La sfida della crescita, l’importanza delle riforme
Mauro Calise – Il Messaggero
Sul lavoro che sta compiendo il governo Renzi resta ancora da capire quanto il premier sia davvero bravo nel gestire i dossier più scottanti, dal lavoro all’economia e alla giustizia. Per non parlare dei fascicoli aperti a tempo indeterminato, come le grandi riforme che sono, per definizione, incompiute. Tutti continuano a ripetere che i risultati tardano a venire, come se tutti ce l’avessero in tasca, la ricetta miracolosa. Dimenticando che i predecessori hanno fallito pur disponendo di maggioranze bulgare: politica per Berlusconi, tecnica per Mario Monti, bipartisan per Enrico Letta. E che i pari-grado all’estero versano in acque ben peggiori: Hollande continua a cambiare i titolari dei ministeri chiave, e a scendere in picchiata nei sondaggi. Ma a Renzi, anche per la giovane età, tocca almeno un esame al giorno. E i voti si van facendo più severi. Al premier, però, tutto questo non dispiace. Anzi, gli va a pennello. Ciò che conta, per i prossimi mesi, non è sfornare improbabili vittorie sul fronte dei dati duri di una ripresa economica che – Draghi ce l’ha fatto capire – non darà frutti prima di un paio di anni. Ma restare ben piantato al centro dei riflettori mediatici, tenendone saldamente il monopolio. Inventandosi ogni giorno un evento, un cambiamento di agenda, uno slogan accattivante. O un repentino cambio di passo, da sprinter a maratoneta.
Ed ecco serviti tutti quelli che si erano adagiati sull’immagine di un Renzi obbligato a correre, costantemente proteso al sorpasso delle sue stesse iniziative. Il premier, da oggi, rallenta. Si prende tutto il tempo necessario a rimettere in pezzi un Paese scassato da cima a fondo. Da piè veloce Achille a tartaruga. Tanto, per dirla con Zenone, chi è in grado di superarlo? L’asso nella manica di Renzi resta questo: non ha concorrenti. Non c’e nessuno oggi in grado di sfidarlo sul grande palcoscenico mediatico, prima ancora che su quello politico. Ed è questa la principale dote di cui il premier ha dato prova straordinaria. Una gestione geniale, impeccabile della comunicazione personale col grande pubblico trasversale.
In questo, gli va dato atto, è andato oltre lo stesso Berlusconi, che certo l’ex sindaco ha studiato in ogni minimo dettaglio. Il Cavaliere aveva un suo partito e proprie reti televisive. Renzi agisce da battitore libero. Si è inventato tutto da solo. E chi pensa che questa capacità non rientri tra le qualità di uno statista, non ha capito niente di quello che è successo in questi ultimi decenni. Col passaggio dalla democrazia rappresentativa a quella incentrata sul leader. E sulla sua capacità di catturare l’immaginario collettivo.
Rientra in questo stesso scenario anche la scelta, difesa coi denti, di ottenere per la Mogherini – una renziana d’acciaio – il ruolo di portavoce agli Esteri dell’Unione Europea. Una scommessa che riguarda la possibilità che, nel caotico panorama internazionale che si va sempre più surriscaldando, si creino spazi per sortite – coraggiose, fuori dal coro – ad alto potenziale di impatto sulla opinione pubblica, italiana e più in generale occidentale. E’ improbabile che il premier si faccia illusioni che nostre eventuali proposte riescano a condizionare play-maker ben più pesanti, come gli Usa o la Germania. Ma al carnet del suo agenda-setting, fino ad oggi ristretto all’ambito nazionale, Renzi ha aggiunto un teatro a visibilità illimitata. Schierando una donna giovane, con mestiere e temperamento, che suscita curiosità e simpatia. All’immagine di un’Europa impantanata nel proprio passato, non potrà che giovare questa incursione di futuro.