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Il manuale per tagliare gli sprechi dello Stato

Il manuale per tagliare gli sprechi dello Stato

cop_pennisi_def2Gianfranco Fabi – Il Sussidiario

Si sente sempre più spesso ripetere, anche da parte di illustri esperti di economia, che l’attuale crisi economica è il frutto di un liberalismo senza limiti e di quello che viene chiamato il fallimento del capitalismo. Una tesi certamente affascinante anche basata su di una visione strettamente ideologica più che fattuale. Infatti, prima di accettare supinamente questa analisi, ci potremmo chiedere in primo luogo se l’Italia sia un Paese a economia di mercato e in secondo luogo se i capitali possono fare veramente il bello e il cattivo tempo. E allora si potrebbe osservare che la metà più uno (il 51%) del Pil italiano è puramente e semplicemente intermediato dallo Stato e che la moneta sia nella sua quantità, sia nel suo prezzo (il tasso di interesse) è totalmente controllata da una entità extra-nazionale come la Banca centrale europea.

Se quindi è certamente vero che una finanza fuori controllo ha innescato negli Stati Uniti quella progressiva sfiducia che ha bloccato le decisioni economiche, è altrettanto vero che in Italia il sistema finanziario ha tenuto testa alla crisi e ha trovato e trova la sue maggiori difficoltà non nella corsa ai derivati e ai titoli speculativi, ma nel rallentamento dell’economia reale. Sono state infatti le difficoltà e talvolta purtroppo i fallimenti delle imprese a far aumentare oltre il livello di guardia le sofferenze bancarie. In questa realtà allora il ruolo dello Stato appare fondamentale. In primo luogo, come regolatore, perché se i mercati non funzionano spesso è più colpa delle regole che non frenano gli abusi e non colpiscono gli speculatori. In secondo luogo, perché attraverso la spesa pubblica, come insegnava il grande Keynes, si può tentare di accelerare nei momenti di difficoltà attraverso la leva degli investimenti.

Se sulle regole bisogna tener conto che molto ormai dipende dalle esigenze di armonizzazione dell’Unione europea, sul fronte della spesa pubblica la responsabilità è quasi completamente nazionale. E qui l’Italia ha molte colpe da farsi perdonare. Sia per il livello della spesa, sempre più destinata alla copertura degli impegni correnti e sempre meno al finanziamento degli investimenti, sia per la qualità degli interventi, spesso decisi al di fuori da una razionale procedura di valutazione sulla loro valenza economica e sull’efficienza dal profilo del miglioramento della dotazione di infrastrutture del Paese.

La dimostrazione sta tutta nel libro “La buona spesa, guida operativa dalle opere pubbliche alla spending review” di Giuseppe Pennisi e Stefano Maiolo (Ed. Centro studi ImpresaLavoro, pagg. 194). Pennisi, economista con una lunga esperienza all’estero e collaboratore, tra l’altro, de “Il Sussidiario” e Maiolo, anch’esso economista, docente a Tor Vergata, compiono un viaggio attraverso norme, procedure e regolamenti per mettere a fuoco una realtà disarmante: “Nel nostro Paese  – come si afferma nell’introduzione – imprese, lavoratori, cittadini sono penalizzati a ragione del pessimo stato delle infrastrutture e dalla mancanza d finanziamenti per realizzarle, nonché dalla carenza di strumenti operativi per valutarne effetti e redditività finanziaria e sociale”.

Gli studi che bocciano la strategia  di Renzi

Gli studi che bocciano la strategia di Renzi

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

È difficile comprendere perché il Governo Renzi – o, d’altronde, qualsiasi esecutivo deputato a governare l’Italia in questi anni – non ponga il nodo dell’aumento della produttività al centro delle proprie riflessioni e della propria azione. Oppure, quanto meno, come parametro essenziale per valutare le politiche istituzionali ed economiche settoriali. I documenti Istat sono chiarissimi, in particolare il Rapporto Annuale 2015 pubblicato meno di un mese fa: la produttività (comunque la si voglia definire) non cresce dal 1999 e dall’inizio della crisi nel 2007-2008 abbiamo perso un quarto del valore aggiunto nel manifatturiero, con la probabilità di non poterci ben presto più fregiare della palma di essere la seconda potenza industriale dell’Unione europea.

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Il test “di sinistra” che boccia Renzi

Il test “di sinistra” che boccia Renzi

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

È auspicabile che la direzione del Partito Democratico, convocata per valutare i risultati elettorali alle regionali, non sia un “regolamento di conti” all’interno del Pd, ma esamini con ponderazione non solamente se la politica del Governo Renzi sia sul percorso che porta a raggiungere i risultati annunciati (soprattutto sul piano economico), ma se sia “di destra” o “di sinistra”. Tema sollevato da numerosi esponenti del Pd medesimo.

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La “tattica” (e i costi) per  mantenere Atene nell’euro

La “tattica” (e i costi) per mantenere Atene nell’euro

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

Alla vigilia del Consiglio europeo di Riga, in particolare degli incontri con Merkel e Hollande, Tsipras ha ostentato ottimismo e un “accordo di reciproco vantaggio” i cui contenuti sono ancora da definire. Varoufakis è stato ancora più dettagliato: “La rottura delle trattative è fuori dal nostro orizzonte”, ha dichiarato, specificando anche che il nodo più difficile sono le pensioni. “Ci chiedono casse in pareggio con il 27% di disoccupazione”, si è lamentato il ministro delle Finanze di Atene. Né Tsipras, né Varoufakis hanno dato l’impressione di contare sull’appoggio di Renzi come mediatore o “pontiere”; si sono resi conto che nel consesso europeo il Presidente del Consiglio italiano ha problemi (da ultima gli è giunta la vera e propria “mazzata”, anche se piccola, sul reverse charge relativo all’Iva) e non è in una posizione di chiedere comprensione per altri dato che ne deve chiedere per se stesso.

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La mazzata dell’Istat alle politica  economica di Renzi

La mazzata dell’Istat alle politica economica di Renzi

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

Per una mera coincidenza, la mattina del 20 maggio è stato presentato il Rapporto annuale 2015 sull’economia italiana dell’Istat e il pomeriggio il Centro di ricerche e studi Luigi Einaudi, l’Istituto affari internazionali e Ubi Banca hanno organizzato un convegno per presentare il Rapporto Einaudi sull’economia italiana e globale, che ha come titolo “Un disperato bisogno di crescita”. Due documenti molto differenti: il primo è una radiografia statistica dell’economia, e della società italiana, nel 2014 con qualche previsione per i prossimi 24 mesi effettuate con il modello econometrico dell’Istat, in sigla MeMo-It, mentre il secondo intende forgiare un consenso su politiche di crescita a medio e lungo termine per l’intera economia europea, non solamente per l’Italia. Tuttavia, il “bisogno di crescita” è elemento centrale di ambedue. E delle numerose discussioni in atto in queste settimane.

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Il “piano d’emergenza” che  non basta per l’Italia

Il “piano d’emergenza” che non basta per l’Italia

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

Dobbiamo temere di essere trascinati da un tracollo della Grecia, ossia un’insolvenza seguita da un’uscita (volontaria o forzata) dall’unione monetaria con implicazioni sulla stabilità finanziaria dell’Italia? L’eventuale sfaldarsi dell’eurozona farebbe accanire la speculazione nei nostri confronti? Lo spread tornerebbe a quota 500, o anche più, a ragione pure del nuovo “buco” apertosi nei conti pubblici in seguito a una sentenza della Corte Costituzionale prevedibile (e prevista da tempo da parte di tutti coloro che si intendono di diritto previdenziale)?

Nell’infuocato fine settimana, le voci della Banca centrale europea (Bce) e dei suoi accoliti hanno ribadito che non c’è nulla da temere poiché dal 2009 a oggi è stata costruito un vero e proprio “muro anti-incendio” (firewall): due pilastri dell’Unione bancaria europea (il sistema di vigilanza e il meccanismo per risolvere gravi crisi bancarie e potenziali dissesti), il Quantitative easing per rilanciare la domanda aggregata, il Piano Juncker per dar vita a un programma pluriennale di investimenti innovativi, nuove agenzie per monitorare gli andamenti finanziari.

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Crisi Grecia – I rischi (e i costi) per l’Italia

Crisi Grecia – I rischi (e i costi) per l’Italia

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

Dopo un “tormentone” (per usare il gergo giornalistico) di sei anni circa, la saga greca è arrivata al suo ultimo atto. Ove non all’epilogo. Lo ha mostrato a chiare note la riunione dell’Eurogruppo a Riga in cui il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia e delle Finanze della Repubblica ellenica sono stati chiamati “dilettanti allo sbaraglio”. Quindi, incomunicabilità piena e totale con il resto del gruppo. Nonostante i canali Rai trasmettano immagini (credo di una precedente riunione) in cui il nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi ostenta – in barba non solo all’etichetta internazionale ma semplicemente al buon gusto – baci e abbracci con la sua controparte Alexis Tsipras.

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Il “finto” Def che serve a Renzi  per vincere le elezioni

Il “finto” Def che serve a Renzi per vincere le elezioni

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

In un contesto in cui si stabilizzano 100.000 “precari” della scuola, e per incoraggiare la trasformazione di contratti un tempo chiamati “atipici” in contratti a tutele crescenti si aggravano i contributi sulle imprese (penalizzandone la competitività), non deve scandalizzare che si scovi qualche nuovo “precario”.

Il Governo ha puntato sulla “precarizzazione” del binomio Def-Pnr la cui vita durerà, più o meno, sino alla elezioni regionali per poi essere rifatto da cima a fondo al fine di produrre una documentazione che serva il vero obiettivo delle norme che lo hanno istituito: predisporre, all’inizio dell’autunno, il disegno di legge di stabilità.

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La riforma delle pensioni che può  “mandare a casa” Renzi

La riforma delle pensioni che può “mandare a casa” Renzi

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

In The Doctor’s Dilemma, un noto play di George Bernard Shaw, il protagonista, un medico chirurgo di rango, è a un vero bivio: salvare o non salvare il marito (ammalato di tubercolosi) della propria amante (che lui vorrebbe sposare), utilizzando tecniche di avanguardia rare e costose. Non raccontiamo la conclusione per non fare perdere agli spettatori il gusto della sorpresa.

Un dilemma analogo è quello che affligge il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Giornalisti vicino al Palazzo (in tutti i sensi) hanno diffuso la voce secondo cui, bruciando i tempi e con l’idea di fare un regalo di Pasqua agli italiani, venerdì 3 aprile verrebbe esaminato e approvato il Documento di economia e finanza (Def), base per la Legge di stabilità del prossimo settembre. Tuttavia a far quadrare i conti mancano circa 10 miliardi di euro nel comparto della previdenza.

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Riforma pensioni 2015 – Ecco le “trappole” da evitare su flessibilità e pensioni  d’oro

Riforma pensioni 2015 – Ecco le “trappole” da evitare su flessibilità e pensioni d’oro

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

Nei ministeri competenti (e all’Inps) si stanno iniziando a predisporre articolati su una nuova riforma della previdenza da inserire nella prossima Legge di stabilità. Le norme consisterebbero essenzialmente in: a) nuovi contributi di solidarietà per quelle che vengono chiamate le “pensioni d’oro”; b) flessibilità in uscita per coloro che desiderano andare in quiescenza prima dell’età ora prevista da quella che viene chiamata “legge Fornero”.

Prima che i lavori preparatori vadano troppo avanti, potrebbe essere utile fare alcune considerazioni. In primo luogo, non soltanto i teorici della neoeconomia ma studi Ocse, Fmi e Banca mondiale e numerose analisi di centri di ricerca internazionale documentano che nessun Paese reagisce bene a riforme della previdenza che si succedono anno dopo anno; esse generano ansietà e incertezza e riducono la credibilità della politica. Ciò influisce negativamente sulla produttività. Quindi, meglio esaminare a fondo, e con la pazienza e il tempo che ci vogliono, le alternative e approvare, una volta per tutte, un sistema che resti solido per diversi anni.

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