Non è tempo di agenti provocatori sul debito
Adriana Cerretelli – Il Sole 24 Ore
Forse, evocando il rischio bancarotta dell’Italia, Yanis Varoufakis sperava di stornare l’attenzione dai guai in cui le sue acrobazie economico-finanziarie stanno cacciando la Grecia che pure, dopo sei anni di recessione, di sacrifici e sofferenze anche eccessive, finalmente vede un po’ di luce: nel 2015 crescerà del 2,5% e poi del 3,6 per cento. Forse ha provato a fare di tutta l’erba (del debito) un fascio scommettendo sull’effetto “mal comune mezzo gaudio”, illudendosi di procurarsi con la “forza” quella solidarietà che con i sorrisi non ha trovato a Roma e, peraltro, neanche a Parigi. Per non dire altrove. O forse ha semplicemente voluto strafare e ha compiuto un passo falso di cui potrebbe presto pentirsi amaramente. Il suo ruolo di agente provocatore che sobilla i mercati e tenta di diffondere il contagio della destabilizzazione nella moneta unica, mentre rifiuta di rispettare i patti che la Grecia ha sottoscritto, non lo aiuterà infatti nei negoziati con Eurogruppo, Bce e Fmi. La cui priorità assoluta è la garanzia della stabilità e della coesione del club.
Le azioni di disturbo da parte di chi è scampato al default – vero – grazie agli aiuti europei ma ora pretende di ignorarne le condizioni e, ciò nonostante, vuole ottenere nuove concessioni, cioè pescare di nuovo nelle tasche dei contribuenti europei, non sono certo accolte di buon occhio. Come non lo sono la pretesa mano libera su rigore e riforme nè un generoso rinegoziato sul debito che passi per lo stop all’attuale programma di assistenza euro-internazionale per elaborarne un altro, con prestito-ponte nell’attesa. Una cosa per ora appare certa: l’attacco del ministro delle Finanze greco al debito italiano appare la carta della disperazione perché dà l’esatta misura dell’isolamento nel quale si trova la Grecia dopo il clamoroso fallimento della tournée europea del premier Alexis Tzipras e di Varoufakis che invece speravano di conquistare alleati nell’eurozona soprattutto, per ragioni di bandiera politica, tra i Governi socialisti di casa a Roma e Parigi.
L’incidente si è chiuso ieri dopo il chiarimento con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Che ha dovuto precisare l’ovvio. Il parallelismo tra Grecia e Italia non regge. E per vari motivi. Anche se per dimensioni quello nostrano (come del resto il nostro Pil) è quasi sette volte quello greco, il debito italiano è sostenibile al contrario di quello di Atene che, senza aiuti, esploderebbe. I mercati lo sanno tanto bene che ieri lo spread Btp-bund non si è sostanzialmente mosso. Se Grexit resta uno scenario assolutamente non auspicabile ma possibile per la taglia ridotta dell’economia, del debito (2 e 3% del totale eurozona) e dell’interdipendenza bancaria scesa negli ultimi tre anni, un “Itexit” non viene nemmeno preso in considerazione perché il divorzio dalla terza economia dell’euro non sarebbe sostenibile per nessuno. Sarebbe la fine della moneta unica. Esattamente come nel caso di una fuga della Francia.
C’è infine un altro particolare non trascurabile: l’Italia oggi è anche il terzo creditore della Grecia. Siamo esposti per circa 40 miliardi: volenti o nolenti, dunque, qualsiasi “regalo” ad Atene sarà in un modo o nell’altro pagato dal contribuente italiano. Il default greco sarebbe quindi un disastro e un salasso proibitivo, da evitare per il bene dei nostri conti pubblici e delle regole del patto di stabilità. Comunque anche un’operazione soft come il riscadenziamento del debito con tassi di interesse ridotti avrebbe un costo, più contenuto, ma sempre un costo. Per l’Italia come per tutti i creditori euro. Nell’interesse della Grecia e dell’intera eurozona, dunque, le passeggiate nell’economia e nella politica dell’irrealtà oggi sono altamente sconsigliabili. Alla fine rischiano di far avverare Grexit, un lusso che nessuno si può permettere. Meno che mai l’apprendista stregone di Atene che forse alza la posta e la confusione per saggiare i punti di resistenza dei partner e poi cominciare a negoziare seriamente. Senza accorgersi che in questo modo può spezzare la corda usurata che lega il suo paese all’euro.
Oggi l’imperativo collettivo della crescita, il rigore esagerato e anche controproducente imposto per troppi anni ai greci , le pressioni internazionali perché l’Eurozona esca dal torpore ed eviti strappi interni sono tutti fattori che aiutano la causa della Grecia. Purché smetta di menare fendenti al vento e cominci ad aiutare l’Europa ad aiutarla. Ma forse non ci si improvvisa statisti né è scontato che un brillante economista diventi un buon ministro delle Finanze. O forse sì?