Ancora sull’economia sommersa
In questa rubrica siamo spesso tornati sul tema dell’economia sommersa nella convinzione che in Italia incide particolarmente sul Pil a ragione dei troppi vincoli amministrativi e dell’eccessiva oppressione tributaria. A fronte di uno Stato tentacolare ‘ci si sommerge’ per non essere visti e tartassati. Abbiamo però avuto perplessità sulle stime periodiche dell’OCSE che -riprese nei saggi di Friedrich Schneider e Andreas Buehn (il più recente risale a 2013 ed è Shadow Economies in highly developed OECD countries: What are the driving forces?) – stimano il sommerso italiano come il più alto del mondo avanzato (dal 27,8% del Pil nel 1999 al 26,7% nel 2010), quasi il doppio della media dei 39 Paesi censiti e con appena una leggera flessione nei dieci anni.
Ci rallegriamo ,quindi, che secondo i più recenti dati Istat l’economia sommersa sommata alle attività illegali sia pari (dati 2013) al 12,9% del Pil, una percentuale in crescita rispetto al 12,7% stimato nel 2012 e al 12,4% del 2011. In termini assoluti, vale 206,4 miliardi di euro. Comunque i numeri dell’economia illegale e sommersa giustificano la decisione dell’Istat di «esplorare la fattibilità di un conto satellite dell’economia illegale» con l’obiettivo di avere «una migliore conoscenza del fenomeno» e mettere a punto adeguate «politiche di contrasto». Il 2012 e il 2013 sono stati anni di una forte crisi che può avere pesato sulla crescita del sommerso. Il conto satellite sarebbe una novità assoluta perché oggi non esiste in letteratura né in altri Paesi, se non a livello molto sperimentale. Il suo obiettivo sarebbe quello di capire meglio come funziona l’economia illegale, la sua produzione, come si trasferisce sul consumo, la relazione tra le imprese e se in essa vi siano investimenti.
A questa scommessa risponde il lavoro di Cecilia Morvillo del Dipartimento del Tesoro nel paper Evoluzione delle determinanti dell’economia sommersa: analisi panel di regioni italiane (NT n.1/2016). Il lavoro è volto ad analizzare empiricamente la relazione esistente tra l’economia sommersa e alcune variabili esplicative. A tal fine si dispone di dati panel riguardanti le 20 regioni italiane con 12 osservazioni annuali comprese tra il 2001 ed il 2012, per un totale di 240 osservazioni. Nella presente nota l’economia sommersa viene identificata con il tasso di irregolarità del lavoro, pubblicato dall’Istat e calcolato come la quota percentuale delle unità di lavoro irregolari sul totale delle unità di lavoro. Le variabili esplicative sono invece in parte dedotte da una rassegna di studi econometrici relativi all’economia sommersa, tra le quali la densità di popolazione e il tasso di industrializzazione, proprie della dimensione e della struttura economica regionale; il PIL pro capite e la partecipazione femminile al mercato del lavoro, quali variabili di controllo dell’economia sommersa; una proxy dell’intensità della regolamentazione in grado di fornire una fotografia del contesto istituzionale italiano. Dopo una breve descrizione dei dati, supportata da una rappresentazione cartografica a livello regionale delle variabili più rappresentative delle diverse condizioni economiche delle regioni italiane, l’analisi empirica si declina in una stima di quattro distinti modelli panel dai quali emergono risultati sui quali riflettere.