Trappola greca
Davide Giacalone – Libero
Alexis Tsipras arriva a Roma da capo del governo. In campagna elettorale accompagnava slogan estremisti con dichiarazioni ragionevoli, assicurando che non aveva alcuna intenzione di portare la Grecia fuori dall’euro. Il guaio è che ci finisce comunque, se non cambia musica. E che, finendoci, ci fa marameo e cancella il debito che ha nei nostri confronti. I contribuenti italiani hanno pagato per salvare la Grecia. Oggi è l’occasione per dirgli: scordatelo. Ed è l’occasione per dire agli alleati occidentali: sappiamo che questo bastione Nato non può essere perso, né abbandonato a capitali potenzialmente ostili, ma noi italiani non possiamo pagare più dei tedeschi e contare meno dei greci.
Cancellare il debito è improponibile. Rimodularlo è razionale. Significa che i tempi si allungano, ma i creditori sono garantiti in sede europea e, sebbene abbiano fatto un cattivo affare, almeno non si vedono costretti a cancellare o decurtare il credito, con gravi conseguenze per la finanza pubblica. La cancellazione, inoltre, innescherebbe il desiderio emulativo, sicché le elezioni sarebbero vinte, in giro per l’Europa e a cominciare dalla Spagna, dai partiti che propongono di fare altrettanto. Basti pensare che c’è chi lo dice anche da noi, ignorando che il 65% del debito lo abbiamo con noi stessi. Rinegoziare, ancora una volta, è possibile. Ma i greci non possono far troppo i furbi. Il loro nuovo governo ha provveduto alle riassunzioni di dipendenti statali, ha mollato il già fiacco contrasto all’evasione fiscale e si propone l’aumento dei salari. Spesa pubblica corrente a go-go. In questo modo fuori dall’euro ci vanno da soli. Una volta usciti scoprirebbero che le loro banche sono tutte fallite e per rianimarle si troverebbero a spendere assai più di quel che costa onorare i debiti già contratti.
Un avvenire di certa e crescente miseria, evitabile solo consegnando la sovranità a capitali che incorporano pretese politiche forti. I greci lo sanno talmente bene che dopo avere votato Tsipras hanno fatto ridefluire i loro soldi verso l’estero. Restare nell’eurozona serve a mantenersi agganciati al mondo ricco e civile, ma comporta la rinuncia all’idea di cancellare i debiti. Non così e non unilateralmente, comunque. Però, e ne ho già scritto, c’è il fatto che la Grecia presidia una posizione geopoliticamente rilevante, considerata l’aria che tira in Medio Oriente. Vero, ma questo, giusto per dirne una, comporta che chi la governa non abbia atteggiamenti ostili verso Israele, altrimenti possiamo considerarli già persi. Le parole di Obama, che segnalano all’Unione europea l’inopportunità di una rottura greca, devono essere lette in questa chiave, oltre che nel quadro del negoziato sul libero commercio.
Il fatto è che se si deve tendere la mano ai greci, per ragioni politiche, e credo sia bene farlo, allora deve essere chiaro che anche noi abbiamo qualche problema da risolvere. Qui facciamo finta di non accorgercene, ma l’intero programma quantitative easing, della Banca centrale europea, si basa sul principio dell’acquisto di titoli del debito considerati affidabili. L’ultimo gradino dell’affidabilità è quello in cui l’Italia si trova. Basta scendere di un capello e piombiamo all’inferno. Siccome la cosmesi dei conti può essere venduta alla Commissione europea, se il compratore accetta di crederci, ma non alle agenzie di rating, ecco che su quel fronte non dobbiamo restare né isolati né scoperti. Questa faccenda non si negozia con Tsipras, ma la sua visita è l’occasione per rendere noto che non ci possono essere valutazioni asimmetriche. Tenercelo nell’euro ci conviene, sotto molti aspetti. Ma guai a farsi spingere con lui verso la spazzatura.