutti il bisogno di rivedere il sistema fiscale di ogni Paese membro della Ue.

L’Euro necessita di un eguale sistema fiscale, un eguale costo della manodopera e un eguale costo delle materie prime per diventare forte e unita. Del resto i numeri parlano chiaro, l’Italia continua a pagare un prezzo troppo alto in vite umane e imprese chiuse con gravi ripercussioni sull’occupazione e sulle stesse entrate erariali. Non si capisce come mai un discorso tanto semplice appaia incomprensibile alla classe politica.

*Da Blasting News

Noi Consumatori: “Italiani schiavi del macigno fiscale”

Noi Consumatori: “Italiani schiavi del macigno fiscale”

Angelo Pisani* – Noi Consumatori

Non ci si deve domandare perché le aziende delocalizzano all’estero tagliando i posti di lavoro in Italia. È evidente che una pressione fiscale così asfissiante non può che frenare la crescita e l’economia di un Paese, che solo grazie agli alti livelli produttivi e di elevate capacità dei suoi imprenditori e lavoratori riesce ancora a “reggere” nel contesto europeo».

*Presidente di NoiConsumatori.it

Italia ultima per libertà fiscale, siamo massacrati dalle tasse

Italia ultima per libertà fiscale, siamo massacrati dalle tasse

Gian Maria De Francesco – Il Giornale

Nel campionato europeo delle tasse l’Italia occupa l’ultima posizione. La classifica è stata stilata dal Centro studi ImpresaLavoro che ha pubblicato la seconda edizione dell’Indice della libertà fiscale, un monitor che consente di paragonare tra loro i 28 Paesi dell’Unione europea più la Svizzera quanto a invadenza dello stato nelle attività economiche dei cittadini e delle imprese attraverso la leva del fisco.

L’indice è stato elaborato sulla base dei dati Eurostat e del rapporto Doing Business della Banca mondiale e analizza sette diversi indicatori, ciascuno dei quali comporta l’assegnazione di un punteggio. La somma delle valutazioni ricevute in ogni categoria restituisce la classifica finale che vede l’Italia tristemente ultima con 39 punti. Nell’area dei Paesi fiscalmente oppressi – con un punteggio inferiore a 50 – si ritrovano anche Danimarca (49), Grecia (48), Austria (45), Francia (44) e Belgio (41). La prima impressione che se ne ricava, dunque, è che i Paesi nell’area euro, indipendentemente dalla loro collocazione tra i «buoni» o i «cattivi» siano più in difficoltà rispetto al resto del Vecchio Continente. Prova ne è che anche Germania (52), Spagna (54) e Olanda (56) non stiano messi molto meglio. In cima alla classifica, infatti, troneggiano economie sviluppate che non hanno perso la propria sovranità monetaria. Svizzera (75), Regno Unito (65) e Svezia (60) figurano tra le nazioni fiscalmente più libere. Le eccezioni dell’area euro sono, invece, rappresentate da Paesi che hanno una fiscalità meno esosa proprio per attrarre imprese e, soprattutto, patrimoni, come Irlanda (74) e Lussemburgo (68).

Resta da chiedersi, comunque, il perché di questo specifico tutto italiano. La particolarità dell’analisi effettuata dal Centro studi ImpresaLavoro è, infatti, nel non essere basata su luoghi comuni (ricreati ad arte tramite statistiche) né su eccessi di idealismo. Non si vagheggia un sistema fiscale perfetto ma si individuano, appunto, sette parametri o benchmark. Se ben sette Stati tra i quali Svizzera, Lussemburgo, Croazia e Irlanda riescono a tenere la tassazione delle imprese sotto il 30%, allora questo obiettivo non è irrealizzabile. E se non è irrealizzabile, è lecito chiedersi perché l’Italia continui a vessare gli imprenditori con un tax rate del 64,8% che non invoglia certo a fare business. E soprattutto viene da chiedersi perché l’Italia sia ultima per costi degli adempimenti burocratici per pagare le tasse (7.559 euro) staccando pure la Germania (7mila euro circa) e il Belgio (6.295 euro). A questi costi si aggiunge la perdita di tempo (e di danaro) per pagare le tasse (269 ore annue): solo in Europa dell’Est le procedure sono più farraginose delle nostre. E se si mettono questi risultati assieme alla pressione fiscale complessiva sul Pil (43,6% nel 2014) si osserva come solo la Francia e il Belgio siano messi peggio. L’insieme di questi dati finora osservati non è solo un termometro dell’invasività fiscale, ma una spia della perdita di competitività generale del nostro Paese. Un’Italia che dal 2000 al 2014 ha visto l’incidenza delle tasse sul prodotto interno lordo aumentare di 3,6 punti percentuali regalando agli altri partner europei un vantaggio di cui hanno saputo approfittare. Con buona pace di Renzi.

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Italia, il peggior fisco d’Europa

Italia, il peggior fisco d’Europa

Cristina Bartelli – Italia Oggi

Italiani schiavi del fisco. Nell’indice della libertà fiscale 2016, redatto dal centro studi Impresalavoro, l’Italia risulta essere all’ultimo posto nella classifica finale dei 29 paesi analizzati nella loro libertà impositiva. Davanti a tutti i paesi dell’area Euro, più la Svizzera, incoronata regina della libertà fiscale.

L’indice, scrive il centro studi fondato dall’imprenditore Massimo Blasoni, è stato realizzato muovendo da sette diversi indicatori, ognuno dei quali «analizza e monitora un aspetto specifico della questione fiscale». Sono presi in esame il numero di procedure necessarie per pagare le tasse, il numero di ore necessarie per pagare le tasse, il total tax rate sulle imprese, i costi per pagare le tasse, la pressione fiscale sul Pil, la variazione della pressione fiscale dal 2000 al 2014 e il tax rate delle famiglie. Le banche dati a cui il centro studi ha attinto, rielaborando le informazioni, sono quelle di Eurostat e Doing business (Banca mondiale). L’Italia con 14 procedure per pagare le tasse, 11 giorni dedicati agli adempimenti e 7.600 euro di costi per la burocrazia fiscale occupa se non gli ultimi, tutti i posti di coda di ciascuna delle tabelle dei singoli indicatori.

Le procedure necessarie per pagare le tasse. È la Svezia a essere sul podio come paese con il più alto livello di semplificazione: sono sei gli appuntamenti con la cassa fiscale dei contribuenti svedesi. L’Italia ne ha 14 come la Romania, ma fanno peggio la Croazia (19), la Svizzera (19), il Lussemburgo (23) e Cipro (27).

Il numero di ore necessarie per pagare le tasse. I consulenti e i contribuenti lussemburghesi dedicano «solo» 55 ore, poco più di due giorni, allo smaltimento degli adempimenti tributari. L’Italia è in fondo alla classifica: richiede ai suoi professionisti e volenterosi dell’adempimento 269 ore annue, pari a 11 giorni e 2 ore. Peggio fanno la Polonia con 271 ore, il Portogallo con 275 ore, l’Ungheria con 277 ore, la Repubblica Ceca, 405 ore e la Bulgaria con 423 ore (17 giorni dedicati allo smaltimento delle scartoffie fiscali).

Total tax rate sulle imprese. Con questo indicatore nello studio si identifica la quota di profitti che una media azienda paga ogni anno allo Stato sotto forma di tasse e contributi sociali. La Croazia, a pari merito con il Lussemburgo, sono i due Stati che impattano di meno nei conti delle azienda. Il peso è del 20%. L’Italia, in questa categoria arriva ultima con un peso pari al 64,8%. Non sono messe meglio comunque la Francia coni il 62,7% e il Belgio con il 58,4%.

Costo per pagare le tasse. Altra maglia nera per l’Italia in questa categoria. Il nostro paese fa pagare il prezzo più elevato in procedure burocratiche per essere in regola con il fisco. Una sorta, la definisce lo studio, di tassa sulle tasse. Si parla cioè di 7.559 euro annui che si perdono nei rivoli della burocrazia. In questo caso, in compagnia dell’Italia, agli ultimi posti c’è la Germania con 7.020 euro, seguita dal Belgio con 6.295 euro. In Romania, invece, l’esborso si ferma a 795 euro.

Pressione fiscale sul pil. Per il calcolo dell’indice è l’indicatore di maggior rilievo, quello che misura le dimensioni della tassazione complessiva sulla ricchezza prodotta da un paese. In questa classifica l’Italia si ferma al 43,6%. Il paese con la pressione fiscale più alta è la Danimarca, al 50,7%. Al primo posto la Svizzera con il 27,1%.

Variazione pressione fiscale dal 2000 al 2014. In questo caso peggio dell’Italia fanno solo Grecia, Malta e Cipro,

Tax rate sulle famiglie. Anche sulla pressione fiscale delle famiglie l’Italia è nelle ultime posizioni con un’incidenza del 28,28%. Peggio fanno l’Austria, la Grecia, la Germania, la Danimarca e il Belgio, che risulta essere il paese più «ostile» con una incidenza del 36,88%.

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