Trappola fiscale a ripetizione
Davide Giacalone – Libero
Il Tfr era il Trattamento di fine rapporto, ora diventa una Trappola fiscale a ripetizione. Avevamo avvertito che metterlo in busta paga avrebbe comportato un aggravio fiscale, sulle spalle del lavoratore. Ci era stato risposto che giammai sarebbe accaduto e che ci sarebbe stata una contabilità separata, mantenendo le aliquote agevolate. Non solo la nostra previsione s’è dimostrata esatta, ma si è andati assai oltre la più turpe fantasia: il Tfr è maggiormente tassato sia che se ne accetti una parte mensilmente, sia che lo si lasci accantonato. A questo punto, se non cambiano tale demoniaca architettura, il provvedimento si caratterizza per: a. sottrazione di soldi al lavoratore; b. vantaggio solo per il fisco; c. Incostituzionalità.
Andiamo con ordine. Il nostro ragionamento era: il Tfr è un risparmio forzoso che genera un reddito differito, tassato alla media delle aliquote pagate dal lavoratore negli ultimi cinque anni; dal momento che non viene più forzato e differito, resta un reddito; essendo un reddito è tassato all’aliquota marginale. Non accadrà, dissero. E’ accaduto. Ma non vorrei sfuggisse il satanismo che ciò porta con sé: non solo si pagano più tasse, ma se quei soldi in più fanno scattare uno scaglione fiscale superiore si pagano più tasse di quel che si incassa. L’aliquota marginale, inoltre, è superiore anche a quella attualmente prevista per chi decida, come stabilisce la legge, di attingere anticipatamente al Tfr, quindi la raspa fiscale agisce anche lì. Il tutto senza contare che aumenta l’assurdità degli 80 euro di restituzione fiscale a chi ha un reddito lordo inferiore a 26mila euro. Cosa succede se con il Tfr lo supera? Nulla, dicono i governativi. Li perde, dico io. E mi dispiacerebbe avere ragione per la seconda volta. Ma temo sia così.
Vabbe’, ma non è mica obbligato a prenderli. Il lavoratore fa i suoi conti e decide di non accettarli, lasciandoli all’accantonamento. Sembra non fare una piega, ma solo per chi non sa far di conto. Perché, contemporaneamente, aumenta la tassazione sul risparmio, che per ragioni di mera propaganda è ribattezzato “rendita finanziaria”. Che fa tanto ciccione capitalista profittatore. Invece colpisce i lavoratori, passando dall’11,5% al 17 per chi lascia i soldi in azienda, dall’11,5 al 20 per chi li ha messi in un fondo pensione, e dal 20 al 26 per le casse autonome dei liberi professionisti. Quindi c’è un incentivo a prenderli, dato dal fatto che se li accantoni paghi di più. Ma se li prendi paghi, ugualmente di più. Dal che discendono due follie: a. è considerata accumulazione di ricchezza l’accantonamento obbligatorio; b. lo Stato ha invogliato i lavoratori a scegliere la previdenza privata, salvo punire chi gli ha dato retta.
Da qui si giunge al capolavoro, l’incostituzionalità. Lo ha rilevato anche Matteo Richetti, parlamentare del Partito democratico e matteiano di sicura fede, sia per ragioni personali che di corrente: se ai lavoratori pubblici si nega la possibilità di scegliere, prevista per quelli privati, si introduce una distinzione che non è compatibile con la Costituzione. Aggiungo che sono esclusi anche altri lavoratori privati, come quelli agricoli o i collaboratori domestici. Il che non solo non cancella le diversità, ma le moltiplica. Richetti, però, individua correttamente un aspetto d’incostituzionalità, ma gli sfugge l’altro: “La Repubblica italiana incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”, articolo 47. Alla faccia, qui si munge anche il risparmio che mi avete obbligato a fare.
Sul Tfr un’operazione seria è possibile: abolirlo, restituendo l’intero capitale accumulato e tassandolo come previsto prima di questa pazzotica innovazione. Il problema si crea nelle aziende sotto i 50 dipendenti, che possono essere accompagnate con crediti a pari scadenza, garantiti dalla Cassa depositi e prestiti, il cui tasso sia pari alla prevista remunerazione del Tfr. Fuori da questo c’è solo il sabba fiscale, con la liquidità residua che viene assorbita dagli aumenti delle tariffe amministrate. Con tanti saluti alla ripresa dei consumi.