Un mercato del lavoro a due facce
Riccardo Sorrentino – Il Sole 24 Ore
L’economia cresce, ma la popolarità del presidente Barack Obama è puttosto bassa. Sembra essersi interrotto il legame tra l’andamento dell’economia e il consenso per l’Amministrazione federale. Cosa è accaduto? Sono molte le cause della disaffezione degli americani per Obama, e alcune sono tutte politiche. Il presidente ha giocato tutto sulla creazione delle aspettative, le quali a volte possono davvero essere più importanti delle politiche concrete, purché si conservi credibilità. Gli americani si aspettavano un nuovo patto sociale, ma l’Amministrazione ha fatto troppo poco. Ha varato Obamacare, l’ampliamento del sistema sanitario pubblico, ma non è bastato.
E l’occupazione in crescita, la ripresa ormai stabile, l’uscita dalla crisi? I numeri non ingannino. Gli Stati Uniti, visti dagli europei, sono in una posizione invidiabile, ma gli americani non sono contenti. La disoccupazione è calata al 5,9%, ma a fine 2013 – l’ultimo dato disponibile – solo il 72,5% degli americani in età di lavoro aveva o cercava attivamente un’occupazione: è un numero piuttosto basso, il minimo dal 1980. Per i più giovani – 15-24 anni – la partecipazione era intanto ai minimi dal 1963, al 54,8%, e il 45% che non lavorava non era composto da persone che continuavano tutte a studiare: il numero degli scoraggiati è alto anche negli Usa, dove la disoccupazione giovanile è ancora al 13,5%, sia pure in calo dal 19,5% di agosto 2010.
Il malessere del mercato del lavoro non finisce qui. Negli Stati Uniti le protezioni al posto di lavoro sono limitate – e dipendono da Stato a Stato, da azienda ad azienda – ma il precariato è considerato un’anomalia. Nell’attuale situazione, molte persone chiedono un lavoro a tempo pieno, ma trovano solo part-time. Questo disallineamento tra domanda e offerta è considerato un problema, per esempio dalla Federal reserve che anche per questo motivo continua a mantenere una politica monetaria comunque molto espansiva, anche se la crescita appare quantomeno stabile. È anche a livelli molto alti il numero delle persone che cercano attivamente lavoro da più di sei mesi, o un anno, e non lo trovano. Anche la disoccupazione di lungo periodo è considerata un’anomalia, perché distrugge capitale umano: più passa il tempo, più le competenze delle persone si perdono e più le aziende sono disincentivate ad assumerle. Un fenomeno che negli ultimi tempi si è particolarmente accentuato.
Se la Fed, che in fondo deve occuparsi di questioni monetarie, è preoccupata, a maggior ragione dovrebbe esserlo la politica, e l’Amministrazione in particolare. Una buona parte dei problemi dell’occupazione americana sono strutturali: negli Usa più che altrove, c’è un forte disallineamento tra le competenze offerte dai lavoratori e quelli richiesti dalle aziende (che cercano invano, per esempio, muratori e camionisti, non solo superlaureati…). Un problema che richiederebbe politiche molto ben disegnate, e non sempre immediate nei loro effetti.