Il “Jolly” da 25 miliardi in mano ad Atene
Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net
La conclusione della riunione dell’Ecofin del 20 febbraio ha lasciato molte bocche amare, poiché appare difficile che nell’arco di quattro mesi, pur con il supporto dell’Ocse, il Governo della Repubblica ellenica riesca a preparare un programma di riassetto strutturale tale da convincere i partner dell’Eurogruppo. Appare ancora più difficile che i lineamenti di tale piano siamo pronti e consegnati a Bruxelles nel corso della giornata di oggi e discussi (e approvati) domani da un’altra riunione collegiale.
C’è, senza dubbio, grande attesa per quali saranno i contenuti nella lettera che entro stasera dovrebbe arrivare alla Commissione europea e all’Eurogruppo. C’è anche – occorre dirlo – una buona dose di scetticismo, almeno negli editoriali dei quotidiani economici e nelle dichiarazioni di esponenti grandi e piccoli delle istituzioni europee. L’impressione generale è che si è solamente guadagnato tempo per evitare una probabile uscita della Grecia dell’eurozona e il caos sui mercati finanziari mondiali che ciò causerebbe. La settimana scorsa – com’è noto – si è mossa anche Washington, spesso negli ultimi tempi poco attenta ai problemi europei (a ragione di quelli in altre parti del mondo) per incidere soprattutto su Atene affinché si giungesse a un accordo.
Ma se ci fossero informazioni nuove e tali da cambiare le carte in tavola? Un dato nuovo, e non irrilevante, è stato portato all’attenzione di un gruppo ristretto di economisti e specialisti di finanza, il 18 febbraio a Londra in una riunione riservata (ma non troppo) tenuta nei piani alti della torre di Morgan Stanley a Londra. Sono i calcoli di Paul B. Kazarian, economista e finanziere Usa di origine armena, che ha lavorato a lungo per Goldman Sachs prima di creare una propria finanziaria a Providence, Rhode Island, (Japonica Partners con cui ha assestato un paio di colpi fortunati). Ora, cinquantanovenne, è ricchissimo e ha un portafoglio gonfio di bonds greci (quelle che la Banca centrale europea considera quasi-spazzatura) nella convinzione che gli porteranno un’enorme guadagno. A suo avviso, il debito “netto” greco è notevolmente inferiore a quanto indicato nelle cifre ufficiali e il Paese ha tutti i numeri per rimettersi in cammino.
La materia è molto tecnica. Quindi, va spiegata con ordine. Il debito sovrano greco è stimato in 318 miliardi di euro, applicando metodologie e procedure Eurostat che sono essenzialmente le stesse di quelle applicate da Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e Ocse. Kazarian sostiene che se ciò che in ballo è il fallimento della Repubblica ellenica, al fine di valutare la consistenza effettiva del debito e il suo peso sull’economia occorre impiegare strumenti di contabilità aziendale, per l’appunto gli International accounting standard (Ias), in vigore da diversi anni negli Usa e in Europa.
Gli Ias hanno due colonne: il dare e l’avere. Nella colonna del dare, soprattutto, tengono conto del valore attuale dell’indebitamento. I numerosi riassetti del debito greco effettuati dal 2010 fanno sì che il valore attuale dell’indebitamento sia inferiore al debito nominale computato da Eurostat e altri. Sino a questo punto, il ragionamento di Kazarian tiene: è confermato indirettamente dal fatto che – come notato su queste pagine – il servizio del debito incide sul Pil greco meno di quanto non incidano i servizi del debito di Italia, Spagna e Portogallo sui relativi prodotti nazionali.
La colonna dell’avere contiene stime del valore del patrimonio pubblico greco: dai beni demaniali, alle partecipazioni statali, a beni culturali (quali il Partenone). Ritengo che non si debba tenere conto della colonna dell’avere, sarebbe come se nella contabilità dell’indebitamento italiano si computassero i 3800 miliardi di euro di risparmi delle famiglie e anche il valore del Colosseo e del Duomo di Milano. Se ci sofferma però sul dare, il peso del debito greco scende di 20-25 miliardi di euro. E un percorso di riassetto strutturale appare maggiormente fattibile.