La causa delle cause

Enrico Cisnetto – Il Foglio

L’Europa non sta collassando. Non ancora, quantomeno, e comunque non perché Francia e Italia non rispettano i vincoli di bilancio. Lo deduco non dall’esito del vertice Ue sul lavoro, del tutto inutile, ma da un’analisi sulla vera origine dei problemi dell’eurosistema. Che non risiedono nei vincoli di bilancio imposti dai trattati, o nelle politiche di austerità volute dai tedeschi e neppure in quelle opposte predicate dai paesi mediterranei, o nei limiti statutari della Bce, e in tutti quegli errori che con faciloneria disarmante vengono dati in pasto a opinioni pubbliche che, di conseguenza, sollecitano atteggiamenti sempre più nazionalistici alle proprie classi politiche. O meglio, tutti questi sono sì errori, ma nessuno è quello decisivo. L’errore epocale, da cui tutto discende, è aver preteso di dare una moneta unica a paesi che non avevano e tuttora non hanno una governance democratica comune. E senza mettere rimedio a questa tara genetica, poco importa se prevale la linea del rigore o quella espansiva: l’eurosistema è comunque destinato a non funzionare. Anzi, più si discetta intorno alla presunta dicotomia, risalendo fino allo scontro Hayek-Keynes, e più si stende un velo omertoso sulla causa della cause della crisi europea.

Prendete la scelta della Francia di far slittare il contenimento del deficit. Il grave non sta nell’aver violato patti che in quanto “stupidi” meritano questo e altro, ma di non avere il coraggio di metterli apertamente in discussione, ponendo il problema politico nei vertici Ue.E sapete perché non lo fanno? Perché sanno che la risposta sarebbe quella di andare oltre i trattati, ed essendo autolesionistico farlo tornando indietro alle monete nazionali, l’unico modo sarebbe andare oltre, cedendo definitivamente sovranità politica e istituzionale a un governo eletto direttamente dai cittadini che hanno la stessa moneta in tasca. Ma per i francesi esistono solo gli interessi nazionali. E pazienza se debito federale, Bce leader of last resort e così via, vanno a farsi benedire. D’altra parte, è falsa la convinzione secondo cui la loro sarebbe una prova di forza muscolare contro la Germania e la Ue a trazione tedesca. No, si tratta solo di una mossa di politica interna nel tentativo (utile ma un po’ disperato) di tagliare la strada all’ascesa della Le Pen all’Eliseo. Per carità, bene che riesca, meglio un po’ di deficit in più di quella funesta eventualità – così come meglio gli inutili (dal punto di vista economico) 80 euro di Renzi piuttosto che Grillo a Palazzo Chigi – ma se la destra populista e nazionalista è arrivata a insidiare socialisti e gollisti è colpa di una politica che, tanto con Sarkozy quanto con Hollande, è stata fallimentare. La Germania si è solo limitata a farsi i suoi interessi, e meglio di quanto gli altri non abbiano fatto i propri.

E veniamo a noi. Il semestre europeo a guida italiana ha superato la metà della sua durata senza aver lasciato alcun segno, nonostante si fossero alimentate grandi aspettative. Né s’intravede all’orizzonte nulla che possa far pensare che nella seconda parte la musica cambi. Inoltre, sul deficit stiamo facendo persino peggio della Francia: sforiamo rispetto agli impegni presi, ma facciamo tinta che non sia così. Invece, ora si affaccia un’opportunità straordinaria, che Renzi dovrebbe cogliere al volo: partire dall’inevitabile processo che in Commissione si aprirà nei confronti di Italia e Francia, per lanciare la proposta di una riforma strutturale dei trattati europei, una riscrittura finalizzata a rimettere in moto l’arenato – ma sarebbe più giusto dire, mai partito – processo di integrazione politico istituzionale ed economico-finanziaria dell’area euro.

Attenzione, non si tratta di costituire improbabili cartelli mediterranei “espansivi” contro i maledetti “rigoristi” del nord. Anche perché entrambe le politiche hanno buone ragioni, e sono necessarie entrambe in un mix che non sarà mai ottimale se ciascuno stato rimane pienamente sovrano. Chi mi segue sa che la mia e una posizione “liberal-keynesiana” – e non è un ossimoro, se si evita un approccio dogmatico – ma sa anche che ho sempre sostenuto che non si poteva uscire con nuovi surplus di spesa corrente dalla crisi causata da un eccesso di debito privato (la bolla scoppiata nel 2007 negli Usa e trasferitasi immediatamente al sistema bancario mondiale) è tamponata con una moltiplicazione di debito pubblico (quello servito a immettere liquidità ed evitare il default creditizio). Spesa sì, ma solo in conto capitale (investimenti pubblici), e non senza mettere in gioco il patrimonio degli stati, sottoponendoli così a un sano dimagrimento (senza per questo sposare le tesi ultra dello “stato minimo”). Dunque, evitiamo la puerile polemica anti tedesca e non illudiamoci che domattina possa nascere l’asse Parigi-Roma. Invece, Renzi prenda un’iniziativa forte: convochi a Roma, nella sua veste di presidente di turno dell’Unione, i leader continentali che pesano e sparigli un gioco in cui rischiano di finire stritolati prima di tutto gli italiani, ma con noi l’euro e l’Europa intera. La Merkel è una ragioniera? Bene, si dimostri di saper fare di meglio.