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Multe, il bancomat dei Comuni

Multe, il bancomat dei Comuni

Sandro Iacometti – Libero

Tartassati pure dai vigili. La differenza tra chi è strozzato dal fisco e chi viene sanzionato per un’infrazione del codice della strada è evidente e non in discussione. Eppure, i numeri strabordanti delle multe e la destinazione impropria dei proventi nei bilanci comunali permettono di individuare più di un’analogia. A partire dalla logica di fondo: spremere il cittadino. Una rilevazione del Centro

Studi e Ricerche Sociologiche “Antonella Di Benedetto” di Krls Network of Business Ethics per Contribuenti.it ci dice che a Milano e Napoli viene elevata una multa ogni 9-10 secondi. Segue Aosta con 11 secondi; Roma e Torino con 12 secondi; Genova, Venezia, Firenze e Bari con 13 secondi; Pescara, Caserta, Bologna, Ancona e Perugia con 14 secondi; Verona Salerno e Palermo con 18 secondi. Chiudono la classifica Potenza, Reggio Calabria, Cagliari e Campobasso con 24 secondi. Impressionante la dinamica tendenziale: negli ultimi tre anni le contravvenzioni in Italia sono aumentate del 956%. Nello stesso periodo, in Romania (seconda in classifica) l’incremento è stato del 126%, in Grecia del 103%, in Estonia del 98%, in Slovacchia del 94%. Più giù Francia (37%), Inghilterra (17%) e Germania (10%). Possibile che in Italia siano tutti pirati della strada? Per rispondere alla domanda bisogna considerare l’entità del flusso finanziario che ogni anno entra nelle casse dei Comuni alla voce contravvenzioni. Nel 2015 la somma complessiva del gettito delle sanzioni è stata di 1,257 miliardi. Un gruzzolo enorme, su cui i sindaci ogni anno fanno affidamento per far quadrare i bilanci in dissesto.

Per avere un’idea di quanto queste cifre siano spropositate rispetto all’esigenza di far rispettare la legge e tenere in sicurezza le strade occorre, però, effettuare un’altra operazione. A questo proposito, abbiamo chiesto l’aiuto del Centro studi ImpresaLavoro, che è in grado di incrociare i dati sensibili di tutti i Comuni italiani. In questo caso, oltre ad individuare il gettito effettivo derivante dalle sanzioni per ogni singola amministrazione, il think tank creato dall’imprenditore Massimo Blasoni è riuscito anche a calcolare quale sia il peso pro capite delle multe considerando la platea dei soli automobilisti. Il quadro che ne emerge dimostra chiaramente che l’equivalenza tra contravvenzione e balzello è tutt’altro che azzardata. A Milano, ad esempio, che si è piazzata prima in questa classifica con 199 milioni complessivi intascati dalle contravvenzioni nel 2015 (+42% sul 2014), il sindaco per rimpinguare il bilancio ha potuto contare su un incasso di ben 249 euro per automobilista. Seguono Bologna, con 33,8 milioni complessivi e 141 euro a patentato e Firenze, con 26 milioni e 113 euro. Più in basso troviamo Torino, con un gettito complessivo di 47,9 milioni e una quota pro capite di 89 euro, Napoli, con 34,2 milioni e 68 euro, e Roma, con 83,4 milioni e 50 euro. Fanalini di coda Latina, con 1 milione e 14 euro, e Gorizia, con 153mila euro e solo 7 euro ad automobilista. Le cifre cambiano un po’, considerando la media triennale o prendendo in esame tutti i residenti sopra i 18 anni, ma la sostanza rimane la stessa. Nei principali capoluoghi italiani l’attività dei vigili urbani porta in dote per ogni contribuente una tassa annuale che oscilla dai 50 ai 200 euro. Versamenti che sono destinati a crescere. Un’indagine dell’Adnkronos sui bilanci di previsione di alcuni Comuni per il 2016 rileva incrementi “attesi” fino al 30%. A Roma addirittura ammontano a 325 milioni le entrate previste dalle multe, di cui 148 di arretrati (più 75 milioni sul 2014). Milano è in controtendenza: meno 50 milioni, ma il gettito stimato comprensivo di arretrati resta da record con 355 milioni.

Resta da capire dove finiscono tutti questi soldi. La legge è abbastanza chiara. Gli articoli 208 (proventi) e 142 (autovelox) del codice della strada prevedono che il 50% possa essere utilizzato a proprio piacimento e che l’altro 50% venga destinato a settori ben specifici, di cui il 12,5% obbligatoriamente per la segnaletica e il resto per la sicurezza stradale. Ma i continui scandali degli autovelox non a norma e dei semafori taroccati hanno suscitato più di un sospetto sul fatto che anche quella metà delle sanzioni torni in qualche modo ai contribuenti. Ne dubita fortemente, ad esempio, il vicepresidente della Camera, Simone Baldelli (FI), secondo cui «l’uso degli autovelox è diventato per alcuni enti locali uno strumento per garantirsi entrate supplementari con destinazioni non conformi alle previsioni di legge». Di qui la mozione, presentata dallo stesso Baldelli e approvata dalla Camera il 28 gennaio scorso, che impegna il governo a vigilare con più incisività e a presentare al Parlamento, entro il prossimo 30 settembre, un resoconto sullo stato di inadempienza dei Comuni. Segnatevi la data.

Un “azienda” nell’università: il canale che unisce laureati ed imprese

Un “azienda” nell’università: il canale che unisce laureati ed imprese

Sta per aprirsi la XXIV edizione del Forum Università-Lavoro, un “link tra laureati e mondo del lavoro” che anche quest’anno vedrà la partecipazione di oltre 30 aziende. L’edizione 2016 del career day è prevista per il prossimo 19 Aprile e si terrà, come di consueto, all’interno dell’edificio di Ingegneria dell’Università di Roma Tor Vergata.

L’evento aperto a tutti i laureati, di tutte le facoltà e università d’Italia, dà la possibilità ai visitatori di entrare in contatto diretto con i responsabili delle risorse umane delle più importati aziende nazionali ed estere. I servizi offerti sono molteplici: i curricula potranno essere presentati all’Hr presso lo spazio Stand allestito appositamente; durante la giornata si svolgeranno colloqui individuali nello spazio Placement e i visitatori potranno partecipare alle numerose conferenze presentate dalle aziende.

Per rimanere informati su tutte le novità relative all’evento, sulle aziende partecipanti e su come partecipare è possibile visitare il sito www.alitur.org/forum o seguire il gruppo di Facebook realizzato per l’appuntamento.

Invertire la rotta sulla previdenza

Invertire la rotta sulla previdenza

Massimo Blasoni – Metro

Il governo sta cercando le risorse necessarie per l’ennesimo bonus ‘elettorale’ di 80 euro promesso ai pensionati al minimo? Forse i suoi tecnici farebbero meglio a dare prima un’occhiata non distratta al baratro apertosi nei conti dell’Inps. Ammonta infatti a oltre 11 miliardi all’anno la perdita di bilancio che l’Istituto subisce regolarmente dal 2012 (quando ha incorporato l’Enpals e soprattutto l’ex Inpdap) e che stima di registrare anche a fine 2016. Il suo patrimonio netto – che cinque anni fa misurava oltre 40 miliardi di euro – è ormai diretto verso la completa erosione e con esso i 21 miliardi di euro incassati tramite un intervento straordinario di ripianamento delle perdite risalente a due anni fa. Nella migliore delle ipotesi, a fine anno non dovrebbe infatti superare gli 1,8 miliardi, costringendo così Palazzo Chigi a un ennesimo intervento di salvataggio.

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Leodori (Pd): “Occupazione, cantiere-lavoro stabile in Provincia di Roma”

Leodori (Pd): “Occupazione, cantiere-lavoro stabile in Provincia di Roma”

di Daniele Leodori*

La Provincia di Roma si è lasciata la crisi alle spalle. Adesso che le fondamenta sono stabili, il cantiere su lavoro e occupazione potrà crescere e consolidarsi. Dal 2014 al 2015 – comunica ImpresaLavoro nell’analisi dati Istat – l’occupazione nella provincia di Roma ha registrato un dato positivo, crescendo di oltre 4.500 unità. Ma, ancora più confortante, il saldo occupazionale dal 2007 al 2015 che è di 163.100 unità rispetto ai livelli pre-crisi, con un distacco evidente rispetto alla provincia di Milano, Monza e Brianza, ferma a oltre 31mila.

Nell’ultimo anno ottimi risultati anche per la provincia di Frosinone (+8.639 dal 2014-2015) in netta ripresa rispetto agli anni passati. Seppur con dei distinguo su cui è necessario riflettere e agire con politiche più incisive, il Lazio raccoglie sul territorio i frutti delle politiche attive sul fronte occupazione. Con il risanamento dei conti certificato dal ministro Padoan e la spending review applicata alle società regionali, l’economia regionale cambia marcia.

* Presidente del Consiglio regionale del Lazio

Nicolò (FI): “La ‘ripresina’ di Renzi è affetta da rachitismo cronico”

Nicolò (FI): “La ‘ripresina’ di Renzi è affetta da rachitismo cronico”

“La ‘ripresina’ tanto propagandata dal Governo Renzi è affetta da rachitismo cronico e a nulla, finora, sono serviti i tentativi di rilancio dell’economia nonostante le continue iniezioni di danaro deliberate dalla Bce”. Lo afferma in una nota il capogruppo di Forza Italia a Palazzo Campanella, Alessandro Nicolò.

“I dati del centro studi ‘Impresa-Lavoro’, elaborati con riferimento ai riscontri Istat – prosegue Nicolò – delineano un profilo invero inquietante per la Calabria. Nel periodo considerato, ovvero il 2014 ed il 2015, Catanzaro, Reggio Calabria, Crotone e Vibo Valentia, insieme, marcano un saldo negativo di posti di lavoro di quasi 19 mila unità! Un risultato – continua Alessandro Nicolò – che segna irreversibilmente il fallimento delle politiche di sviluppo del Governo Renzi e di questa Giunta regionale. Si tratta di una chiara certificazione di stato di coma dell’apparato produttivo calabrese, peraltro, seriamente indebolito dal calo delle esportazioni dovuto anche ai provvedimenti di embargo contro la Russia. Le ‘pezzuole’ congiunturali varati dalla Giunta Oliverio non riescono quindi a chiudere le ampie toppe risultanti dall’inclemenza di un dato che origina dall’assenza di provvedimenti speciali, di masterplan annunciati e di cui non si vede ombra, del Governo e dei suoi supporter calabresi. Simile al maglio di una gigantesca catena – prosegue il capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale – la crisi occupazionale nelle province calabresi si abbatte non solo sulle imprese che chiudono, ma sulle famiglie, sui giovani che scappano via, impoverendo ulteriormente il nostro territorio. Governo e Giunta regionale, quindi, devono necessariamente trovare un momento di confronto per mettere in campo le necessarie iniziative orientate a salvare quel che ancora rimane del tessuto produttivo calabrese, magari preconizzando interventi speciali, per frenare quel che appare come una vera e irreversibile tragedia, con aziende falcidiate e dipendenti licenziati”.

“E invece – asserisce Alessandro Nicolò – continuiamo a rimanere appesi alle decisioni dei vertici del Pd calabrese, alle croniche ‘notti dei lunghi coltelli’ dei vari colonnelli renziani, senza che un solo posto di lavoro sia, addirittura, salvato! “Il Consiglio regionale, alla luce di tali risultanze, deve ritornare ad essere il motore di ogni strategia di sviluppo. Abbiamo appena concluso un approfondito dibattito sulla sanità ed espresso liberamente le nostre opinioni, una iniziativa senza dubbio positiva. Adesso, con maggiore preoccupazione e senso di responsabilità, dobbiamo porre al Governo tutta la partita delle infrastrutture e dei tempi tecnici per realizzarle”.

“Le dorsali tirreniche ed adriatiche si stanno adeguatamente attrezzando per l’alta capacità e l’alta velocità di merci e persone; da Salerno e da Taranto si impiega quasi lo stesso tempo per raggiungere i confini del Paese, e Genova e Trieste si ripropongono come le arterie più di punta per il trasferimento da e per il nordeuropea delle merci. Il Governo ci dica allora cosa se ne vuol fare del porto di Gioia Tauro, di questa immensa infrastruttura a cui lentamente, ma progressivamente, vengono erosi volumi di traffico! La Calabria, e meno che mai la provincia di Reggio, possono sopportare ulteriori perdite di posti di lavoro! Governo e Regione parlino chiaro, dicano ai calabresi come immaginano il futuro di questa regione; ci spieghino cosa si intende fare con i fondi dell’Agenda 2014/2020. Non chiediamo altro se non portare il nostro contributo di programma e di proposte in Consiglio regionale, che rimane l’unico riferimento istituzionale per tutto il popolo calabrese. Ecco perché Forza Italia chiede, senza indugiare una seduta dell’Assemblea sulle politiche di sviluppo e sul lavoro. Lì verificheremo le reali volontà di Renzi e del centrosinistra per il rilancio della Calabria”.

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Confimprenditori: venti anni per ritornare ai livelli pre-crisi

Confimprenditori: venti anni per ritornare ai livelli pre-crisi

I dati che emergono dalla ricerca effettuata dal Centro Studi ImpresaLavoro certificano di come sia lenta la ripresa in Italia. Nel nostro paese, dal 2014 al 2015, il numero degli occupati è passato da 22.278.917 a 22.464.753, con una crescita di 185.836 unità in valore assoluto e dello 0,83% in termini percentuali. Questo leggero aumento dell’occupazione, però, non si è distribuito in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale,  tra le 110 province del nostro Paese solo  67 hanno visto salire il numero degli occupati nel 2015, mentre addirittura in 43 hanno conosciuto un arretramento rispetto ai livelli occupazionali del 2014.

Andando avanti così occorrono venti anni per tornare ai livelli pre-crisi  Tra il 2008 e metà 2014, in Italia  infatti sono stati persi 1,2 milioni di posti di lavoro. Solo la Spagna ha fatto peggio, bruciando 3,4 milioni di posti di lavoro. Dopo l’Italia, la Grecia che ha perso un milione di posti di lavoro su una popolazione complessiva, però, molto più piccola. Nello stesso periodo al contrario  in Germania i posti di lavoro sono aumentati di 1,8 milioni e nel Regno Unito di novecentomila.

La morsa del fisco che penalizza le pensioni dei giovani

La morsa del fisco che penalizza le pensioni dei giovani

Andrea Giacobino – Avvenire

Si aprirà il prossimo 5 aprile a Milano il “Salone del risparmio”, un’importante manifestazione organizzata da Assogestioni, che raggruppa per tre giorni nello spazio fieristico del Mico tutti i principali attori del mondo degli investimenti, a cominciare dai fondi comuni. Il “Salone” è diventato in questi anni un vero e proprio punto di riferimento anche per gli interlocutori della politica e così non stupisce che il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan sia ospite della conferenza inaugurale intitolata «Risparmio al centro. Demografia, liquidità, sviluppo» mentre il viceministro Enrico Zanetti tirerà le fila di un dibattito sul futuro della previdenza. L’hashtag scelto per simboleggiare lo spirito del Salone è #risparmioalcentro. Ma c’è da chiedersi se davvero il risparmio degli italiani sia al centro delle scelte della politica.

Dal 2011 allo scorso anno le tasse sul risparmio hanno registrato un incremento progressivo del 130%, pari a 9 miliardi di euro. A tanto, infatti, ammonta l’aumento del prelievo complessivo dello Stato sulle attività finanziarie, passato da 6,9 miliardi nel 2011 ai 15,9 del 2015, stando a una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro basata su dati e indici Banca d’Italia, Abi, Mef e Fideuram. Tale cifra si deve per 4,7 miliardi all’aumento delle aliquote sui rendimenti, per 4 miliardi all’introduzione dell’imposta di bollo proporzionale e per solo 0,3 miliardi alla Tobin Tax.

Lo studio rileva come, secondo i più recenti dati di Bankitalia, il totale delle attività finanziarie detenute dalle famiglie supera i 3.800 miliardi di euro. Su questa massa di attivi si è registrato, a partire dalla fine del 2011, un «progressivo e repentino inasprimento fiscale». Questo incremento nella tassazione del risparmio appare vertiginoso anche in considerazione del drastico calo della redditività dei titoli di Stato e dei depositi bancari. A inasprire la situazione dall’inizio del 2015 è entrato in vigore un “giro di vite fiscale” anche sulla rivalutazione di fondi pensione, casse previdenziali, e Tfr. Lo studio mostra che l’incremento delle aliquote sui fondi pensione al 20% ridurrà il montante contributivo atteso dei giovani lavoratori di una percentuale compresa tra il 5% e l’8,6%.

In tale contesto il futuro della previdenza italiana è tutto in salita. E bene fa il Salone a mettere al centro dell’attenzione i Pepp, acronimo scelto dalla Commissione Europea per i Pan european personal pensions, piani di pensione individuali pan-europei che dovrebbero introdurre nei paesi dell’Unione quel “terzo pilastro” previdenziale volto a coprire il gap che ancora caratterizza molte nazioni. Ma a questi prodotti, per decollare davvero, serviranno benefici fiscali: e anche questo tocca è responsabilità della politica.

Confcommercio: la ripresa resta debole

Confcommercio: la ripresa resta debole

Il peggioramento rilevato a febbraio sul versante dell’occupazione (-97mila rispetto a gennaio) e della disoccupazione (+7mila) è l’ennesima conferma della debolezza della ripresa. Il confronto su base annua indica un miglioramento della situazione del mercato del lavoro (+96 mila occupati, -136mila disoccupati), ma i ritmi registrati dall’occupazione a partire dallo scorso mese di settembre non consentono facili ottimismi.Saranno molto lunghi i tempi di recupero degli occupati persi durante la crisi, ad oggi ancora oltre le 700mila unità rispetto al massimo di aprile 2008. Infine, occorre ricordare che i dati mensili sono provvisori e soggetti a forti revisioni che, talvolta, modificano radicalmente verso e intensità della variazione degli occupati osservata in un primo tempo.

Cna: in micro e piccole imprese continua crescita degli occupati

Cna: in micro e piccole imprese continua crescita degli occupati

L’Istat rileva che a febbraio il tasso di disoccupazione è tornato a crescere rispetto al mese precedente. Ma su base annua, quindi in un arco di tempo più ampio e attendibile, gli occupati sono saliti dello 0,4 per cento, mentre sono diminuiti dello 0,7 per cento gli inattivi e del 4,4 per cento i disoccupati. È verosimile che a determinare questa inversione di tendenza rispetto agli anni in cui la crisi ha picchiato più duro siano state le micro e le piccole imprese (Mpi). Lo testimoniano i dati dell’osservatorio mercato del lavoro Cna, che monitora l’occupazione in un campione di 20.500 Mpi con 125mila dipendenti.

Lo scorso febbraio  gli addetti delle Mpi sono aumentati dello 0,4 per cento rispetto a gennaio e del 2,5 per cento su febbraio 2015, l’aumento mensile più elevato degli ultimi quindici mesi. Sono numeri che dimostrano inequivocabilmente, ancora una volta, la centralità e la vivacità delle Mpi nel sistema produttivo italiano e la loro capacità di cogliere al volo anche i più timidi accenni di ripresa.

Le pensioni lunghe non fanno bene alla salute

Le pensioni lunghe non fanno bene alla salute

di Giuseppe Pennisi

Il libro “A vent’anni da un’occasione mancata?” di Fabrizio e Stefano Patriarca (rispettivamente un figlio e un padre che coltivano il medesimo interesse per le problematiche del lavoro e del welfare) rivela un enorme incremento delle pensioni di anzianità caratterizzate da età di pensionamento attorno ai 57-58 anni per gli anni 2000-2010 (favorite, peraltro, anche dalla liberalizzazione del cumulo tra pensione e reddito) ossia prima che terminasse il periodo di transizione della riforma del 1995. Ne derivano diverse conseguenze: in Italia il tasso di occupazione della popolazione in età compresa tra i 55 e i 64 anni è il più basso di tutti i Paesi considerati e si situa al di sotto sia della media europea che di quella dell’Eurozona; la permanenza media sul mercato del lavoro è ben di cinque anni inferiore alla media europea, di sette anni più bassa di quella della Germania e del Regno Unito e di quasi 10 anni rispetto a quella olandese.

Queste conseguenze non fanno certamente bene alla finanza pubblica. Fanno bene alla salute di chi va in pensione relativamente giovane? Gabriem Heller Sahalgren della London School of Economics ha appena posto on line un paper (Retirement Blues) in cui vengono analizzati gli effetti sulla salute (in particolare quella mentale) in dieci Paesi europei. Lo studio utilizza sia le “età ufficiali” del pensionamento sia il comportamento degli individui rispetto alla possibilità di anticipare l’andare in quiescenza. I risultati mostrano che nel breve termini gli esiti non sono significativi. Nel lungo termine, però, la decisione di lasciare l’occupazione presto sono negativi. Sotto il profilo statistico, il risultato è “robusto” e riguarda sia le donne sia gli uomini quale che sia il loro livello d’istruzione. A conclusioni analoghe sono giunti studi americani, giapponesi e coreani. In sintesi, ritardare l’età della pensione non fà bene solo alle casse degli enti ma anche alla sanità di mente ed alla produttività.

*Presidente del board scientifico di ImpresaLavoro