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Tfr e Irap: i conti della liquidazione in busta paga, deducibile il costo del lavoro

Tfr e Irap: i conti della liquidazione in busta paga, deducibile il costo del lavoro

Lorenzo Salvia – Corriere della Sera

Dopo un lungo tira e molla, il capitolo Tfr entra nel disegno di legge di Stabilità che oggi sarà approvato in Consiglio dei ministri. L’anticipo in busta paga del trattamento di fine rapporto sarà su base volontaria, possibile fino al 100% della somma maturata nell’anno, e riguarderà anche i lavoratori che hanno scelto di spostare il Tfr verso i fondi pensione. Per gli ultimi dettagli è in corso un confronto con l’Abi, l’Associazione delle banche. A ieri sera dal meccanismo erano esclusi solo i dipendenti pubblici. Ma potrebbero restare fuori anche altre due categorie: agricoltura più colf e badanti.

Per le colf si sta valutando se l’anticipo sarebbe un vantaggio per le famiglie, che già oggi possono liquidarlo anno per anno, oppure una spesa che finerebbe per mangiarsi buona parte delle misure a loro sostegno, compreso il bonus da 80 euro. A proposito di bonus, la misura viene confermata e allargata ma solo per le famiglie numerose con un solo stipendio. Come previsto, rispetto ai 26 mila euro lordi l’anno fissati a giugno, il tetto massimo di reddito sale a 31 mila euro con due figli a carico, a 40 mila con tre, a 50 mila con quattro. In parallelo dovrebbe arrivare un ritocco agli assegni familiari.

Il ddl di Stabilità prevede interventi per 30 miliardi di euro, di cui 11,5 finanziati in deficit, il resto in arrivo soprattutto da tagli di spesa. Per le imprese diventa più leggera l’Irap, l’Imposta sulle attività produttive, dalla quale sarà interamente deducibile il costo del lavoro per un valore di 6,5 miliardi di euro. Ma ad avvantaggiarsene saranno soprattutto le grandi aziende mentre resteranno fuori quelle senza dipendenti, il 70% del totale come ricorda Rete imprese Italia. Sempre dal lato delle imprese sul piatto c’è anche un miliardo di euro per azzerare i contributi sulle nuove assunzioni, quelle che saranno fatte con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs act , che però deve ancora passare l’esame della Camera.

Salvo sorprese dell’ultima ora, viene rinviato ancora una volta il riordino delle agevolazioni fiscali. La legge di Stabilità si limiterà a costituire un gruppo di lavoro per sfoltire quella lista composta oggi da 700 voci. Ma il criterio base è già stato fissato: non si procederà con sgravi modulati a seconda delle fasce di reddito, come pure si era pensato di fare in un primo momento, ma alcune agevolazioni saranno eliminate per tutti. Non dovrebbero essere toccate quelle ad alto impatto sociale, come le detrazioni sulle spese mediche o sugli interessi per i mutui sulla prima casa. L’ipotesi iniziale era di ricavare da questo riordino almeno 1 miliardo di euro. Per far quadrare i conti potrebbe essere ulteriormente rafforzato l’aumento della tassazione sulle slot machine, anche se gli operatori dicono che, limitando le vincite, lo Stato finirebbe per incassare meno. Rinvio, sempre salvo sorprese, anche per la tassa unica sulla casa, che fonderà Tasi, Imu e Tari, con il ripristino delle vecchie detrazioni Imu: 200 euro per l’abitazione principale, più 50 euro per ogni figlio a carico.

Tfr, scelta volontaria
L’anticipo in busta paga del Tfr, il trattamento di fine rapporto, sarà possibile su base volontaria. Il lavoratore potrà chiedere di ricevere mese per mese fino al 100% della somma maturata nel corso dell’anno. Il Tfr maturato negli anni precedenti non può essere oggetto di anticipo. Sono esclusi i dipendenti pubblici, si ragiona su agricoltura e colf. Potranno fare domanda anche i lavoratori che hanno scelto di spostare il Tfr verso i fondi pensione. Proprio sui fondi il prelievo a carico dell’iscritto salirebbe dall’11,5 al 12%. Mentre verrebbe ridotta dal 20 al 12% la tassazione sugli investimenti.

Bonus di 80 euro
Confermato il bonus da 80 euro per i lavoratori dipendenti. Come previsto l’intervento viene allargato ma solo per le famiglie numerose che hanno un solo reddito: per loro il limite massimo di reddito sale rispetto ai 26 mila euro lordi l’anno fissati con il decreto che ha introdotto il bonus. E arriva fino a 31 mila euro con due figli a carico, a 40 mila con tre figli, 50 mila con quattro. In tutto la misura dovrebbe costare 500 milioni di euro. In parallelo è in arrivo anche un ritocco degli assegni familiari. Possibile il ritorno delle detrazioni fisse per i figli (50 euro) per la nuova tassa unica sulla casa, che metterà insieme Tasi, Imu e Tari. Nessun intervento sulle pensioni.

Pressione fiscale
Diventa più leggera l’Irap, l’Imposta regionale sulle attività produttive. Dall’anno prossimo sarà interamente deducibile il costo del lavoro, per un taglio del carico fiscale pari a di 6,5 miliardi di euro. La misura è stata accolta con grande entusiasmo da Confindustria. Ma riguarderà soprattutto le grandi aziende, mentre resteranno fuori 3 milioni di aziende senza dipendenti, il 70% del totale. Nel disegno di legge di Stabilità c’è anche un miliardo di euro per azzerare i contributi sulle nuove assunzioni, quelle che saranno fatte con il nuovo contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs act .

Più tasse sui giochi
Non c’è solo l’aumento della tassazione sulle slot machine. Nel disegno di legge di Stabilità ci sono anche altre tasse, che però potrebbero scattare solo come clausola di salvaguardia, cioè come piano B per garantire la tenuta dei conti se qualcosa dovesse andare storto. Possibile un ritocco delle accise sulla benzina, ma anche un aumento dell’Iva e delle imposte indirette che porterebbe in dote 12,4 miliardi nel 2016, 17,8 nel 2017 e 21,4 nel 2018. Salvo sorprese, viene rinviata ancora una volta la revisione delle agevolazioni fiscali, quella lista di 700 sconti che vengono recuperati nelle buste paga di luglio. Se ne dovrebbe occupare un comitato ad hoc.

Lavoro, tutte le nuove misure (senza articolo 18)

Lavoro, tutte le nuove misure (senza articolo 18)

Lorenzo Salvia – Corriere della Sera

Quello a tempo indeterminato e a tutele crescenti sarà il tipo di contratto «privilegiato in termini di oneri diretti e indiretti». Per questo sarà possibile incentivarlo, sotto forma di taglio dei contributi o dell’Irap da quantificare successivamente con le norme attuative, in modo da renderlo più vantaggioso rispetto ai contratti a termine che altrimenti non avrebbero rivali, specie dopo la liberalizzazione di pochi mesi fa. E con l’obiettivo finale di arrivare al «superamento delle tipologie contrattuali più precarizzanti». Nell’emendamento al Jobs act , il disegno di legge delega per la riforma del lavoro sul quale oggi il Senato dovrà votare la fiducia, il governo fa qualche altro passo verso la minoranza del Pd, che però resta critica.

Licenziamenti
Dal pacchetto, otto pagine che ieri sera hanno avuto la bollinatura della Ragioneria generale dello Stato e stamattina saranno depositate formalmente in Senato, resta però fuori ogni riferimento alle nuove regole sui licenziamenti e all’articolo 18. La questione sarà confinata ad un semplice discorso che il ministro del Lavoro Giuliano Poletti farà in Aula. Dichiarazioni spontanee, nessuna votazione a seguire. Come indicato nel documento votato nella direzione del Pd, il ministro si impegnerà a mantenere il reintegro nel posto di lavoro per i licenziamenti disciplinari, quelli addebitati al comportamento del dipendente, che dovessero essere giudicati ingiustificati dalla magistratura. Ma solo in alcuni casi limite e comunque rimandando i dettagli al 2015, quando il Jobs act sarà stato approvato anche alla Camera e il governo scriverà i decreti attuativi.

La tipizzazione
A quel punto, ma solo a quel punto, il governo procederà ad una tipizzazione più stretta dei licenziamenti disciplinari ingiustificati, in modo da ridurre il margine di discrezionalità dei magistrati. E lascerà aperta la possibilità per l’azienda di scegliere comunque l’indennizzo, ma più caro, anche quando il magistrato dispone il reintegro. I decreti attuativi passeranno in Parlamento solo per un parere non vincolante, e il governo avrà gioco più facile rispetto al difficile compromesso che deve cercare adesso. Una semplice dichiarazione del ministro non è una garanzia sufficiente per la minoranza Pd, che con Cesare Damiano avverte: «La battaglia per migliorare la delega continuerà alla Camera». Ma potrebbe funzionare da scudo in futuro, se le norme attuative dovessero essere impugnate davanti alla Corte costituzionale perché vanno al di là della delega, visto che nel Jobs act manca un riferimento proprio all’articolo 18.

Mansioni e voucher
Nell’emendamento ci sono altri due passi verso la minoranza Pd. Il primo è sul demansionamento, cioè la possibilità di assegnare al lavoratore mansioni inferiori a quelle della categoria di appartenenza. L’operazione sarà possibile rispettando le «condizioni di vita ed economiche del lavoratore», il che non vuol dire necessariamente conservando lo stesso salario ma quasi. Mentre sui voucher, i buoni lavoro utilizzati per le prestazioni occasionali, resta fermo il principio di un tetto massimo al loro utilizzo, che però sarà definito sempre con le norme attuative.

Scioperi e referendum
Non ci saranno invece, salvo sorprese, le norme sulla rappresentanza, sulla contrattazione aziendale e sul salario minimo, delle quali aveva parlato lo stesso Matteo Renzi nel corso dell’incontro con i sindacati avuto in mattinata. L’obiettivo è quello di impedire scioperi e referendum quando un accordo viene firmato dal 50% più uno dei rappresentanti sindacali, limitando il diritto di veto delle sigle più piccole (leggi Fiom). Mentre il salario minimo potrebbe sostituire in parte i contratti nazionali, indebolendo anche i sindacati più grandi. Il progetto resta in piedi ma con tempi più lunghi.

Deficit sotto il 3% con il Pil allargato

Deficit sotto il 3% con il Pil allargato

Lorenzo Salvia – Corriere della Sera

Non siamo più ricchi ma una piccola buona notizia c’è. L’Istat ha ricalcolato anche per il 2013 il Pil, il Prodotto interno lordo, secondo le nuove regole europee che fanno entrare nel conteggio anche un pezzo dell’economia illegale come la droga e la prostituzione. Rispetto al vecchio metodo di calcolo, il Pil italiano guadagna in un colpo solo 59 miliardi di euro, il 3,8%, arrivando a 1.618,9 miliardi di euro. Non si tratta di una crescita vera e propria ma di una semplice illusione statistica. Il giro d’affari dell’economia illegale va aggiunto anche al Pil degli anni precedenti e alla fine viene fuori che la recessione è sempre la stessa: Pil nuovo o Pil vecchio, il calo resta dell’1,9% rispetto al 2012.

Il ricalcolo dell’Istat, però, ha un effetto positivo su due indicatori tenuti sotto stretta osservazione da Bruxelles. Il primo è il debito pubblico, che in termini reali continua a volare sopra la soglia dei 2 mila miliardi di euro. Ma che in rapporto al nuovo Pil scende dal 132,6%. al 127,9%. Una diminuzione virtuale che però renderebbe meno pesante un eventuale percorso di riduzione. Il secondo indicatore è il rapporto tra deficit e Pil, che scende al 2,8% dal 3%, il limite massimo consentito dall’Unione Europea. Se la tendenza fosse confermata anche per l’anno in corso, l’Italia potrebbe spendere uno 0,2% aggiuntivo del Pil (3 miliardi di euro) senza subire una nuova procedura d’infrazione. Una piccola flessibilità regalata dalle nuove regole sugli swap, gli strumenti derivati, che dicono di non conteggiare come passività gli interessi che il Tesoro paga per coprirsi dai rischi sui cambio sui tassi di interesse.

Per effetto del ricalcolo cambiano anche un’altra serie di indicatori: la pressione fiscale scende dal 43,8 al 43,3% del Pil. Mentre aumenta dello 0,6% il peso economico dell’agricoltura, per effetto di modifiche attese da tempo, come il conteggio in questo comparto di alcune attività legate alle energie rinnovabili e un monitoraggio più attento dell’Iva. Un’altra illusione statistica, insomma.

Purtroppo ieri l’Istat ha diffuso anche altri numeri. Qui non c’entra il ricalcolo del Pil ma l’andamento reale del nostro settore industriale. E in quelle tabelle ci sono soltanto segni meno. A luglio il fatturato è sceso dell’1% rispetto al mese precedente e il dato in arrivo dal mercato estero, finora ancora di salvezza delle nostre aziende, è andato peggio di quello nazionale. In calo anche gli ordinativi totali, meno 1,5%.

Il primo taglio delle accise, sui fiammiferi

Il primo taglio delle accise, sui fiammiferi

Lorenzo Salvia – Corriere della Sera

Non basterà certo questo a farci perdere il record mondiale di pressione fiscale. Ma nel Consiglio dei ministri di domani il governo si prepara addirittura a cancellare una tassa. Non tagliare ma cancellare del tutto. Purtroppo si tratta solo dell’accisa sui fiammiferi. Decisione indolore perché da quel bollino sulle scatoline di cartone lo Stato incassa ogni anno appena due milioni e mezzo di euro. Briciole. E perché quella somma sarà più che compensata dall’aumento delle accise sulle sigarette, comprese quelle elettroniche, che porterà in dote una somma ben più alta. Nel Paese in cui il taglio delle tasse viene solo annunciato da anni (con l’eccezione non trascurabile del bonus da 80 euro), la speranza è che la prossima sforbiciata alla pressione fiscale finisca un po’ meno in fumo.

La spending review inciampa sui comuni. Le centrali d’acquisto sono ferme al palo

La spending review inciampa sui comuni. Le centrali d’acquisto sono ferme al palo

Lorenzo Salvia – Corriere della Sera

È uno dei simboli della spending review. Ed è un progetto partito quando quelle due paroline inglesi erano ancora roba da convegno di esperti e non linguaggio (quasi) comune. Ma la sempre invocata riduzione delle centrali d’acquisto rischia di essere rinviata ancora una volta. Dal primo luglio, tra due giorni appena, dovrebbe riguardare più di 8mila Comuni, tutti tranne i capoluoghi di provincia. Ma – complice una norma con qualche buco – rischia di paralizzare l’attività di tutte le amministrazioni. E per questo il governo si rigira tra le mani l’ipotesi di una proroga, tutt’altro che semplice.

L’idea delle cosiddette centrali uniche di committenza nasce da un principio di buon senso: se cinque Comuni comprano le loro penne e loro matite ognuno per conto proprio le pagheranno 100; se gli stessi Comuni si mettono insieme per comprare le stesse penne e le stesse matite probabilmente le pagheranno 90. Il gruppo spunta un prezzo migliore del singolo, regola antica che applicata al bilancio dello Stato significa un certo risparmio di denaro pubblico. Per questo già il governo Monti – con il decreto Salva Italia del dicembre 2011 – introdusse la regola degli appalti di gruppo per i Comuni più piccoli, quelli al di sotto dei 5 mila abitanti. L’obbligo doveva partire dal primo aprile del 2012 ma è stato rinviato più volte e non è ancora operativo. Poi è arrivato il commissario straordinario alla spending review Carlo Cottarelli, con il suo progetto di ridurre le centrali d’acquisto di tutta la pubblica amministrazione dalle 32mila di oggi a 30/40. Il governo Renzi accelera e nel decreto legge sul bonus da 80 euro infila una norma che obbliga all’acquisto di gruppo non solo i paesini sotto i 5mila abitanti ma tutti i Comuni, con l’eccezione dei soli capoluoghi di provincia. Nel frattempo è stata eliminata anche la deroga per i piccoli appalti, che consentiva ai Comuni di muoversi da soli per le spese al di sotto dei 40mila euro. L’Anci – l’associazione dei Comuni – dice che così si rischia il blocco totale degli appalti. La solita resistenza ad ogni cambiamento? Insomma.

La norma che allarga l’obbligo ai Comuni sopra ai 5mila abitanti ha qualche contraddizione. I Comuni dovrebbero creare dei consorzi di acquisto, ma anche questo richiede un minimo di preparazione e il decreto è stato convertito in legge appena 10 giorni fa. Nell’immediato ci sono due alternative, ma entrambe zoppicanti. La prima è rivolgersi alla Consip, la società per gli acquisti della pubblica amministrazione, che però nel suo catalogo non ha tutti i prodotti che servono ai Comuni. Mancano gli appalti di lavori pubblici, ad esempio, i più importanti. La seconda è rivolgersi alle “nuove province”, gli organi senza più politici che funzionano come centro di coordinamento del territorio. Solo che al momento sono commissariate, di fatto paralizzate, e torneranno operative nella loro nuova veste dal primo ottobre. «Il risultato – spiega Mario Guerra, deputato del Pd che ha seguito la vicenda fin dall’inizio – è che un Comune grande come Sesto San Giovanni, 80mila abitanti, rischia di non poter muovere foglia. Mentre quattro paesini da 800 abitanti si mettono insieme e aggirano il blocco». Consapevole del problema, il governo studia l’ipotesi di un rinvio che, in caso, andrebbe deciso per decreto legge con il Consiglio dei ministri di domani. Ma ci sono moltissimi dubbi. Non solo perché un altro decreto rischierebbe di non trovare posto in un calendario parlamentare già al limite della capienza. Ma perché l’ennesimo rinvio potrebbe dare un colpo alla credibilità generale della spending review. Già quest’anno dalla revisione della spesa il governo ha ricavato “solo” 3,5 miliardi, un miliardo in meno di quanto previsto. L’anno prossimo ne sono previsti 17, quello dopo addirittura 32. Una salita ripidissima. L’ennesima proroga sugli appalti di gruppo, e quelle che per imitazione potrebbero seguire su altre materie, non aiuterebbero la pedalata.