Soltanto la (buona) flessibilità crea lavoro
Giuliano Cazzola – Il Garantista
«Eppur si muove». Il tasso di disoccupazione alla fine del terzo trimestre dell’anno in corso si attesta al 12,6 per cento. Un livello dal quale il mercato del lavoro sembra incapace di lasciarsi alle spalle. Si intravedono, però, alcune modifiche – modeste ma significative – per quanto riguarda l’occupazione giovanile nelle coorti (tra i 15 e i 24 anni, quelle che ormai vengono prese a riferimento): il tasso di occupazione cresce dello 0,2 per cento rispetto al mese precedente e dello 0,5 rispetto ai precedenti dodici mesi. Anche il tasso di disoccupazione giovanile vede una piccolissima inversione di tendenza (-0,8 sul mese precedente) in un contesto complessivo caratterizzato da un incremento del trend negativo pari a 58mila unità.
Più interessante la diminuzione degli inattivi (-0,9 e -2,1 per cento nei confronti di un anno prima). Sta a significare che i giovani si mettono in numero maggiore sul mercato in cerca di un impiego. I dati delle comunicazioni obbligatorie ci dicono che la riforma del contratto a termine sta producendo degli effetti sul piano delle assunzioni, anche se rimane tuttora d’ostacolo il “Generale inverno” della crisi economica. Come vedremo fra poco la flessibilità “buona” (il nuovo contratto a termine) ha scacciato quote consistenti di flessibilita “cattiva” (le collaborazioni e le partite lva, per esempio), in quanto la liberalizzazione progressiva del contratto a tempo determinato è stata accompagnata dal precedente giro di vite sui rapporti atipici, di cui alla legge n.92/2012 (la riforma Fornero, appunto).
Secondo un recente studio dell’Osservatorio dei lavori, che ha preso a riferimento i dati della Gestione separata presso l’Inps, nel 2013, rispetto al 2012, i parasubordinati sono diminuiti di 166.867 unità (-11,7 per cento), i professionisti con partita Iva di 3.740 unità (-1,27) secondo l’Inps: quest’ultimi, di 11.757 (-4) secondo stime realizzate e contenute nello studio. Contrariamente a quanto si crede tali categorie di lavoratori sono quelle che hanno subito i tagli più vistosi dalla crisi e, nell’ultimo anno della ricerca, hanno subìto anche la penalizzazione normativa loro imposta dalla legge Fornero, «la quale imponeva», è scritto nello studio, «nel tentativo di aumentare il costo di questi contratti e favorire lo spostamento verso il lavoro dipendente, l’introduzione per i collaboratori dei minimi tabellari dei dipendenti».
Dal 2007 al 2013, i “contribuenti-collaboratori” sono passati da 1,67 milioni a 1,25 milioni (con una diminuzione di oltre 400mila unità pari al 24,7 per cento di cui circa 167mila nell’ultimo anno, a legge n.92/2012 in vigore). Pur essendo in calo anch’essi nel 2013, negli anni della crisi sono aumentati (quasi del 31 per cento dal 2007) i professionisti (questa è la definizione che attribuisce loro la Gestione separata) titolari di partita Iva, passando da 222mila a 291mila (altro che i milioni come lasciano credere le solite leggende metropolitane che mettono in conto anche le partite iva delle aziende). I lavoratori parasubordinati, in Italia, con il loro