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Pennisi: “Stiamo dissipando il capitale umano di giovani e Mezzogiorno”

Pennisi: “Stiamo dissipando il capitale umano di giovani e Mezzogiorno”

di Giuseppe Pennisi*

I dati sull’occupazione pubblicati da ImpresaLavoro confermano, in sostanza, la sensazione che gli antibiotici e le vitamine del Jobs Act non abbiano ancora causato effetti di rilievo sull’occupazione. Resta preocccupante il calo nel comparto delle costruzioni e la marcata contrazione nell’industria rispetto ai livelli pre-crisi. L’aumento dell’occupazione nei servizi, poi, non deve ingannare; probabilmente cela la sostituzione di lavoratori dipendenti con titolari di Partive IVA. Tragica, infine, la situazione dei giovani e del Mezzogiorno. L’Italia – è questo il dato che inquieta di più – sta dissipando quel capitale umano che è stata la leva del miracolo economico.

* presidente del board scientifico di ImpresaLavoro

Lavoro, la Liguria regina del Nord

Lavoro, la Liguria regina del Nord

di Massimo Minella – La Repubblica (ed. Genova)

Morde ancora la crisi, ma qualcosa inizia a cambiare. I primi segnali della ripresa avvertiti a inizio anno trovano adesso conferma nell’analisi di fine 2015. A scattare la fotografia è il centro studi ImpresaLavoro che, elaborando ì dati Istat riflette sugli ultimi “sette anni di guai”, ma anche sull’ultimo che stiamo per lasciarci alle spalle. Un anno ancora pesante sul fronte dell’occupazione, in cui però emergono alcuni segnali da non sottovalutare, soprattutto in regioni che hanno fatto leva sulle proprie peculiarità per provare a ripartire. Ed è proprio il caso della Liguria, che può contare su un sistema portuale forte, su un export competitivo e su settori di nicchia che continuano a tenere alta la bandiera del “made in Italy”, come l’alimentare e la nautica.

Se a questo si aggiunge la nuova normativa sul lavoro, con le assunzioni “a tutela crescente” varate di recente dal Jobs Act, allora quei flebili segnali che si avvertivano già a inizio anno ora si fanno più evidenti. Intendiamoci, la situazione resta critica, la disoccupazione giovanile continua a essere sempre molto al di sopra del livello di guardia e la piccola e media industria continua a far fatica, stretta fra la morsa del credito e il peso della burocrazia. Ma qualcosa sembra finalmente muoversi.

Si vedrà nel 2016 se questi dati potranno o meno trovare conferma. Per ora siamo alle analisi di quanto accaduto dall’esplosione della grande crisi a oggi. ImpresaLavoro prende infatti in esame gli ultimi sette anni, dal 2008, inizio della recessione, al 2015. Un arco di tempo in cui sono stati bruciati ben 656.911 posti di lavoro. Solo Lazio e Trentino Alto Adige hanno oggi livelli occupazionali superiori a quelli fatti segnare prima della crisi. Per tutti gli gli altri flessione, compresa ovviamente la Liguria, in calo del 4,01%. Nell’ultimo anno preso in esame dalla ricerca, il 2015, lo scenario è però cambiato. I dati al terzo trimestre 2015 fanno infatti segnare complessivamente un aumento di 154mila occupati base annua.

In valori assoluti la regione in cui si sono creati più nuovi posti di lavoro è la Puglia (+38.700), seguita dalla Toscana (+23.200), dalla Sicilia (+19.600) e dalla Sardegna (+18.200). Al Nord il primato è della Liguria, che cresce addirittura di più in termini numerici della Lombardia (12mila nuovi assunti contro 8.500, su un totale di 34mila), mentre arretra il Veneto che perde 10.800 posti di lavoro. In termini percentuali è un +2,01%, Nessuno ha fatto meglio. Certo, sarebbe un grave errore considerare già vinta una partita (quella della ripresa) che è soltanto all’inizio e su cui insistono ancora parecchi ostacoli. Ma adesso guardare al futuro prossimo dell’economia ligure potrebbe fare meno paura.

Un’azienda su tre ha crediti insoluti

Un’azienda su tre ha crediti insoluti

di Mirko Molteni – Libero

Alla faccia dei proclami del governo, la disoccupazione resta al primo posto fra le urgenze. Lo conferma l’analisi divulgata ieri dal Centro Studi Impresa Lavoro. Per il periodo dal 2008 al 2015 l’Italia ha perso ben 656.911 occupati, pur con distinguo territoriali. Sta peggio il Sud, che ha perduto 486.000 posti, mentre il Nord segue con 249.000. Nel Centro c’è però un aumento di 78.000 unità, a tamponare l’emorragia. Il saldo positivo del Centro è dovuto ai 116.000 posti di lavoro in più registrati nel solo Lazio, complice il settore pubblico, mentre l’altra sola regione dove il numero di occupati è superiore rispetto a 7 anni fa è il Trentino Alto Adige, con +20.000. In proporzione alla popolazione lavorativa, ha sofferto di più la Calabria, col -14,83 %. In Lombardia gli occupati sono calati solo dello 0,66%. Friuli, Veneto e Liguria perdono in media il 4 % degli occupati.

Poche luci e molte ombre, insomma, tanto che il presidente del Centro Studi, l’imprenditore Massimo Blasoni, commenta: «L’occupazione è lontana dai livelli pre-crisi. La ripresa è debole e rischia di non tradursi in un recupero dei posti di lavoro persi dal 2008 ad oggi». Conferma che rimedi degli ultimi mesi, come Jobs Act e detassazioni «sono serviti principalmente a trasformare contratti». Dati parziali del terzo trimestre 2015, rispetto a un anno prima, segnano un recupero di 154.000 posti di cui 89.000 al Sud, 34.000 al Nord e 31.000 al Centro. Negli ultimi mesi il Meridione recupera terreno. Ma poca roba.

Altri brutti segnali arrivano dal fronte dei crediti e delle lungaggini di pagamento alle imprese, che pure contribuiscono a far assumere poco. Un rapporto di Confartigianato Marca Trevigiana indica che il 28 % delle piccole e medie imprese venete attende anche due anni e mezzo prima che i debitori saldino le commesse, causa la complicazione dei concorsi pubblici e della burocrazia. Nota il presidente dell`associazione, Renzo Sartori: «Ci sono imprese sane che chiudono a causa di committenti sfortunati, ma anche per committenti scaltri o peggio ancora disonesti». E ricordando che in media il 2% del bilancio delle aziende è in negativo dovuto a questi ritardi, Sartori invita le pubbliche amministrazioni ad appalti più snelli e che premino le imprese più oneste.

Pensioni, dal 2016 le donne dovranno lavorare 22 mesi in più

Pensioni, dal 2016 le donne dovranno lavorare 22 mesi in più

di Francesca Schianchi – La Stampa

Ventidue mesi di lavoro in più per le donne impiegate nel settore privato, per agguantare la sospirata pensione di vecchiaia. Quattro mesi in più per tutti, come adeguamento alla speranza di vita: si vive più a lungo e allora bisogna anche lavorare più a lungo. E poi, arriva la revisione dei coefficienti necessari per determinare la quota contributiva della pensione: quello che si apre fra pochi giorni è un anno di novità non esattamente piacevoli per quanto riguarda il ritiro dal lavoro.

Per tradurre in esempi la fredda contabilità delle leggi, lo scalino in più che, in base alla legge Fornero, scatterà dal 2016 per le donne lavoratrici del privato, fa sì che potranno lasciare il lavoro per vecchiaia a 65 anni e sette mesi (63 anni e nove mesi sono stati sufficienti nel 2015); per le autonome non prima di 66 anni e un mese, mentre sono già equiparate agli uomini le dipendenti pubbliche. Cioè all’età di 66 anni e sette mesi: gli uomini potranno altrimenti andare in pensione anticipata se hanno versato 42 anni e dieci mesi di contributi; 41 anni e dieci mesi le donne.

Chi sarà particolarmente penalizzato dal meccanismo messo in piedi dalla legge sono le signore nate nel 1953: nel 2018, quando avranno raggiunto il traguardo dei 65 anni e sette mesi, sarà scattato un nuovo scaglione per spostare in avanti l’eta pensionabile (salvo revisioni della legge) e nel 2019 l’asticella dell’età sara spostata ancora più in alto da un nuovo adeguamento alle aspettative di vita. Morale, queste lavoratrici rischiano di potersi mettere a riposo solo nel 2020. Ma questo 2016 è anche l’anno scelto per far scattare i nuovi coefficienti di trasformazione, ossia quelli che servono per trasformare i contributi versati in assegno: nemmeno questa è una notizia allegra, se si considera che tra 2009 e 2016 l’importo calcolato col contributivo, prendendo a riferimento come età di uscita i 65 anni, è diminuito del 13 per cento. E nel 2016, secondo i calcoli di Antonietta Mundo, già coordinatore generale statistico attuariale dell’Inps, riportati dall’Ansa, gli uomini perderanno sulla quota contributiva circa l’1 per cento.

E se queste sono le (fosche) previsioni per le pensioni nel 2016, a tracciare un bilancio degli anni passati, per quanto riguarda invece il lavoro e la crisi, ci ha pensato il Centro studi ImpresaLavoro, partendo da dati Istat: 656.911 sono i posti persi nel periodo 2008-2015, di cui 486mila andati in fumo al sud e nelle isole e 249mila a nord, mentre il centro ha fatto segnare un sorprendente più 78mila, tanto che il Lazio è, insieme al Trentino Alto Adige, l’unica regione che ha visto in questi anni di crisi aumentare gli occupati. Una crisi che, però, secondo la ricerca di ImpresaLavoro, sta forse finalmente allentando la presa: nel terzo trimestre del 2015, sottolinea, c’e stato un aumento di 154mila occupati su base annua.

Nello stesso periodo, 2008-2014, rivela uno studio dell’Istat diffuso ieri, tra gli stranieri, che per il 57 per cento arrivano in Italia per cercare un impiego e per il 29,9 per cento ritengono di svolgere mansioni poco qualificate rispetto al proprio titolo di studio, il tasso di occupazione ha subito un calo molto più accentuato rispetto agli italiani (6,3 punti contro 3,3). E la disoccupazione tra loro è quasi raddoppiata in quei sei anni, facendo registrare un più 7,1 contro il più 5,2 degli italiani.

Ma nel Lazio l’occupazione non conosce crisi

Ma nel Lazio l’occupazione non conosce crisi

IL TEMPO del 29 dicembre 2015

Dall’inizio della crisi, ovvero dal 2008 ad oggi sono stati persi 656.911 posti di lavoro: ben 486mila al Sud e nelle Isole, 249mila nelle regioni del Nord mentre il Centro (grazie ai 116mila posti di lavoro in più registrati in Lazio) fa segnare un dato in controtendenza, +78mila. È quanto emerge da una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro, realizzata su elaborazione di dati Istat. Poche regioni italiane hanno oggi livelli occupazionali vicini a quelli fatti segnare prima della crisi. Ad essere sopra i livelli del 2008 ci sono due regioni: oltre al Lazio, infatti, solo il Trentino Alto Adige ha visto in questi anni aumentare il numero dei propri occupati (+20mila).

In termini percentuali ad aver risentito maggiormente della crisi è stata la Calabria, dove sono andati in fumo il 14,83% dei posti di lavoro. A seguire il Molise (-10,52%) e la Sicilia (-10,22%). Al Nord la regione che ha sofferto di più in questi anni è il Friuli Venezia Giulia (-4,52%), seguita dal Veneto (-4,23%) e dalla Liguria (-4,01%). La Lombardia (-0,66%) è sostanzialmente ai livelli di occupazione fatti riscontrare prima della crisi, mentre il Trentino Alto Adige riesce addirittura a far crescere del 4,19% i propri occupati.

Il 2015 ha confermato il trend di recupero dell’occupazione iniziato nel 2014. I dati al terzo trimestre 2015 indicano un aumento di 154mila occupati su base annua, con una composizione per regione che questa volta sembra premiare il Sud del Paese. In valori assoluti la regione in cui si sono creati più nuovi posti di lavoro è la Puglia (+38mila700), seguita dalla Toscana (+23mila200), dalla Sicilia (+19mila600) e dalla Sardegna (+18mila200). Rimane drammatica la situazione della Calabria che nei primi nove mesi del 2015 perde ulteriori 13mila400 posti di lavoro, rimanendo la regione italiana più colpita dalla crisi. Al nord crescono sensibilmente Liguria (+12mila) e Lombardia (+8mila500).

Il dossier ImpresaLavoro: dal 2008 si sono persi 656.911 posti

Il dossier ImpresaLavoro: dal 2008 si sono persi 656.911 posti

IL CORRIERE ADRIATICO del 29 dicembre 2015

Dell 2008 a oggi sono stati persi 656.911 occupati in Italia: ben 486 mila posti di lavoro sono stati persi al Sud e nelle Isole. 249 mila nelle regioni del Nord mentre il Centro (grazie ai 116mila posti di lavoro in più registrati in Lazio) fa segnare un dato in controtendenza, +78 mila. È quanto emerge da una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro, realizzata su elaborazione di dati Istat. Poche regioni italiane hanno oggi livelli occupazionali vicini a quelli fatti segnare prima della crisi. A essere sopra i livelli del 2008 ci sono due regioni: oltre al Lazio, infatti, solo il Trentino Alto Adige ha visto in questi anni aumentare il numero dei propri occupati (+20 mila).

In termini percentuali ad aver risentito maggiormente della crisi è stata la Calabria, dove sono andati in fumo il 14,83% dei posti di lavoro. A seguire il Molise (-10,52%) e la Sicilia (-10,22%). Al Nord la regione che ha sofferto di più in questi anni è il Friuli Venezia Giulia (-4,52%), seguita dal Veneto (-4,23%) e dalla Liguria (-4,01%). La Lombardia (-0,66%) è sostanzialmente ai livelli di occupazione fatti riscontrare prima della crisi, mentre il Trentino Alto Adige riesce addirittura a far crescere del 4,19% i propri occupati. Un dato in controtendenza rispetto al trend nazionale e più in particolare rispetto alla condizione del resto del nordest del Paese.

L’ultimo anno ha confermato il trend di recupero dell’occupazione iniziato nel 2014. I dati al terzo trimestre 2015 fanno segnare complessivamente un aumento di 154mila occupati su base annua, con una composizione per regione della nuova occupazione che questa volta sembra premiare il Sud del Paese. In valori assoluti la regione in cui si sono creati più nuovi posti di lavoro è la Puglia (+33.700), seguita dalla Toscana (+23.200), dalla Sicilia (+19.600) e dalla Sardegna (+18.200). Rimane drammatica la situazione della Calabria che nei primi nove mesi del 2015 perde ulteriori 13.400 posti di lavoro, rimanendo la regione italiana più colpita dalla crisi dell’occupazione in questi anni e l’unica tra quelle del Sud a non registrare alcun segnale di ripresa. Al Nord crescono sensibilmente Liguria (+12 mila) e Lombardia (+8.500 occupati), mentre arretra il Veneto che perde 10.800 posti di lavoro nel solo 2015.

Lavoro: i livelli pre-crisi sono ancora lontani

Lavoro: i livelli pre-crisi sono ancora lontani

di Massimo Blasoni*

Parallelamente a quando accade con il Pil, anche l’occupazione nel nostro paese è ben lontana dai livelli pre-crisi. La ripresa in atto è debole e rischia di non tradursi in un sensibile recupero dei posti di lavoro che si sono persi dal 2008 ad oggi. Nell’ultimo anno il combinato di Jobs Act e decontribuzione ha garantito un aumento dell’occupazione di 150mila unità, a ulteriore dimostrazione che i benefici fiscali e contributivi garantiti alle nuove assunzioni a tempo indeterminato sono serviti principalmente a trasformare contratti. Alcuni timidi segnali di ripresa, tuttavia, si intravedono: al sud si è quantomeno fermata l’emorragia di occupati anche se non si può dimenticare che nel mezzogiorno del paese la crisi ha bruciato il 10% dei posti di lavoro esistenti. E questo in territori con tassi di occupazione generale già straordinariamente bassi.

*imprenditore, presidente Centro Studi ImpresaLavoro

Lavoro: con la crisi persi 656mila posti di lavoro. Nell’ultimo anno lieve ripresa, sopratutto al Sud

Lavoro: con la crisi persi 656mila posti di lavoro. Nell’ultimo anno lieve ripresa, sopratutto al Sud

Nel periodo 2008-2015 il numero dei lavoratori occupati in Italia è complessivamente calato di 656.911 unità: ben 486mila posti di lavoro sono stati persi al Sud e nelle Isole, 249mila nelle regioni del Nord, mentre il Centro (grazie ai 116mila posti di lavoro in più registrati in Lazio) fa segnare un dato in controtendenza, +78mila. Poche regioni italiane hanno oggi livelli occupazionali vicini a quelli fatti segnare prima della crisi. Ad essere sopra i livelli del 2008 ci sono due regioni: oltre al Lazio, infatti, solo il Trentino Alto Adige ha visto in questi anni aumentare il numero dei propri occupati (+20mila).

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In termini percentuali ad aver risentito maggiormente della crisi è stata la Calabria, dove sono andati in fumo il 12,92% dei posti di lavoro. A seguire il Molise (-9,52%) e la Sicilia (-9,27%). Al Nord la regione che ha sofferto di più in questi anni è il Friuli Venezia Giulia (-4,32%), seguita dal Veneto (-4,06%) e dalla Liguria (-3,86%). La Lombardia (-0,66%) è sostanzialmente ai livelli di occupazione fatti riscontrare prima della crisi, mentre il Trentino Alto Adige riesce addirittura a far crescere del 4,37% i propri occupati. Un dato in controtendenza rispetto al trend nazionale e più in particolare rispetto alla condizione del resto del nordest del Paese.

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L’ultimo anno ha confermato il trend di recupero dell’occupazione iniziato nel 2014. I dati al terzo trimestre 2015 fanno segnare complessivamente un aumento di 154mila occupati su base annua, con una composizione per regione della nuova occupazione che questa volta sembra premiare il Sud del Paese. In valori assoluti la regione in cui si sono creati più nuovi posti di lavoro è la Puglia (+38mila700), seguita dalla Toscana (+23mila200), dalla Sicilia (+19mila600) e dalla Sardegna (+18mila200). Rimane drammatica la situazione della Calabria che nei primi nove mesi del 2015 perde ulteriori 13mila400 posti di lavoro, rimanendo la regione italiana più colpita dalla crisi dell’occupazione in questi anni e l’unica tra quelle del sud a non registrare alcuni segnale di ripresa. Al nord crescono sensibilmente Liguria (+12mila) e Lombardia (+8mila500 occupati), mentre arretra il Veneto che perde 10mila800 posti di lavoro nel solo 2015.

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In termini di variazione percentuale degli occupati, la miglior performance regionale è quella della Basilicata (+3,5% in un anno), seguita da Puglia (+3,39%), Sardegna (+3,33%) e Umbria (+2,34%). Al nord la regione in cui l’occupazione è andata meglio nell’ultimo anno è la Liguria (+2,01%) mentre il Veneto fa segnare un piccolo arretramento degli occupati sull’anno (-0,52%). I nuovi posti di lavoro sono stati quindi creati principalmente al Sud e nelle Isole (89mila posti pari al 57,9% del totale dei nuovi occupati) mentre al Nord si sono registrati 34mila nuovi occupati (22,2%) e al Centro 31mila circa (19,9%).

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