In più occasioni viene richiamata l’attenzione su un fatto: e cioè che sono i Paesi di più piccole dimensioni e anche quelli a struttura federale a offrire le condizioni migliori per la creatività imprenditoriale e per il successo delle società. Dove abbiamo piccoli principati o minuscoli cantoni è anche facile trovare bassa tassazione, limitata regolazione, una burocrazia più semplice e meglio funzionante. Entro quel quadro istituzionale la vita delle aziende è assai semplice: nell’interesse di tutti.
Una delle ragioni fondamentali sta nel fatto che le piccole giurisdizioni non possono essere protezionistiche e le imprese di quei territori, quindi, nei fatti si trovano a operare entro un mercato di vaste dimensioni. Il protezionismo è un errore sempre, ma si tratta comunque di una strategia che più facilmente può venire adottata da un Paese di 60 milioni di abitanti invece che da uno di poche centinaia di migliaia, dato che quest’ultimo è largamente dipendente da produttori “esterni”.
Oltre a questo c’è un altro fattore: spesso sottovalutato. Si sa che le imprese crescono entro il mercato e grazie alla competizione: un’impresa cerca sempre di migliorare perché sa che la propria clientela può in ogni momento lasciarla se i propri beni o servizi non sono all’altezza. Senza questa concorrenza non vi sarebbe sviluppo dei prodotti e non vi sarebbe alcuna qualità.
Questo è vero anche per i governi, che quando si prendono cura di territori minuscoli sono sotto la pressione competitiva delle giurisdizioni vicine. Se un cantone svizzero alza le imposte e offre cattivi servizi, per un’azienda basta spostarsi di pochi chilometri per trovare – entro il medesimo universo linguistico e culturale – tasse inferiori e regole più adeguate. Una pluralità di centri di governo responsabilizzati, chiamati a gestire le risorse che ottengono dai loro cittadini, crea una situazione assai simile a quella del mercato e produce – analogamente – tanti benefici.
Se si considera che la Svizzera è più piccola della Lombardia ed è divisa in 26 tra cantoni e semi-cantoni, è facile comprendere come a Basilea non possano troppo alzare le tasse e infittire la regolamentazione perché questo provocherebbe con ogni probabilità uno spostamento di imprese nel vicino cantone di Zurigo. La strategia detta di exit è facilmente praticabile quando il quadro istituzionale è frammentato e questo rappresenta un freno molto serio di fronte alle pretese dei governi di farsi tirannici.
Se l’accrescimento della concorrenza istituzionale è il principale pregio dei Paesi di limitate dimensioni, ve ne sono però anche altri. In un Paese come il Lussemburgo, che ha meno di 500 mila abitanti, operare massicce e durature redistribuzioni è assai difficile, poiché nel faccia-a-faccia di tale piccolo universo sociale per chi è chiamato a sopportare i costi è assai facile scoprire le carte e denunciare l’ingiustizia.
È esattamente per questa ragione che secondo Gordon Tullock entro un ordine federale è possibile ridurre la ricerca di rendite (rent-seeking) condotta da quanti traggono vantaggio dalla complessità di un sistema di tassazione e trasferimenti del tutto opaco. La concorrenza istituzionale rende difficile per ogni giurisdizione mantenere un sistema fiscale troppo complesso: per giunta, la semplicità del percorso compiuto dal denaro dei contribuenti ostacola il lavoro dei gruppi di pressione. Spingendo verso il basso la tassazione, il federalismo competitivo toglie risorse all’azione dei lobbisti. Sprechi e sinecure sono caratteristici dei sistemi politici accentrati di medie o grandi dimensioni, dove tutto diviene assai meno trasparente e riconoscibile.
Una cosa è cruciale: ogni istituzione deve vivere di risorse ottenute dai propri cittadini e, quindi, va il più possibile limitata ogni forma di perequazione. Diversamente abbiamo un falso federalismo, che induce i centri di spesa locali a fare e disfare, con l’obiettivo di comprare il consenso, e senza pagare dazio. Al contrario, ogni soldo che un sindaco o un presidente di Regione spendono deve venire dalle tasche dei loro cittadini. È l’unico per innescare una gestione della cosa pubblica meno disastrosa di quella che abbiamo dinanzi agli occhi.