L’imposta più odiata
Salvatore Padula – Il Sole 24 Ore
L’Irap, sin dalla sua nascita, si porta dietro la sgradevole immagine di “tassa ingiusta”. Tasse simpatiche non se ne conoscono, d’accordo. Ma una tassa che colpisce il lavoro e che si paga anche quando i bilanci chiudono in perdita è qualcosa davvero difficile da farsi piacere. Economisti, giuristi e politici si confrontano da sempre sulla coerenza di un prelievo così congegnato e anche segnato da innumerevoli promesse di soppressione, puntualmente disattese. Anche per questo, l’annuncio del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, di voler azzerare la componente del costo del lavoro dall’Irap rappresenta una svolta di grande rilievo. E non solo perché in questo modo il prelievo sulle attività produttive sarà alleggerito di circa 6,5 miliardi all’anno.
L’intervento sull’Irap annunciato dal premier va nella direzione giusta anche per altri motivi. E risponde alla priorità di avviare una reale riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. Un intervento così congegnato, infatti, andrà a premiare le imprese che danno più lavoro, le attività labour intensive. Una misura di questo tipo appare più efficace del taglio lineare dell’aliquota (come è stato fatto sempre dal governo Renzi poco prima dell’estate), che produrrebbe una riduzione del prelievo “democratica” – ovvero uguale per tutti – ma forse poco lungimirante nella fase attuale, nella quale il lavoro ha bisogno di essere sostenuto. Spostare tutto, come intende fare il governo sul costo del lavoro, risponde così all’esigenza di rendere più competitive le imprese, visto che proprio la componente Irap gioca in questo senso un ruolo decisamente negativo. Un ruolo anche poco comprensibile all’estero, tanto che – per fare un esempio – le statistiche internazionali sul costo del lavoro redatte dall’Ocse non includono per l’Italia la componente Irap, facendo apparire il nostro cuneo fiscale non così diverso da quello degli altri paesi, cosa che ovviamente non è.
Certo, rispetto al 1997 – anno dei primi pagamenti dell’Irap – molte correzioni, semplificazioni e riduzioni del prelievo sono arrivate. Talvolta lo si è fatto per adeguarsi o per rimediare alle sentenze delle Corti, dalla Cassazione alla Corte costituzionale; altre volte per rispondere – ancorché parzialmente – all’allarme del mondo produttivo sugli effetti devastanti di questa imposta. Nel corso degli anni, solo per citare alcune misure volte a ridurre l’impatto dell’imposta, sono arrivate detrazioni fisse dalla base imponibile e detrazioni legate in modo specifico al costo del lavoro che hanno escluso dall’imposta moltissimi soggetti economici di piccole dimensioni. Un segnale è giunto anche con l’introduzione della possibilità di dedurre dall’Ires una quota dell’Irap pagata. Non c’è dubbio, però, che la misura ora annunciata dal governo rappresenti una scossa, che non può essere paragonata agli interventi del passato.
Proprio qualche giorno fa il direttore dell’agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, ha parlato delle necessità di un fisco che favorisca lo sviluppo. E ha lanciato l’idea di un nuovo “patto” di fiducia con le imprese e i professionisti. Ecco, questa può essere, anzi, questa deve essere la direzione da seguire. Perché, come si è detto sul Sole 24 Ore di sabato scorso, in un paese come l’Italia che ha una pressione fiscale a livelli insostenibili, il “patto” sul fisco richiede in primo luogo uno sforzo nella direzione della riduzione del prelievo. Dal governo sta per arrivare una prima, importante, risposta. Che pone le basi per costruire davvero un nuovo rapporto tra fisco e contribuenti.