C’è un legame tra Renzi e i black bloc?

Carlo Lottieri

A qualcuno può anche sembrare che la devastazione per le strade di Milano causata dai gruppi dei centri sociali porti soltanto acqua al mulino di Matteo Renzi, che d’altra parte è stato uno dei bersagli polemici di quella violenza di strada. Ed è possibile che, nel breve periodo, in qualche modo sia così e che qualche elettore arrivi a pensare che per sconfiggere la sinistra estrema (anche al di là dei black bloc) si debba puntare su questo ex-democristiano riuscito abilmente a mettere le mani su quanto rimane del vecchio Pci.
A ben guardare, però, la relazione tra renzismo e black bloc non è solamente di opposizione: come si capisce subito dalla lettura della “Carta di Milano” prodotta per iniziativa di questo governo e che l’esecutivo ha in vari modi esaltato. Quello stucchevole miscuglio di decrescita, ecologia, dirigismo e pauperismo che è appunto la Carta presentata nell’imminenza di Expo deve farci riflettere, perché il rapporto tra la sinistra in doppiopetto e quella di piazza esiste senza alcun dubbio e non va dimenticato.
I nostri giovani – a scuola, alla televisione, sui giornali – sono ogni giorno nutriti di una visione distorta della realtà proprio perché da decenni a dominare sono culture ostili al mercato e alla libertà individuale. Quello che la sinistra vuole realizzare è la sconfitta del capitalismo selvaggio e l’edificazione di una società senza diseguaglianze. Quanti hanno distrutto le vetrine di corso Magenta sono cresciuti in un mondo che ritiene normale togliere ai produttori la metà e anche più della ricchezza che realizzano in un anno. E anche per questo non si sentono affatto in colpa di aver sottratto qualche migliaia di euro a chi vende abiti costosi o gioielli.
È ovvio che non vi sia alcuna responsabilità diretta da parte di Renzi per le devastazioni del Primo Maggio, ma è egualmente vero che l’Italia di sinistra (cattocomunista, azionista, progressista, socialdemocratica ecc.) nel corso del tempo ha posto le basi per una contestazione crescente della proprietà e del mercato. E non c’è da stupirsi quando i figli sono un poco più violenti e più coerenti dei padri.
Se la mentalità contemporanea prevalente, che Renzi interpreta tanto bene, vede nelle diversità un’ingiustizia, quelli che il premier ha chiamato “teppistelli” ne traggono le conseguenze. Perché non si può mettere costantemente sotto accusa le logiche del profitto e poi immaginarsi che non succeda nulla.
Bisognerebbe allora iniziare a capire come l’estremismo di coloro che usano le molotov per cercare di sbriciolare le istituzioni del capitalismo liberale aiuti anche a comprendere quanto veleno vi sia nel moderatismo della sinistra governativa. L’immobilismo di chi non fa nulla per ridurre la costante crescita del debito pubblico e anche della tassazione viene talvolta accompagnato da una specie di retorica liberale, ma più spesso è giustificato dal persistere di quello statalismo che la Carta di Milano ha esaltato sotto vari aspetti principali.
È allora chiaro che o si riesce a contrastare il blocco sociale post-comunista e post- democristiano che sorregge Renzi e definisce in larga misura la cultura prevalente, oppure non cambierà nulla. Lo Stato continuerà a dilatarsi e molti dei nostri giovani riterranno di essere vittime di un qualche capitalismo selvaggio che esiste soltanto nei loro sogni e nei testi con cui vengono introdotti alla conoscenza della realtà.
Renzi vale quel che vale, prova a tirare avanti e in qualche rara occasione riesce perfino a muoversi nella giusta direzione. Ma la sua cultura è tanto intrisa di dirigismo che a ben guardare non è affatto così lontano da quanti l’hanno contestato nelle strade milanesi.
Chi desidera vivere in una società più libera e basata sull’economia capitalista deve sapere costruire un’alternativa sia a Renzi, sia alla sinistra radicale. Il mondo non può essere fatto di molte sfumature del rosso: bisogna invece cercare di dare spazio ad altri colori e a diversi modi di esaminare la realtà sociale.