sergio luciano

Ormai impazza la burocrazia dei divieti insensati e delle leggine

Ormai impazza la burocrazia dei divieti insensati e delle leggine

Sergio Luciano – Italia Oggi

Autostrada Serenissima, esterno notte. A una stazione di servizio di un gruppo petrolifero italiano, l’erogatore di Gpl, pur segnalato come attivo, risulta in realtà chiuso. Il gestore, anzi la gestrice – per usare uno di questi terrificanti nomi al femminile che fanno contenta la presidenta Boldrini – si sfoga con il cliente «a secco»: «Non me ne parli, siamo infuriati, il fatto è che il serbatoio, per legge, deve stare ad almeno 42 metri dal più vicino manufatto abitativo e due anni fa il gestore del bar ha ristrutturato lo stabile, è stato autorizzato ad allargarlo e si è preso due metri di spazio in più, proprio verso il serbatoio, per cui la distanza, che era di 42 metri, si è ridotta a 40 e non ci hanno mai più ridato l’agibilità dell’impianto. Noi ce la siamo presa col barista, che ha girato la palla sul concessionario, che l’ha rimpallata a lui, e così sono passati due anni, siamo fermi alle lettere degli avvocati e abbiamo perso un sacco di soldi».

Ecco: chiunque viva nel mondo reale sa che questa burocrazia dei piccoli «no», più o meno insensati, sta ormai ammazzando l’Italia. E le pur (per certi versi) lodevoli iniziative riformiste del governo Renzi sembrano non rendersene conto.

È una burocrazia folle. Che il ventennio berlusconiano non è riuscito a risanare, anzi. È l’Italia dei burocrati piccoli piccoli, che non tentano nemmeno di entrare nel merito delle questioni ma moltiplicano paletti e leggine, e quando va male li usano per escutere tante microtangenti, ma comunque sempre per non fare e non «far fare». La vera riforma della pubblica amministrazione da fare sarebbe questa: demolire questa burocrazia. Nel caso dell’impianto Gpl, è del tutto evidente che una regola sulla distanza minima è necessaria, ma è anche chiaro che – fatta la frittata di aver ridotto quella distanza – dovrebbe esserci una qualche autorità in grado o di derogare alla regola così marginalmente violata, o di imporre a chi ha causato il danno di pagare di tasca sua un risarcimento al danneggiato. Macché.

Al contrario, lo Stato arretra dove sarebbe per molti versi meglio che restasse. Si pensi all’ormai scontata decisione di ridurre il controllo in Eni ed Enel, senza clausole antiscalata, col rischio di privare l’Italia della proprietà di due colossi energetici ben gestiti che mezzo mondo ci invidia; e invece esonda, protunde, invade e schiaccia dove dovrebbe e potrebbe farsi i fatti suoi. È l’eterno tradimento del motto liberista secondo cui «è permesso tutto ciò che non sia esplicitamente vietato». In Italia, si sa, «è vietato tutto ciò che non sia esplicitamente permesso».

L’inutile addio al Registro imprese

L’inutile addio al Registro imprese

Sergio Luciano – Panorama

La Madia lo fa, la Guidi non lo sa. Ma Renzi sì. Si parla del Registro imprese, che un disegno di legge delega allo studio della presidenza del Consiglio su proposta del ministero per la Semplificazione e per la Pubblica amministrazione (gestione Marianna Madia) intende sottrarre alle Camere di Commercio, cui è oggi attribuito da una legge del ’93, e trasferirlo al Mise, il ministero per lo Sviluppo economico (gestione Federica Guidi). Al Mise spetta già la vigilanza del sistema camerale ma per ora nessuno sa nulla di ufficiale su questo trasloco del registro. Surreale, ma c’è di più. Il cosiddetto “Decreto P.A.” si è già occupato del Registro imprese per disporre il dimezzamento, da subito, della tassa annuale che oggi le imprese pagano alla Camera di Commercio. E così il presidente dell’Unioncamere Ferruccio Dardanello si è presentato l’8 luglio alla commissione Affari costituzionali della Camera per chiedere una gradualizzazione del taglio al diritto annuale. Già: ma nel frattempo Palazzo Chigi lavora per sottrarre del tutto il Registro alle Camere, altro che dimezzare la tassa. Un po’ di caos tra Palazzi, insomma. E a favore di chi? Chi, cioè, si avvantaggerebbe del trasferimento del Registro? Al Mise non sarebbero attrezzati per sbrigarsela da soli: non hanno strutture informatiche né reti sul territorio idonee. Un appaltatore esterno scelto a gara? Ovvio. Ma una prospettiva del genere scatena le dietrologie. E c’è chi parla di una cordata confindustriale desiderosa di spolpare l’osso delle Camere di Commercio, scippandogli i flussi di cassa del Registro. Un complotto alla Spectre, ma con una sceneggiatura alla Brancaleone: per ora, soprattutto, uno dei sintomi dello iato che c’è tra l’attivismo del governo e la capacità realizzativa dei suoi esponenti…