Lufthansa ritorna al posto di Delta per fare di Alitalia uno spezzatino

Questa settimana verrà ricordata come una delle più difficili per il mercato del lavoro italiano. In prima fila ci sono i problemi di Alitalia. Ieri piloti e assistenti hanno scioperato per 24 ore. La Fnta, federazione che riunisce i lavoratori aderenti ad Anpac, Anpav e Anp, ha indetto la manifestazione nella speranza che si trovi una soluzione per salvare l’ex compagnia di bandiera, una speranza arriverebbe da Lufthansa. Due giorni fa la compagnia tedesca avrebbe inviato una lettera a ministero dello Sviluppo economico e Ferrovie dello Stato nella quale si proporrebbe come alternativa all’americana Delta. Non si tratterebbe però di ingresso nel capitale azionario ma di una forte partnership commerciale. Il che lascerebbe pensare che il contraltare sarebbe un drastico taglio del personale e alla necessità di una nuova iniezione di capitale pubblico.

Eventualità che contribuisce ad alzare la tensione, se non bastassero gli altri scioperi come quello dei lavoratori della Embraco. Gli operai hanno manifestato bloccando la rotonda che da Riva di Chieri porta verso la fabbrica nella speranza di trovare un piano alterativo a quello della Venture che ha rilevato l’azienda. I cinoisraeliani della Venture non stanno infatti riuscendo a rispettare gli impegni presi e sembrano non avere le risorse finanziarie per dare corso al piano che prevede la produzione di robottini per pulire i pannelli solari, dispenser dell’acqua, e-bike e giocattoli, Non va meglio ai lavoratori della Whirlpool. Pochi giorni fa anche loro hanno protestato nella speranza di impedire la cessione dello stabilimento di Napoli, mentre ieri hanno incontrato il premier Giuseppe Conte. È chiaro dunque che il ministro Stefano Patuanelli che guida il dicastero dello Sviluppo economico al momento abbia diverse gatte da pelare e che dovrà comprendere che i sussidi sono destinati solo a prolungare l’agonia. «11 nostro mercato del lavoro», spiega l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro, «contiene difetti strutturali che possono essere risolti solo con politiche di medio-lungo periodo. Occorre favorire un processo di innovazione sul versante della contrattazione e della produttività, incoraggiando contratti di prossimità e un maggior rapporto tra salari e produttività. Va detto però che non è solo colpa delle politiche del Mise. Il vero problema è che il mercato del lavoro italiano è fermo al palo da troppi anni. A tracciare una fotografia di questa situazione che si protrae da tempo ci pensa un elaborazione del Centro Studi ImpresaLavoro sulla base dei dati contenuti nel recentissimo «Global competitiveness report 2019-2020» pubblicato dal World Economic Forum. Dall’indagine che misura l’efficienza del mercato del lavoro, emerge che l Italia è terz’ultima in classifica tra i 28 Paesi membri dell Unione europea e novantesima su 141 Paesi censiti nel mondo. L’indicatore dell’efficienza è un aggregato di più voci che bene evidenziano le difficoltà che il nostro mercato del lavoro attraversa. Per quanto concerne, ad esempio, la collaborazione nelle relazioni tra lavoratori e datore di lavoro siamo in cento quattordicesima posizione al mondo e penultimi tra i Paesi dell Europa a 28 {ai primi tre posti ci sono Danimarca, Paesi Bassi e Lussemburgo). Nella classifica Ue abbiamo dunque perso una posizione rispetto al 2018, Siamo invece al cento trentacinquesimo esimo posto al mondo e diventiamo penultimi in Europa (perdendo anche qui una posizione rispetto all’anno precedente} per flessibilità nella determinazione dei salari. In parole povere, ciò significa che spesso i nostri contratti sono spesso frutto di accordi di categoria e quasi mai sono il risultato di un dialogo tra impresa e lavoratore. Dove però l’Italia é particolarmente carente è nella capacità di legare lo stipendio all’effettiva produttività. Su questo punto siamo l’ultimo Paese tra i 28 dell Ue e alla posizione 130 al mondo. In pratica, i datori di lavoro non riescono a premiare i professionisti più produttivi. Non va meglio se si guarda all’effetto della pressione fiscale sul lavoro (facciamo molto peggio di Danimarca e Regno Unito). Su questo indicatore il peggioramento rispetto al 2018 è netto, in Europa scendiamo verso il basso di altre otto posizioni.
Anche la scarsa efficienza nelle modalità di assunzione e licenziamento mette in luce l’arretratezza del nostro Paese: per quanto riguarda questo aspetto siamo alla posizione 127 al mondo e perdiamo ben due posti in Europa (adesso siamo terzultimi). Infine, un altro indicatore da considerare e quello che riguarda l efficienza e l efficacia delle politiche attive per il lavoro, dove ci collochiamo addirittura all’ultimo posto in Europa (al mondo siamo alla posizione 99).