jean marie del bo

Il rubinetto che salva le casse dello Stato

Il rubinetto che salva le casse dello Stato

Jean Marie Del Bo – Il Sole 24 Ore

Un Fisco “rubinetto”. Da aprire e chiudere a seconda di quanto è necessario far arrivare nelle casse statali. L’incubo dei contribuenti non è solo la complessità, talvolta naturale, della normativa fiscale. Ma anche la tendenza a usare la valvola tributaria come uno strumento “idraulico” da aprire o chiudere ai seconda delle esigenze dei conti pubblici. Nessuno discute le necessità che possono avere i bilanci statali e quelli locali così come il fatto che l’obbligo generale di solidarietà richieda talvolta di far fronte alle situazioni di emergenza con misure speciali. Contribuenti, imprese e professionisti hanno saputo fronteggiare in passato situazioni difficilissime. Quello che fa riflettere è, invece, la tendenza a vivere in permanenza in una situazione straordinaria, facendo dell’emergenza la regola e svuotando, così, di qualunque significato le parole. Una politica dei due tempi permanente, in cui il sacrificio di oggi si accompagna sempre alla promessa di un nuovo rapporto Fisco-contribuente da attuare domani. E la sensazione è che il domani non arrivi mai. Certo, l’alta infedeltà fiscale non aiuta chi deve muoversi all’interno del sistema fiscale per cercare di dargli ordine e di renderlo meno opprimente. Ma l’evidenza – condivisa anche dall’amministrazione finanziaria – è che serva davvero un cambio di passo. Per evitare che il Fisco sia solo un “rubinetto” che contribuisce a prosciugare le risorse.

Svecchiare in tre mosse

Svecchiare in tre mosse

Jean Marie Del Bo – Il Sole 24 Ore

Per gli studi di settore si avvicina il momento di una profonda ristrutturazione. Che si articolerà su tre passaggi per svecchiare lo strumento di controllo per piccole e medie imprese e professionisti. 

Sono passati, infatti, vent’anni da quando si cominciò a parlare di studi di settore come strumento per affrontare lo storico problema della convivenza, nel nostro sistema economico, di milioni tra Pmi e lavoratori autonomi e di un’evasione fiscale diffusa e capillare. L’idea era quella di elaborare una serie di sofisticati programmi di calcolo che fossero in grado di stimare, in modo più efficace di quanto fatto con strumenti precedenti, il ricavo che le imprese dovevano ragionevolmente avere in base a dati contabili e dimensione aziendale.
Dopo vent’anni il confronto si sta ora spostando sulla valutazione di come cambiare un meccanismo che è entrato tra le prassi consolidate del nostro sistema tributario.
Gli studi di settore, partiti operativamente nel 1998, hanno vissuto nel tempo alcuni passaggi che contribuiscono ora a metterne in discussione il ruolo. In primo luogo, sono stati al centro di una vera e propria rivolta “sociale”, che ne ha fatto il punto di caduta della protesta fiscale, nel momento in cui si è cercato di rafforzarne l’impatto. Poi, sono stati depotenziati nella loro forza probatoria quando la Corte di cassazione ha riconosciuto che gli scostamenti devono essere integrati da altri elementi e da una robusta dose di contraddittorio fra uffici e contribuenti. Infine, sono stati adeguati, con correttivi robusti, all’impatto della crisi sui ricavi. Con l’effetto “collaterale” che, nel momento in cui le difficoltà economiche si sono rivelate di lunga durata, sono diventati permanenti degli sconti che, invece, avrebbero dovuto essere temporanei.

Il problema, a questo punto, è la perdita di efficacia dello strumento nel tempo. La ristrutturazione, però, è già cominciata. E sembra articolarsi in tre “fasi” distinte. Si tratta di introdurre indicatori che consentano di impedire che gli studi di settore vengano usati a piacimento da parte dei contribuenti. Di controllare meglio chi ha abusato del regime premiale che garantisce meno controlli a chi è in regola e, nello stesso tempo, di fare degli studi di settore più uno strumento di selezione dei contribuenti a rischio che di controllo diretto. E, infine, di approfittare del treno della delega fiscale per riscrivere la geografia di questi meccanismi, riducendone l’ambito di applicazione a un minor numero di categorie ma ricalibrandoli per renderli più efficaci.

L’idea, dunque, è quella di abbandonare il mito dello studio di settore capace di tutto, in grado di misurare quasi tutto il sistema economico, pur sapendo che con cinque milioni di partite Iva è quasi impossibile pensare al superamento di un meccanismo che favorisca l’adempimento spontaneo e permetta di selezionare i contribuenti da controllare. Mentre si può ridurre l’area di applicazione degli studi di settore solo ai comparti dove può essere davvero utile ed efficace.
La delega fiscale è una grande occasione per tutti. Lo è proprio perché tutti sanno quanto complesso e deteriorato sia il sistema fiscale italiano. L’occasione, però, non va solo riconosciuta e apprezzata. Va sfruttata in tutti i modi per ricostruire una realtà di minore conflittualità e di maggiore collaborazione fra Fisco e contribuente. L’uscita dalla lunga crisi passa anche da scelte come queste.